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Brian Chesky: «Disegno il futuro in cui voglio vivere»

A soli 27 anni ha lanciato Airbnb, sfidando il luogo comune per cui non bisogna fidarsi degli sconosciuti e aggiudicandosi il titolo di "papà" della sharing economy. Il futuro del lavoro e dell'azienda? «Sta tutto nella fiducia negli altri»

di Ottavia Spaggiari

Una cosa Brian Chesky non si sarebbe mai aspettato dalla vita: diventare l’enfant prodige della Silicon Valley ed essere considerato il padre di un nuovo modello economico: la sharing economy, l’economia della condivisione. È lui il co-fondatore, insieme al suo compagno di università Joe Gebbia, di Airbnb, il sito che permette a chiunque di affittare un posto letto, una stanza o un’intera abitazione; amatissimo dai viaggiatori per i prezzi convenienti, e dagli affittuari per la facilità con cui si può fare qualche soldo extra e, allo stesso tempo, nemesi degli albergatori che dal nulla si sono visti rivoluzionare il mercato dell’ospitalità sotto il naso.

Eppure, all’inizio questo designer arrivato a San Francisco dal Rhode Island, senza nessuna competenza tecnologica, non era altro che un outsider nella valle dell’innovazione.

Ero così naif che la prima volta che ho sentito nominare la parola “angel investor”, ho pensato “non ci credo che questo tizio creda agli angeli!"

Brian Chesky, co-fondatore di Airbnb

«Tutti cercavano il modello Zuckerberg: se non avevi lasciato a metà il tuo corso di laurea ad Harvard o Stanford, si pensava che non potessi creare il prossimo Google o Facebook», ha spiegato Chesky. «In più noi non eravamo ingegneri, ma designer, e non sapevamo nulla di cosa significasse fare impresa… Ero così naif che la prima volta che ho sentito nominare la parola “angel investor”, ho pensato, “non ci credo che questo tizio creda agli angeli!”».

Da allora le cose sono parecchio cambiate. Dal 2008 Airbnb ha raccolto oltre 3 miliardi di dollari da fondi di venture capital e Chesky, classe 1981, figlio di assistenti sociali, una laurea in disegno industriale e una fortissima passione per la creatività, di strada ne ha fatta parecchia. È diventato lui stesso investitore, finanziando altri progetti appartenenti al filone della sharing economy, da Uber all’azienda di car-sharing peer-to-peer Balanced.

Se però oggi Airbnb vale 31 miliardi di dollari, l’idea per la sua creazione nasce dalle difficoltà finanziarie in cui si trovavano i suoi fondatori fino a qualche anno fa.

«Io e Joe dividevamo un appartamento a San Francisco, ma facevamo fatica con l’affitto. Il weekend dell’International Design Conference tutti gli hotel erano pieni. Joe aveva tre materassini gonfiabili, li tirammo fuori dall’armadio e li mettemmo in affitto. Lo chiamammo “Air Bed and Breakfast”», ha raccontato Chesky, in quella che è diventata una parabola ormai leggendaria nella sharing economy, perché parte tutto da un’idea semplicissima: mettere in condivisione spazi, beni e competenze per trovare una soluzione alle risorse limitate.

«Il motivo per cui l’idea è cresciuta così in fretta è che, a differenza delle aziende tradizionali, noi non dovevamo costruire niente. Le infrastrutture c’erano già. Tutto quello di cui avevamo bisogno era internet». Eppure non tutto è stato così semplice. «Avevamo iniziato nel 2007, un anno dopo la crisi ha stravolto il mercato. Un investitore ci disse: “Sentite, qui la borsa sta sprofondando, non riesco nemmeno ad investire in buone società, perché dovrei investire in materassini ad aria?».

E se probabilmente oggi, nove anni e 150 milioni di utenti dopo, quell’investitore si sta mangiando le mani, non è l’unico ad aver sbattuto la porta in faccia a una delle startup più redditizie degli ultimi vent’anni.



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