Cooperazione & Relazioni internazionali

La Triple frontera: il crimine oltre i confini

Nella zona di intersezione tra Paraguay, Brasile e Argentina sorge un’area conosciuta con il nome di Triple Frontera: una zona franca per l'illegalità e il crimine

di Filippo Romeo

Nella zona di intersezione tra Paraguay, Brasile e Argentina, immersa in meravigliosi e suggestivi scenari naturalistici, sorge quell’area meglio conosciuta con il nome di Triple Frontera. L’incantevole e paradisiaca bellezza del luogo è principalmente offerta dalle cascate dell’Iguazu che, ubicate nel cuore della selvaggia e verdissima giungla tropicale, sono note per essere tra le più grandi al mondo essendo formate da un sistema fluviale dal quale si snodano oltre 200 cascate con altezze fino a 70 metri su quasi 3 kilometri di fiume.

L’area in questione circoscrive essenzialmente la sua esistenza a tre città appartenenti ai rispettivi tre paesi: Ciudad del Este, Foz do Iguacu e Puerto Iguazu. I fiumi Iguazu e Paranà indicano il punto di confine dei tre Stati e separano Ciudad del Este da Foz do Iguacu e Puerto Iguazu. Sul confine su cui incrociano i due fiumi sorge un obelisco che simboleggia la triangolazione e il limite territoriale. La fissità dell’obelisco, che sta ad indicare il punto d’incontro dei tre confini fungendo da pietra miliare e da cornice delle tre frontiere, cela la fluidità e la dinamicità di circolazione che vi è tra le stesse e che, tuttavia, rappresenta il cuore pulsante di quest’area.

I fattori di fluidità e dinamicità, alimentati dall’assenza di legge che vige in questi territori, hanno fatto della Triple Frontera una “zona franca” rendendola famosa al modo non tanto per il suo patrimonio naturalistico, quanto per le attività di matrice illegale e criminale che si esercitano sul territorio. Tra queste, rientrano il contrabbando, lo spaccio di droga, lo smercio di armi, la prostituzione e il traffico di prostitute, nonché il riciclaggio di denaro sporco, tutte attività che intrecciano il loro operato con quello di cellule terroristiche e dei movimenti radicali di origine araba presenti nella zona.

Delle tre città, Ciudad del Este in Paraguay è considerata il grande centro commerciale della zona, ha una popolazione che si aggira intorno ai 332.000 abitanti ed è la seconda città del Paraguay dopo Asunciòn. È una città nuova: le sue origini risalgono, infatti, al 1957 quando fu fondata con il nome di Puerto Flor de Lis. La sua fondazione si inserì in una più ampia e pianificata marcia verso l’est da parte dell’allora dittatore Alfredo Stroessner che intese dar vita a questo agglomerato in funzione della futura realizzazione del ponte verso la città brasiliana di Foz do Iguacue.

La sua denominazione successivamente muterà in Puerto Presidente Stroessner per poi trasformarsi definitivamente nel 1989 in Ciudad del Este. Il centro è un agglomerato labirintico di migliaia di piccoli negozi dove è possibile fare acquisti a prezzi molto convenienti dal momento che i prodotti importati sono liberi da imposte. Tra le varie mercanzie spiccano i prodotti elettronici e informatici. Il centro cittadino in cui si sviluppano tali attività è stato definito come uno dei più importanti centri internazionali a carattere commerciale, al pari di Miami e Hong Kong.

La maggior parte dei beni “transitano” attraverso il mercato informale che allo stesso tempo rappresenta uno dei principali volani dell’economia del Paraguay. Tali beni, che successivamente vengono riesportati nei paesi limitrofi per mezzo dei famosi sacoleiros (coloro che trasportano su improvvisate valigie da profughi ogni genere di mercanzia), fanno di Ciudad del Este un conveniente avamposto dell’economia del Paese.

La città è popolata da genti di diversa etnia e nazionalità. La comunità principale è quella degli sciiti libanesi, ma vi è inoltre una cospicua presenza di immigrati cinesi, taiwanesi, coreani, siriani e palestinesi. La suddivisone per etnie si riflette anche sull’attività economica. A titolo di esempio si pensi che la comunità cinese è impegnata a gestire il commercio dell’elettronica, dei giocattoli e i bazar, mentre quella araba è dedita al mercato del tessile, dei computer e dei software. Per comprendere l’ammontare degli introiti avutosi nel corso degli anni basti pensare che nel 2004 è stato stimato che su 10 computer venduti in brasile 8 provenivano da Ciudad del Este e ciò perché il loro prezzo era minore della metà rispetto ai prezzi brasiliani. Tuttavia, nel corso degli ultimi anni, la tendenza si è modificata fino al momento attuale in cui si registra che all’incirca solo 1 computer su 10 proviene da Ciudad del Este. Gli effetti di tale modifica sono ascrivibili a più fattori fra i quali un più serrato controllo alle frontiere e, soprattutto, un notevole sviluppo da parte del settore tecnologico brasiliano.

