Welfare & Lavoro

La dignità del lavoro passa da partecipazione e responsabilità

L’intervento del presidente di CECOP CICOPA-Europa e dell'Alleanza delle Cooperative sociali Giuseppe Guerini, nella pubblicazione "Il Futuro del lavoro" curata dal Comitato economico e sociale europeo in vista del centenario dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO)

di Giuseppe Guerini

Le trasformazioni in atto nelle imprese e il futuro del lavoro sono un tema fondamentale per le 50.000 imprese cooperative aderenti a CECOP-CiCOPA Europa, e per i 1,4 milioni di lavoratori, che vi lavorano attualmente.

Quello che stiamo osservando nel mondo del lavoro, a partire dalle esperienze delle imprese cooperative in Europa è un processo di cambiamento epocale come si è messo in evidenza anche in questo stesso convegno. Certo il primo pensiero che si fa quando si parla di “futuro del lavoro” rimanda alle nuove tecnologie, alla rivoluzione digitale, alla società dell’informazione e dell’automazione. Tornerò più avanti su questi aspetti, che già altri hanno trattato, per dedicarmi invece ad alcuni aspetti più “sociali” che riguardano il futuro del lavoro.

Dal mio punto di vista ci sono tre grandi vettori che spingono questi cambiamenti:

  • Il crescente disequilibrio demografico, con invecchiamento della popolazione e calo della natalità, che porta ad una diminuzione delle popolazioni europea in età da lavoro, con la perdita di equilibrio del sistema previdenziale di molti Stati;
  • La radicale trasformazioni del mercato del lavoro che esclude pesantemente le giovani generazioni e in generale molti lavoratori fragili e moltissime donne che rimangono ai margini della società;
  • La crescita delle diseguaglianze, non solo sul piano economico, ma su quello della formazione, delle opportunità di accesso ai servizi e alla partecipazione alla vita civile, che con la finanziarizzazione dell’economia ha ulteriormente aggravato le divaricazioni.

Sono questioni che interrogano fortemente le nostre cooperative e più in generale le nostre società. Sono questioni che ci chiamano prepotentemente in causa e si accompagnano a grandi paradossi: diminuisce la popolazione in età lavorativa, ma aumentano i disoccupati; cresce la capacità di produrre ricchezza nel mondo ma aumentano le diseguaglianze; cresce la domanda di innovazione e flessibilità ma si lasciano ai margini del mercato del lavoro i giovani che sono la componente della popolazione più propensa al cambiamento!

Questi paradossi mettono in risalto che uno dei grandi problemi che riguarda il lavoro è proprio, come per la ricchezza economica, la capacità di distribuirlo e allocarlo in modo ottimale. Da questo punto di vista siamo convinti che le cooperative hanno invece dimostrato una capacità di resistere meglio alle crisi, ma soprattutto di sapere tutelare meglio i posti di lavoro, e quindi di allocare con maggiore efficacia le risorse economiche e le risorse umane.

I comportamenti dell’economia finanziaria, delle multinazionali e, più in generale, le politiche economiche prevalenti frantumano l’economia reale e le relazioni

Alcune tendenze delle nuove forme di lavoro che si possono realizzare grazie alle nuove tecnologie creano certamene nuove occasioni di lavoro, tuttavia si accompagnano anche ad una frantumazione dei rapporti di lavoro. I processi di globalizzazione dell’economia e delle comunicazioni, che ci hanno aperto orizzonti molto vasti, si accompagnano spesso anche ad una grande fragilità dei legami sociali.

I comportamenti dell’economia finanziaria, delle multinazionali e, più in generale, le politiche economiche prevalenti frantumano l’economia reale e le relazioni. Si potrebbe fare un paragone con le tecniche di estrazione del petrolio di schisi: in quel caso si frantumano le rocce per estrarre i petrolio, in altri casi si frantumano i legami sociali per estrare valore dalla solitudine delle persone o dalla debolezza contrattuale dei lavoratori.

