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Che cos’è la società civile?

Tutti ne parlano, tutti la cercano e in vista delle prossime elezioni si moltiplicano gli appelli. Ma che cosa intendiamo quando parliamo di "società civile"? Apriamo un dibattito

di Marco Dotti

Tutti ne parlano, tutti la cercano. E, come sempre, all’avvicinarsi di una scadenza elettorale gli “appelli alla società civile” si susseguono. Non c'è potenziale coalizione di governo che non si sia espressa, in queste settimane, sul valore dei corpi intermedi e delle relazioni sociali non statalizzate. Se agli appelli conseguiranno i fatti, nel prossimo governo grande spazio dovrebbe essere dato ai rappresentanti di questa non meglio definita “società civile”.

Ma la società civile è un animale timido, si ritrae e si nasconde. Non ama le chiamate qualunquiste (la maggioranza silenziosa). Ancor meno quelle populiste (una sempre più chiassosa maggioranza).

Proprio per questa sua natura sfuggente, è più che mai opportuno porsi due domande semplici, ma disarmanti se accolte senza retorica.

La prima è concettuale: che cosa intendiamo, oggi, in tempi di disintermediazioni repentine e radicali, con l’espressione “società civile”?

La seconda, andando oltre un certo sostanzialismo, è una domanda pragmatica: “che cosa può” (sottinteso: fare per il bene comune) questa società civile?

Agli inizi degli anni Novanta, il filosofo Michael Walzer osservava che, in Occidente, viviamo immersi nella società civile, e nel suo insieme di network relazionali, senza accorgercene. È ancora così? O questa continua insistenza sulla "società civile" nel dibattito pubblico non rivela, forse, come segnalava a suo tempo un altro politologo, Ralf Dahrendorf, un vero e proprio stato d'assedio?

Il dibattito è aperto e nei prossimi giorni, su Vita, daremo voce a ricercatori e protagonisti di questa realtà.

Leggi il primo intervento: Società civile. Magatti: «Un paradigma che si cambia dal basso»


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