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Diaspore, una rete che si oppone agli imprenditori della paura

Al summit si è respirata aria nuova. L’Agenzia per la cooperazione dovrebbe favorirne la ripetizione, con cadenza almeno biennale, per dare continuità e per facilitare l’informazione e l'approfondimento richiesti

di Nino Sergi

“Esserci, conoscersi, costruire”. Erano questi gli obiettivi del primo Summit nazionale della diaspore per la cooperazione internazionale allo viluppo, sabato 18 novembre, a cui hanno partecipato più di 200 rappresentanti delle associazioni e organizzazioni di 50 nazionalità, rafforzando la conoscenza reciproca e la volontà di agire “insieme e in un clima di fiducia” per essere protagonisti nella costruzione della pace e nella promozione dello sviluppo sostenibile. Un significativo nucleo delle 7.000 organizzazioni di migranti censite in Italia ed in particolare delle 400 associazioni che hanno partecipato agli incontri preparatori organizzati a Milano, Torino, Cagliari, Padova, Napoli, Firenze e Roma.

«Oggi, in questa sala di via dei Frentani, teatro e palestra di impegno civile e politico per migliaia di persone nei decenni passati, nasce un nuovo soggetto politico, quello delle donne e degli uomini che compongono le migliaia di associazioni di migranti espressione delle diaspore». È un messaggio politico forte quello del viceministro Mario Giro: che esprime una visione, una prospettiva, un invito a percorrere un cammino insieme, italiani, nuovi italiani e diaspore, in Italia e nei rapporti di cooperazione con il mondo. «Celebro la nascita di un soggetto in grado di opporsi agli imprenditori della paura, in grado di contribuire a costruire la convivenza … un soggetto in cui la voce degli stranieri si mescoli a quella degli italiani … Prendete la parola senza vittimismi, sui problemi che ci riguardano tutti, siate un soggetto positivo, oggi è un momento di svolta».

Il summit, un successo
I talenti e le capacità che le diaspore stanno esprimendo e possono esprimere sono stati messi in evidenza da Cleophas Adrien Dioma – originario del Burkina Faso, da anni ispiratore e animatore di molte iniziative di dialogo e incontro culturale, economico e sociale di successo – coordinatore del gruppo di lavoro "Migrazione e sviluppo" del Consiglio Nazionale per la Cooperazione alla Sviluppo che ha promosso questa iniziativa con il sostegno dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, la Fondazione Charlemagne, le Fondazioni for Africa – Burkina Faso. Le testimonianze hanno sottolineato la necessità di accompagnare le organizzazioni delle diaspore perché possano diventare, con le informazioni e la formazione necessaria, soggetti attivi nei processi di cooperazione allo sviluppo messi in atto dall’Italia, assumendo il ruolo di primo piano che la legge 125/2014 riconosce loro.

Gli interventi dei relatori si sono alternati con quelli dei partecipanti, protagonisti di esperienze mostrate ad esempio e portatori di istanze delle varie comunità rappresentate, africane, mediterranee, asiatiche, latinoamericane, est europee. Anche l’emozione e la commozione hanno avuto il loro spazio. E hanno lasciato il segno sui presenti, stranieri e italiani. Che hanno avuto conferma che la semplicità, l’umanità, la saggezza degli insegnamenti della vita, con le sue gioie e sofferenze, sono caratteristiche fondamentali della comunicazione e del vivere insieme. Le “raccomandazioni” delle diaspore per il coinvolgimento nella cooperazione internazionale per lo sviluppo, anche sulla base di pratiche di successo, rimangono ora all’attenzione delle istituzioni e degli altri soggetti della cooperazione.

Agire insieme e puntare alto
Indubbi sono il successo dell’iniziativa e l’aria nuova che si è respirata. Ed è un piacere poterlo affermare, a merito di chi ci ha creduto e lavorato con passione e di chi l’ha sostenuta. L’Agenzia per la cooperazione dovrebbe favorirne la ripetizione, con cadenza almeno biennale, per dare continuità e per facilitare l’informazione e l'approfondimento richiesti.

Nel dialogo e nel confronto trasparente con le comunità di immigrati (che per quanto mi riguarda è iniziato nel lontano 1978 a Milano – con il primo Centro aperto con loro quando in tutta Italia erano complessivamente solo 250 mila – e che non si è mai interrotto) vorrei ora esprimere, a titolo personale, alcune considerazioni.