A differenza di Ciudad del Este, la città brasiliana di Foz do Iguacu è rinomata per essere un centro sia turistico che agricolo. La città, capoluogo dello Stato meridionale del Paranà, sorge nel punto in cui il fiume Iguacù si getta nel Rio Paranà dando vita alle Cascate di Iguacù. La popolazione si aggira intorno ai 300.000 abitanti di cui una buona parte è di origine araba palestinese e Libanese. Le comunità arabe di Foz do Iguacu sono ovviamente legate a quelle di Ciudad del Este e ciò permette di alimentare ulteriormente il loro legame commerciale. Molti di essi addirittura risiedono a Foz do Iguacu e hanno le loro attività a Ciudad del Este, rendendo ancor più fluida la frontiera tra le due città. Le sue origini risalgono alla fondazione della colonia militare de Iguacu. Ma il punto di svolta della sua storia fu il 1965, anno in cui iniziarono i lavori per la costruzione del “Puente Internacional de la Amistad” che ha permesso l’intensificazione dello sviluppo del flusso verso Ciudad del Este, allora conosciuta come Puerto Stroessner. Altro data importante per lo sviluppo cittadino è stato il 1970, quando venne inaugurato il cantiere per la costruzione della centrale idroelettrica di Itaipù, che grazie all’ingente impiego di manodopera – circa 40.000 operai, molti provenienti dal medio oriente – ha visto quadruplicare la popolazione cittadina.

L’intreccio con Ciudad del Este si è sviluppato intorno agli anni ‘80 e il forte legame basato principalmente sui proventi dell’economia informale è andato via via aumentando nel corso degli anni, allargando altresì quel caratteristico fenomeno conosciuto come “turismo de compra” che, oltre a muovere giornalmente attraverso il ponte dalle 20.000 alle 40.000 persone (tra cui i già citati sacoleiros) e circa 20.000 veicoli, ha oltremodo incrementato il commercio all’ingrosso e le esportazioni, dinamizzando altresì queste relazioni. Le attività di Ciudad del Este, che attraggono questo tipo di turisti, hanno sviluppato una rete di transazioni legali e illegali attraverso la frontiera e tuttavia hanno sviluppato le attività turistica di Foz do Igucu favorendo la nascita di hotel, ristoranti e altre attività vincolate alla prestazione di servizi. Questo flusso di persone è inoltre favorito dal fatto di poter attraversare la frontiera liberamente.

Infine, delle tre città, quella argentina di Puerto Iguazù è la meno attiva nonché la meno popolosa dal momento che i suoi abitanti superano di appena le 80.000 unità. Fondata nel 1901 con il nome di Puerto Aguirre, la città costituisce una riserva naturale immersa nel verde in cui il turismo rappresenta l’attività principale. Nel 1982 il Presidente Joao Batista Figueredo e Roberto Bignone si accordarono per la costruzione del ponte che attraversando il fiume Iguazu avrebbe messo in comunicazione la città argentina con il Brasile, opera che fu concretamente inaugurata nel 1985 con il nome di “Tancredo Neves”.

Complessivamente, la zona della Triple Frontera, che conta all’incirca 700.000 residenti, è popolata da una cospicua presenza di genti di origine e cultura differenti. Questa interrelazione di soggetti fa della Tripla Frontera uno spazio multiculturale dove sono presenti oltre agli indios aborigeni e ai cittadini dei tre paesi confinanti, anche arabi, cinesi, coreani e taiwanesi. A differenza della migrazione cinese, coreana e taiwanese (che oltre ad essere più recente, va inquadrata nei normali flussi di lavoratori qualificati come “soggetti mobili” tipici dell’epoca della globalizzazione), quella araba ha origini più antiche risalenti alla fine del XIX secolo e inizi del XX secolo, quando le popolazioni provenienti dagli attuali territori siriani, libanesi, palestinesi, giordani, arabi (allora dominati dall’Impero Ottomano) e egiziani iniziarono a stanziarsi in Paraguay, Argentina e Brasile. La maggior parte degli immigrati erano principalmente di religione cristiana ortodossa e maronita, con una minoranza di musulmani. La causa del loro migrare era ascrivibile sia al conflitto che le comunità cristiane sperimentarono sotto l’impero ottomano che alla crisi economica. Giunti nel continente sudamericano, andarono principalmente a insediarsi nei centri cittadini dedicandosi al commercio ambulante. Nel 1960 vi fu una nuova ondata di immigrazione araba che interessò le regioni dell’Alto Paranà in Paraguay e dello Stato del Paranà in Brasile. La maggior parte di migranti che giunsero in queste terre erano essenzialmente libanesi partiti sia dalla cittadina Baloul y Lala ubicata nella valle del Bekaà che dalle regioni meridionali del Paese.

