Cooperazione & Relazioni internazionali

La nave Phoenix arriva in Bangladesh in aiuto dei Rohingya

Dopo il clima di tensione crescente a largo della Libia, l’Ong Moas aveva deciso di lasciare il Mediterraneo, spostando l’intervento in Bangladesh, a sostegno dei Rohingya in fuga dal Myanmar. La nave Phoenix è arrivata a destinazione e gli operatori dell’organizzazione hanno già iniziato le operazioni di soccorso

di Ottavia Spaggiari

È un viaggio durato più di tre settimane quello della Phoenix, l’imbarcazione dell’Ong italo-maltese Moas, che, dopo aver lasciato il Mediterraneo centrale, ha finalmente attraccato a Chittagong, in Bangladesh, per iniziare una nuova missione nel Golfo del Bengala.

«Moas Italia è in Bangladesh con l’obiettivo di portare aiuti umanitari -cibo, medicine e cure mediche- ai Rohingya che fuggono dal Myanmar e trovano rifugio nella regione bengalese di Cox's Bazar», ha spiegato la fondatrice dell’organizzazione Regina Catrambone, raccontando che gli operatori del Moas sono già attivi sul territorio e hanno già prestato soccorso, la scorsa settimana, durante un incidente a largo di Inani. «Una barca proveniente da Nakhondia, in Myanmar, si è rovesciata a causa del maltempo nelle vicinanze della spiaggia di Inani in Bangladesh, dove il nostro team si trovava e dove sono stati portati a terra superstiti e vittime. Gli operatori di Moas Italia hanno contato 16 vittime, di cui 9 bambini e 7 donne. A oggi sono oltre 500mila i Rohingya arrivati in Bangladesh via mare, fiume e attraverso le montagne».

La decisione di lasciare il Mediterraneo per il Sud-Est asiatico era stata annunciata all’inizio di settembre, a seguito del clima di tensione crescente a largo della Libia e del ruolo sempre più preponderante della Guardia costiera libica nel controllo della zona di ricerca e soccorso (SAR), legittimato dalle istituzioni europee e dall’Italia. Moas era stata la prima Ong ad entrare in azione nel 2014, dopo la chiusura dell'Operazione Mare nostrum.

«Moas non vuole diventare parte di un meccanismo in cui, mentre si fa assistenza e soccorso in mare, non ci sia la garanzia di accoglienza in porti e luoghi sicuri. In questo contesto, nel rispetto dei nostri principi fondativi, sospendiamo le operazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo», aveva spiegato l’organizzazione. «Al momento sono troppe le domande senza risposta e i dubbi in merito al destino di chi è intrappolato o viene riportato in Libia. Le terribili testimonianze di chi sopravvive raccontano un inferno di abusi, violenze, torture, rapimenti ed estorsioni».

Foto: Moas


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