Pensiamo ad esempio ad alcune piattaforme di gestione dell’e-commerce, di gestione dei trasporti o delle prenotazioni alberghiere (che qualcuno erroneamente iscrive tra le forme di “sharing economy”), che sono un nuova frontiera dell’imprenditoria di tendenza, che spesso riescono a condividere al massimo il rischio di impresa e la capitalizzazione (spostandolo su lavoratori-fornitori autonomi e spesso in posizione di debolezza sul piano contrattuale) ma ottimizzando e centralizzano in poche mani la parte più sostanziosa del valore aggiunto e quindi dei profitti.

Questa dinamica illusoria e dannosa difficilmente si può realizzare nelle imprese cooperative

Questo fenomeno, unito alla finanziarizzazione dell’economia, alimenta l’illusione che sia possibile generare ricchezza senza lavoro: tutti noi sappiamo bene invece che se pochi riescono ad accumulare grandi ricchezze senza lavorare è perché in troppi altrove stanno lavorando senza guadagnare.

Questa dinamica illusoria e dannosa difficilmente si può realizzare nelle imprese cooperative dove i lavoratori sono anche proprietari della loro azienda e del loro stesso lavoro. Infatti, in questi anni di crisi, in tutta Europa le cooperative possedute dagli stessi lavoratori hanno saputo resistere meglio alle crisi, proteggendo i posti di lavoro, spesso sacrificando parte degli utili e attingendo alle riserve di capitale e patrimonio accantonate nei periodi di crescita. Nelle aziende finanziarizzate abbiamo assistito al fenomeno opposto, dove sull’altare dei dividendi e degli scambi azionari si sacrificano i posti di lavoro.

Certamente non abbiamo la pretesa che le cooperative possano da sole ridisegnare il sistema di welfare o contrastare la disoccupazione, ma è indispensabile che qualcuno sogni un’economia sociale che promuove sviluppo sostenibile e giustizia sociale perché noi siamo convinti che se una cosa si può sognare, sognarla insieme è la strada per realizzarla: per questo desideriamo che le cooperative siano una strada su cui rimettere in cammino l’economia reale.

Questo non significa che dobbiamo avere paura delle innovazioni, oppure delle nuove tecnologie o dei cambiamenti che la società dell’iper-informazione e della digitalizzazione ci stanno portando. Tutt’altro, dobbiamo invece sviluppare la capacità di introdurle nelle cooperative, le quali in realtà hanno un grande potenziale collaborativo, che potrebbe implementarsi su vasta scala proprio grazie all’ausilio delle nuove tecnologie digitali. Infatti alcune cooperative stanno cercano di sviluppare delle piattaforme cooperative digitali, per rilanciare l’ideale mutualistico nella società dell’informazione.

La sfida dovrebbe essere quella di promuovere un welfare 4.0 e un mutualismo 4.0 e non solo un’industria 4.0, dove il modello dell’economia cooperativa rappresenti una forma di tutela e di salvaguardia dell’economia reale, del lavoro e dei legami sociali.

Certo la rivoluzione digitale impatta fortemente sull’organizzazione del lavoro. Nei prossimi anni dovremo impegnarci a fondo per proteggere la dignità del lavoro: a cominciare certo anche dal lavoro di cura, che svolgono tantissime cooperative, ancora poco riconosciuto e valorizzato come sanno bene i nostri lavoratori; ma più in generale la questione del lavoro riguarderà sempre più anche come accompagnare la conversione digitale. In molti casi questo si traduce con una scomparsa di posti di lavoro “tradizionali” e con la creazione di nuovi lavori grazie alle innovazioni tecnologiche.

Tuttavia le previsioni su queste trasformazioni descrivono un quadro che lascerà un saldo negativo di molti milioni di disoccupati in Europa, se non attiveremo forme di verse di governance dell’economia e del lavoro. Infatti queste previsioni sono fatte sulla base del modello economico prevalente, che continua a vedere il lavoro come un costo da contenere, per consentire ai grandi azionisti di veder crescere la remunerazione dei loro capitali finanziari.