A differenza della vecchia immigrazione, i nuovi arabi giunti in queste zone sono di religione musulmana sciita in cerca sia di migliori condizioni economiche o – come nel caso dei libanesi provenienti dalle aree del sud del Libano – per sfuggire alle tragiche condizioni della guerra. Sicuramente uno dei principali elementi che li ha condotti sino alla Triple Frontera è essenzialmente riconducibile in un primo tempo alla generosità del regime fiscale e legale presente nella zona e, successivamente, ai lavori di costruzione della diga Itaipú tra Brasile e Paraguay.

Seguendo la traiettoria commerciale dei propri conterranei già radicati nel continente, i nuovi arrivati inizialmente si impiegarono nella vendita ambulante per inserirsi, poi, nel commercio al dettaglio. Il fattore religioso ha permesso loro di costituire associazioni basate sulla lealtà religiosa, scuole confessionali, centri islamici e moschee per potersi riunire in preghiera, elemento questo che ha sicuramente consentito di mantenere ben saldi i legami d’origine.

Gli arabi hanno raggiunto una posizione distaccata nelle due città, circostanza, questa, che ha generato in poche decadi un’inversione di relazioni che difficilmente può trovarsi in contesti di immigrazioni recenti. È stato infatti stimato che la sola componente sciita siro – libanese conta all’incirca 20.000 unità, formando il 3% del totale della popolazione dell’intera zona e gestendo le principali attività commerciali tanto da affermare che “gli arabi sono diventati i padroni” della zona.

Come già evidenziato, la Triple Frontera è nota, soprattutto, per essere un centro fiorente di attività illegali e criminali. Per cogliere l’ampiezza del fenomeno basta consultare alcuni dati statistici forniti dall’interpol dai cui emerge che ogni anno vengono ripuliti nelle numerose banche presenti in Ciudad del Este dai 5 ai 12 miliardi di dollari, oltre al fatto che vi sono centinaia di traffici illeciti tra cui la compravendita di organi di minori.

Inoltre, la carenza di legge nella zona, unitamente alla cospicua presenza dei circa 30.000 cittadini di origine araba – di cui, si ricorda, in buona parte libanesi-sciiti, hanno permesso ai gruppi radicali di sfruttare le condizioni del territorio per finanziare le attività deimovimenti combattenti. Cellule di varie organizzazioni si sono stabilite in questi territori fin dagli anni ‘80, mimetizzandosi nel flusso di profughi libanesi e palestinesi in fuga dal conflitto a Beirut. Stando, infatti, a quanto riferiscono molti analisti, parrebbe che vi siano alcune cellule appartenenti all’organizzazione di Hezbollah che attraverso la pratica di attività illecite e sfruttando il supporto logistico degli arabi presenti nella zona, hanno proliferato all’ombra della comunità, usufruendo abilmente della stessa sia per fare proseliti che per raccogliere finanziamenti, permettendo così al gruppo di diversificare le proprie fonti di approvvigionamento finanziario. Parrebbe, infatti, che le attività di fundraising praticate da Hezbollah (sia in questa regione, quanto nella parte occidentale dell’Africa) abbiano come precisa finalità quella di crearsi una fonte di finanziamento autonoma, sicura e alternativa che gli permetta di sopravvivere nel caso in cui dovessero interrompersi i finanziamenti iraniani. Per le ragioni sopra esposte, dunque, la Tripla Frontera è diventata un posto sicuro per il movimento, una sorta di base sudamericana dalla quale è possibile coordinare sia le attività regionali che stabilire un’ampia gamma di relazioni con altri soggetti di altre organizzazioni politiche e criminali come le FARC e altre mafie internazionali tra cui quella di Hong Kong. Stando sempre a quanto riferiscono gli analisti parrebbe che l’organizzazione sia dedita, oltre alle classiche attività illecite che possono praticarsi nell’area (riciclaggio di denaro e il traffico di droghe e di armi), anche all’acquisto di numerosi terreni prontamente convertiti in campi di addestramento per la formazione dei combattenti della resistenza. Negli anni ‘90 l’organizzazione venne accusata di essersi resa responsabile, per conto del governo iraniano, degli attentati contro l’ambasciata Israeliana di Buenos Aires nel 1992 e contro l’Argentine Israelite Mutual Association (AMIA) in Buenos Aires nel 1994, attentati che costarono la vita rispettivamente a 32 e 86 persone. Tuttavia, l’inchiesta giudiziaria, dopo aver seguito vari filoni che hanno coinvolto poliziotti corrotti, bande armate operanti nei sobborghi di Buenos Aires ed una successione di teorie circa le promesse non mantenute dall’ex presidente argentino Carlos Menem ad alcuni gruppi sirio-libanesi durante il suo mandato, è rimasta senza imputati.

