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Alzheimer: perché le case farmaceutiche non fanno più ricerca?

Dopo la Merck, anche la Pfizer ha deciso di abbandonare al loro destino i malati di Alzheimer e Parkinson. Non finanzierà più la ricerca per i farmaci contro le malattie neurovegetative. Rubinetti chiusi, niente più investimenti e flusso di denaro deviato verso le aree più redditizie. Serve un cambio di rotta

di Michele Anzaldi

Dopo la Merck, anche la Pfizer ha deciso di abbandonare la loro destino i malati di Alzheimer e Parkinson. Non finanzierà più la ricerca per i farmaci contro le malattie neurovegetative. Rubinetti chiusi, niente più investimenti e flusso di denaro deviato verso le aree più redditizie.
Le speranze dei circa 600 mila italiani malati di Alzheimer e delle loro famiglie subiscono un nuovo brutto colpo. E il numero, considerati gli scenari demografici che attendono l’Italia (entro il 2050 gli over 65, i più colpiti dalla demenza degenerativa, costituiranno il 34% della popolazione italiana), è destinato a crescere sensibilmente, con due conseguenze: un aggravio dei costi per il sistema sanitario e un peso psicologico che graverà su milioni di famiglie.
Il motivo per cui la Pfizer farà dietrofront sono gli scarsi progressi compiuti negli anni. In altre parole, la lentezza dei risultati non rende più convenienti gli investimenti compiuti. La decisione della Pfizer è come una pioggia sul bagnato della ricerca conto le malattie neurovegetative. Perché l’azienda americana non è la prima ad arrendersi alla logica del puro profitto. E’ stata, infatti, preceduta da Merck & Co, altro colosso del settore, con motivazioni identiche: il timore che il cammino scientifico per arrivare alla cura sia più lungo di quello necessario a rendere redditizi gli investimenti.
La tendenza ad abbandonare il campo rappresenta un pericolo mortale per la speranza di arrivare a una cura. L’individuazione di un farmaco efficace dipende, infatti, dal numero di case farmaceutiche impegnate nella ricerca. La questione è semplice: più sono i centri che portano avanti a ricerca, maggiori sono le speranze di arrivare a una cura efficace. E’ dunque fondamentale fare il possibile per evitare che le strategie dettate solo dalla fredda ragione dei numeri privino anche della speranze le persone e le famiglie cui è toccata la disgrazia di dover convivere, ogni giorno, con questo tipo di malattie.
Ho per questo rivolto al Ministro della Salute Lorenzin un’interrogazione. E’ indispensabile capire cosa possa fare il governo, con un intervento sul piano internazionale, per scongiurare che il disimpegno nel settore della ricerca contro le malattie neurovegetative dilaghi fino a diventare irreversibile. Un tentativo che troverebbe una solida base nel fatto che l’Italia vanta un settore farmaceutico tra i più importanti al mondo, e il secondo in Europa.
Le soluzioni potrebbero arrivare dall’apertura di un tavolo di confronto governativo. Quella potrebbe essere la sede adatta per rilanciare la ricerca sulle malattie neuro degenerative. E restituire ai 600 mila italiani colpiti di Alzheimer (e gli altrettanti malati di Parkinson) e ai loro familiari, la speranza in una cura.

* L’autore è parlamentare del Partito Democratico


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