Quello di cui abbiamo bisogno è invece pensare che la ricchezza che le nuove tecnologie consentono di produrre, anche senza l’apporto del lavoro umano, vada investita principalmente in beni comuni: il welfare, la cultura, l’ambiente. Dobbiamo quindi affiancare alla rivoluzione digitale anche una “rivoluzione della sostenibilità” fatta di investimenti nelle energie rinnovabili, nel riuso dei materiali, nella cura dell’ambiente, nella manutenzione del territorio e dei beni cultuali e poi, in special modo, nella cura delle persone.

Sono tutti questi settori ad alta intensità di lavoro nei quali le cooperative stanno già lavorando con successo, occupando per altro percentuali più elevate di donne lavoratrici, ma è indispensabile che cittadini, politica e istituzioni agiscano per la conversione del modello economico per orientarlo verso la sostenibilità.

Serve un “piano industriale ecologico e sociale” che crei le condizioni per dare un futuro al lavoro che lo ricollochi al centro dell’attenzione delle politiche di sviluppo economico. Credo che noi tutti nel movimento cooperativo possiamo avere qualcosa da dire e da fare perché le trasformazioni economiche e imprenditoriali in corso continuino a tenere le persone al centro.

Anche l’ONU, tra i 17 obiettivi del programma per la sostenibilità richiama alla necessità che tutti possano aspirare ad un “lavoro decente” anche grazie alla capacità di creare nuova “industria e innovazione” con le nuove tecnologie ma soprattutto con lo sviluppo di un’economia attenta all’ecologia e alla salvaguardia dell’ambiente.

Per perseguire questi obiettivi serve davvero una revisione dei modelli economici e serve un’idea di sobrietà e responsabilità che sappia valorizzare anche le innovazioni più semplici, e non solo le roboanti innovazioni iper-tecnologiche, enfatizzate spesso con una retorica narrativa semplicistica.

Di queste forme di innovazione abbiamo grande necessità per poter soddisfare nuovi e crescenti bisogni di cura e di protezione sociale, per assicurare adeguata sostenibilità economica al welfare di molti Paesi Europei.

Si tratta di una domanda di servizi che apre nuove opportunità per le cooperative di realizzare “innovazione sociale”, come ad esempio hanno saputo fare le cooperative sociali in Italia, riuscendo a conciliare risposte al mutare delle esigenze e contestualmente sostenere nuove capacità di spesa in welfare, grazie alla capacità di coinvolgere una pluralità di portatori di interesse, che si sono essi stessi fatti promotori di servizi e interventi, uscendo dalla posizione di utente-consumatore, per partecipare direttamente alla realizzazione delle risposte di servizio che essi stessi individuavano nelle loro famiglie e nelle loro comunità locali.

Questa capacità di essere innovativi e creativi sarà sempre più importante nei prossimi anni, perché crescerà sempre più il bisogno di condividere con i beneficiari dei servizi responsabilità e compartecipazione. Aumentare i livelli di partecipazione e condivisione nella governance dei servizi di cura è uno degli strumenti per poter rendere sostenibili servizi che probabilmente riceveranno meno risorse dalle fonti di spesa pubblica.

Per questo dovremo ricercare risorse per il finanziamento differenziato dei servizi, rivalutando il metodo cooperativo e le forme mutualistiche di protezione sociale e sanitaria.

Una diversa governance del lavoro e dell’economia dovrebbe essere orientata principalmente alla riduzione delle diseguaglianze, di cui si parla in tutti i forum politici ed economici, di cui sono piene le pagine dei rapporti e delle analisi di istituti e centri di ricerca delle banche centrali, ma a cui non seguono altrettante proposte concrete.

Le grandi e le piccole innovazioni, che grazie alle nuove tecnologie digitali possiamo rendere sempre più condivisibili e accessibili, confermano le definizioni di quella che viene chiamata economia della conoscenza e delle informazioni.

Dobbiamo però evitare che i capitali di conoscenza (dati, informazioni, conoscente, innovazioni) siano gestiti come il denaro, inseguendo accumulazione e concentrazione, facendolo diventare un valore in se, e non più un mezzo di scambio. Il capitale di conoscenza cresce solo se si condivide, se si diffonde, non se si accumula.