Oltre a Hezbollah, è stata ormai accertata anche la presenza di altre cellule appartenenti a movimenti islamici come Hamas, movimento per il jihad islamico, al-Qaeda, al-Gama al-Islamiyah, al Muqawamah al Islamiyah; tuttavia queste cellule che si occupano prevalentemente di faundraising, pare non abbiano una presenza estensiva come quella di Hezbollah. In ogni caso, è da segnalare che a più riprese gli organi di informazione statunitense come il “The Washington Poste” hanno dato notizia che secondo quanto riferito da organi di intelligence brasiliana, Osama Bin Laden sarebbe passato attraverso la Triple Frontera nel 1995. Altre fonti hanno riferito che oltre a Bin Laden anche Khalid Sheik Mohammed, l’architetto dell’attacco dell’11 settembre, si sarebbe intrattenuto per circa 20 giorni nella città Foz do Iguacu. Per tali ragioni, all’indomani dell’attentato alle torri gemelle, la zona è finita nel mirino dell’amministrazione americana che ormai da anni pianifica di incentivare la presenza del Comando Sud su questi territori al fine di poter controllare e reprimere le attività di gruppi terroristici internazionali. Va, altresì, detto che vi sono molti e autorevoli analisti che, al contrario, sostengono che la Triple Frontera sia finita nel mirino statunitense per le risorse idriche della falda acquifera del Guaranì, conosciuto fino ad oggi come il terzo più grande serbatoio sotterraneo di acqua dolce del pianeta. Esso, infatti, ha una superficie di 1,2 milioni di chilometri quadrati, di cui quasi 840.000 appartengono al Brasile, 228.000 all’Argentina, 72.000 al Paraguay e circa 60.000 all’Uruguay e sarebbe in grado di fornire acqua potabile all’intero pianeta per i prossimi 200 anni. Questa seconda ricostruzione non apparirebbe così peregrina se solo si pensa che l’emergenza idrica – una delle maggiori minacce che spaventano il pianeta – è stata denunciata a più riprese e in vari autorevoli contesti (si pensi, fra i molti, al convegno di Davos nel 2011; alle stime della Banca Mondiale; al Global Trend 2030). Se poi a ciò si associa la scarsità di terreni fertili che ha scatenato il dilagante fenomeno del land grabbing, ci si rende conto che l’area in questione – e più in generale l’intera America Latina – rappresenti una riserva strategica per l’intero pianeta proprio per la notevolissima quantità di acqua e di terra disponibile. Tale tesi, per di più, diventa ancora meno remota se si pensa che gli USA già cominciano a risentire degli effetti della carenza idrica, in particolare negli Stati del Nuovo Messico, California e Texas. Ad incentivare tale tesi ha tuttavia contribuito anche il parere emesso dal “gruppo del 3 + 1” espresso all’esito di una serie di incontri. Tale gruppo, costituitosi nel 2002 per mezzo di un accordo sottoscritto da Argentina, Brasile e Paraguay “più” gli Stati Uniti – da cui la denominazione “3 + 1” – mirava a garantire la sicurezza della Triple Frontera attraverso una maggiore sorveglianza del territorio, la condivisione delle informazioni di intelligence, l’investigazione sul crimine e la repressone del terrorismo. Dopo una lunga attività investigativa, nell’anno 2005, tale gruppo ha annunciato che “nella Triple Frontera non esistevano né cellule né basi terroristiche, che non ci sono informazioni credibili sulla loro presenza e che, anche se si fosse registrata la loro presenza, adesso non è rintracciabile”.

Conclusivamente, considerata la struttura, l’organizzazione, l’operato e le emergenze finanziarie di gruppi come Hezbollah e Hamas, è di tutta evidenza che appartenenti a tali organizzazione usufruiscano del contesto favorevole della Triple Frontera per effettuare attività di faundraising per come è, altresì, dimostrato dalla avvenuta cattura di personaggi vicini a tali organizzazioni proprio in quest’area (si pensi a Khalil Mehri, importante businessman libanese vicino a Hezbollah catturato dalle autorità del Paraguay). Il radicamento del movimento Hezbollah, inoltre, è facilmente deducibile dalla circostanza che nella Triple Frontera insiste una folta comunità libanese proveniente sia dalla valle del Bekaà, dove è nato il movimento di Hezbollah, che dal sud del Libano dove prospera la resistenza. Di contro, però, non è da sottovalutare la strategia statunitense che, attraverso l’enfatizzazione del fenomeno, cerca un utile pretesto per lanciare un’offensiva finalizzata al controllo dell’area. Ciò per una duplice finalità: sfruttare le risorse naturali idriche (di cui gli Usa sono deficitari) del bacino del Guaranì e, al contempo, tenere sotto stretto controllo Brasile e Argentina.


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