  1. Il successo, con la partecipazione e l’interesse che ci sono stati, rappresentano anche per noi Ong il coronamento di un cammino iniziato prima ancora dell’avvio in Senato nel 2012 della riforma legislativa della cooperazione allo sviluppo nella XVI legislatura, i cui lavori sono stati poi ripresi nella XVII legislatura con l’approvazione della legge 125/2014. E’ stato infatti il lavoro di perseverante accompagnamento e approfondimento delle tre Reti delle Ong – Aoi, Link 2007, Cini – che ha fortemente contribuito alla valorizzazione nell’articolato di legge del “ruolo delle comunità di immigrati” (art. 2) e all’esplicitazione, tra i soggetti della cooperazione allo sviluppo, delle “organizzazioni e associazioni delle comunità di immigrati che mantengano con le comunità dei paesi di origine rapporti di cooperazione e sostegno allo sviluppo o che collaborino con soggetti provvisti dei requisiti richiesti e attivi nei paesi coinvolti” (art.26).
  2. Ong e organizzazioni delle diaspore devono ora riuscire a camminare “insieme”, nella reciproca “fiducia”. Già avviene in alcune situazioni e realtà, come ha evidenziato lo stesso Summit. Non sarà sempre facile ma è forse l’unica strada percorribile, perché il cammino per una cooperazione efficace e di qualità non si improvvisa né può essere basato sulla sola buona volontà o sui soli, pur legittimi, desideri personali. Richiede, a tutti, umiltà e disponibilità a crescere, con il tempo e la preparazione necessari. Le reti delle Ong dovranno, dal canto loro, sapere integrare le organizzazioni delle diaspore che lo desidereranno, per accompagnarle, formarle, tenerle informate, fornire loro le competenze necessarie per potere agire in autonomia e poter dare il meglio di sé con le idee innovative che sapranno tradurre in pratica nei partenariati e in particolare nella preziosa funzione di ponte tra i territori, italiani e dei loro paesi.
  3. Le Ong di successo, indipendentemente dalla loro grandezza, sono quelle che hanno puntato sulla qualità e l’efficacia. Non sempre ci sono riuscite e ci riescono ma la tensione è stata e continua ad essere sempre alta, insieme a quella per l’accountability. Hanno anche potuto constatare che le loro pressioni sui decisori politici per avere ascolto e attenzione e per esigere coerenza e mantenimento degli impegni assunti, sono considerate autorevoli quando si è autorevoli nella capacità di promuovere e realizzare una cooperazione di qualità. Non c’è crescita, nel lavoro di cooperazione allo sviluppo, senza tensione alla qualità. Se da un lato è indispensabile riconoscere la diversità e specificità dei soggetti della cooperazione, come d’altronde prevede la legge, favorendo quindi processi equi di reale inclusione come avete giustamente richiesto, dall’altro suonano alquanto strane le richieste di abbassare i criteri per essere ammessi all’iscrizione nell’elenco dei soggetti di cooperazione e per la fruizione di fondi pubblici, in modo da “favorire quante più associazioni possibili”. Forse occorrerebbe puntare innanzitutto, cari amici delle diaspore, sulla formazione, la crescita organizzativa, strutturale e operativa, quando queste non sono ancora adeguate. Istruttivo mi è parso, in merito, il cammino di “Karibu” illustrato al Summit da Marie Thérèse Mukamitsindo.
  4. Per questo, per favorire cioè la formazione e l’inclusione, la legge ha previsto l’affiancamento ad altri soggetti della cooperazione, per chi ne avrà bisogno e finché esso sarà ritenuto necessario. La pretesa di accorciare quell’indispensabile cammino che è stato giustamente richiesto finora dalla Cooperazione italiana (alcuni anni di operatività, una minima struttura organizzativa con personale dedicato, bilanci di una certa consistenza per garantire la capacità di gestione amministrativa dei fondi pubblici, verifica degli stessi…), semplificando invece tutto per aprire a tutti, quasi indipendentemente dalla preparazione, non è detto che porti ad accelerare il processo di crescita e di reale inclusione: può anzi contribuire al declino di non poche delle speranze che il Summit ha con autorevolezza suscitato. Puntare sulla qualità e la massima preparazione significa anche essere autorevoli ed essere ascoltati come tali, a livello nazionale e internazionale. Ciò che tutti vogliamo.


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