Questo dovrebbe valere anche per la “conoscenza digitale”, per la quale dobbiamo trovare il modo per avere un’economia che sappia creare valore condiviso generando cultura della solidarietà organizzata e democrazia economica del digitale: stanno infatti nascendo dei nuovi “latifondisti” che invece di possedere terreni possiedono dati in quantità enormi. La nuova governance del lavoro passa anche dalla possibilità di rendere accessibili e condivisibili una parte importante di quei dati, anche attraverso forme cooperative di gestione, che evitino che alle tante diseguaglianze che stanno crescendo si aggiunga anche una enorme diseguaglianze nell’accesso alle informazioni.

Sappiamo che è fuori dalla nostra portata la possibilità di ridurre le diseguaglianze che nascono dalla finanza globalizzata, possiamo tuttavia agire concretamente per rispondere ad una crescente domanda di equità e giustizia sociale da realizzare nelle nostre realtà locali, e, com’è noto, le cooperative non sono imprese che delocalizzano il lavoro ma che al contrario lo radicano nei territori.

Pensare quindi ai territori, alle città, alle comunità locali, come luoghi di relazione è la condizione necessaria per costruire luoghi di lavoro e di incontro per le persone, che sono il fondamento della coesione sociale. Costruire luoghi per abitare, non semplicemente spazi dove risiedere o lavorare, ma comunità dove si incontrano i destini. Realizzare queste intenzioni oggi, in un’epoca di grandi trasformazioni, richiede di immaginare le cooperative come organizzazioni dove le persone abitano spazi per realizzare innovazione sociale.

Noi nel movimento cooperativo sentiamo invece crescere la responsabilità verso le persone che rischiano di rimanere ai margini. Fra questi cittadini sempre più esposti al rischio di emarginazione noi vediamo in particolare:

  • I giovani i cui percorsi di accesso a lavoro, istruzione e formazione, salute e benessere, vedono crescere il divario tra chi ha molto e chi ha poco o niente.
  • Gli immigrati, senza il cui apporto crollerebbe il lavoro di cura in Italia, che continuiamo a leggere e vedere soltanto sotto il profilo dell’emergenza e non come un processo umano ed economico che per altro, di nuovo, prende origine dalla diseguaglianza nella distribuzione di reddito e opportunità tra le aree del mondo, ma anche continua ad essere sottovalutato invece per la potenzialità economica che esprime e potrebbe esprimere.
  • I disoccupati e i lavoratori a bassissimo reddito, polverizzati anche nell’identità da una rivoluzione del lavoro che frantuma luoghi e forme del lavoro.
  • Le donne che in troppi paesi rimangono esclude dal mercato del lavoro.

Su questi temi le cooperative sono pronte ad insistere ed impegnarsi per diventare fonti di rigenerazione di un nuovo umanesimo economico e civile. Possiamo reinventare la nostra missione di cooperative, come una funzione economica per lo sviluppo della comunità locale e passare dall’essere imprese “resilienti” ad essere imprese che promuovono il bene comune e fra i beni comuni più preziosi c’è il lavoro, che le cooperative hanno dimostrato di saper meglio tutelare.

In questo contesto di trasformazione del lavoro le cooperative rappresentano una diga di salvaguardia del principio di democrazia economica. Sono delle piattaforme di “salvataggio” per l’economia reale, in particolare per tutto il settore dei servizi, della produzione, del lavoro artigianale, e potrebbe rappresentare una forma di tutela che consenta di salvare l’economia di mercato, dall’intossicazione della finanza che sta generando un susseguirsi di crisi.

Per questo siamo conviti, come affermato sopra, che ci sia la necessita di un “piano industriale ecologico e sociale” per l’Europa e per il lavoro: rimettere le cooperative nell’agenda europea fa parte di questo disegno che i CECOP vuole contribuire a costruire.

In allegato la pubblicazione "Il Futuro del lavoro" in versione originale e integrale


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