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Economia & Impresa sociale 

Impresa sociale e credito cooperativo, fronte comune per una nuova mutualità

Riforma del Terzo settore e riforma delle Bcc. Dal combinato disposto di questi due elementi può nascere una modalità nuova di fare mutualità e di promuove l’impresa sociale di origine bancaria

di Stefano Boffini* Giuseppe Guerini

In questa stagione ci stiamo misurando con due grandi interventi di riforma che ci stimolano a cercare un pensiero nuovo intoro al modello economico cooperativo ed in particolare intorno al concetto di mutualità: la riforma dell’impresa sociale e la riforma del credito cooperativo.

Due interventi che apparentemente distanti, possono avere in realtà effetti molto importanti per ridefinire un’idea moderna e attuale della mutualità per collocarla dentro una visione e una funzione rinnovata dell’economia sociale.

Se da un lato le Banche di Credito Cooperativo sono alle prese con la complessa aggregazione e costituzione dei gruppi bancari cooperativi, dall’altro cooperative e cooperative sociali stanno scrutando ancora le potenzialità che la nuova legge sull’impresa sociale mette a disposizione.

Si potrebbero così esplorare nuove formule per applicare congiuntamente quanto previsto dalla Costituzione italiana, che riconosce e valorizza il ruolo sociale delle cooperative a scopo mutualistico e quanto previsto dalla riforma del terzo settore che assegna ad ETS e Imprese Sociali la funzione di perseguire l’interesse generale della comunità.

Banche di Credito cooperativo e Cooperative Sociali sono le imprese mutualistiche con le quali è nato il concetto di “mutualità allargata”, riconoscendo loro una funzione che andava e va ben oltre lo scambio di reciproco interesse limitato ai soci, per estenderlo alle comunità territoriali di riferimento. Per le Bcc per altro questo vincolo assumeva anche la forma di un sostanziale e concreto radicamento territoriale che dava regole per le quali l’espansione dell’attività doveva procedere per territori omogenei e limitrofi con una presenza di soci effettiva. Limitazione che forse avrebbe giovato anche alle cooperative sociali, per evitare che si trasformassero in alcuni casi in mega-agenzie di somministrazione di prestazioni di servizio, svincolate da una dimensione comunitaria.

Se la riforma del credito cooperativo, contiene un forte rischio di uniformare e omologare l’attività bancaria, perseguita attraverso regole molto rigide imposte dalle autorità di vigilanza europea. Dall’altro la riforma del terzo settore, incoraggiando lo sviluppo di una cultura degli investimenti e della raccolta di “risparmio finalizzato” ad attività a vocazione sociale, potrebbe offrire occasioni nuove alle banche di credito cooperativo per reinterpretare la loro missione sociale sul territorio, rilanciando anche la loro natura di enti economici pienamente parte dell’economia sociale.

In questa fase molto delicata le Banche di credito cooperativo devono riformulare una nuova identità industriale, efficientista e di mercato

Se la riforma dell’impresa sociale estende il concetto di impresa a vocazione sociale, che persegue come finalità un interesse comunitario e una finalità legata al bene comune, significa che non solo le cooperative sociali possono essere organizzazioni economiche a finalità sociale e che la mutualità allargata, anche quella delle cooperative di credito, potrebbe essere rilanciata sotto nuove forme.

In questa fase molto delicata le Banche di credito cooperativo devono riformulare una nuova identità industriale, efficientista e di mercato, che potrebbe attenuare l’identità cooperativa, considerata (a torto) all’esterno e in particolare a Bruxelles e Francoforte, non più rispondente ai tempi.

Le singole banche di credito cooperativo dovranno così concentrare tutti gli sforzi per adeguare il quadro tecnico alle indicazioni ricevute e soprattutto per impostare un business model che per il futuro sia profittevole e performante, secondo i canoni degli standard bancari internazionali.

Le Bcc nei prossimi anni dovranno pensare a come stare sul mercato e produrre marginalità, cosa in generale complicata ormai per tutto il comparto bancario e saranno spinte a farlo con le stesse modalità del resto del sistema, anche per la pressione da parte dell’autorità di vigilanza ad attuare comportamenti univoci e conformi ad una visione del credito e della funzione bancaria, ancorata ad un modello di sviluppo che non sembra concepire le specificità territoriali e le peculiarità sociali del credito cooperativo.

Appare così sempre più possibile il rischio che molte Bcc siano portate ad imboccare una direzione che potrebbe porta verso una sorta di “de-mutualizzazione” sostanziale, che si esprimerà nei comportamenti prima che nei vincoli formali.

Già oggi lo scambio mutualistico fra cooperativa bancaria e base sociale si è asciugato di molto. Difficilmente in futuro avrà lo spazio per crescere e soprattutto rigenerarsi nelle modalità con cui poi concretamente va a declinarsi. Servirebbe uno sforzo rilevante per immaginare prima – e sviluppare poi – modalità nuove e sostenibili con cui riattivare lo scambio mutualistico. Modalità che rimettano al centro il tema della fiducia comunitaria, del legame fra le persone, delle relazioni che insistono sui luoghi e si riconoscono in una identità riconoscibile.

Tornare ad essere banche di territorio perché banche che condividono una comunità di destino, perché sono “banche abitanti” e come tali fanno economia prima che finanza, valutano e alimentano fiducia a “business plan” che hanno facce e braccia di paese e non solo corrispondenze con algoritmi predefiniti a Londra o Francoforte.

Il sistema bancario in generale – per ragioni tecnicamente fondate e realistiche rispetto al contesto in cui ci troviamo ad operare- viene spinto ad indirizzare gli impieghi verso segmenti di clientela buoni e di medio grandi dimensioni, per ridurne l’impatto in termini di rischio e assorbimento patrimoniale. Anche questo orientamento però, calato al livello delle banche di credito cooperativo, contribuisce ad intaccare il loro tradizionale ruolo svolto, alla base della sostanza dello scambio mutualistico.

È difficile andare contro la storia e contro forze che oggettivamente spingono verso una certa direzione, anche perché le argomentazioni, sottostanti alla definizione delle strategie e delle priorità, sono fondate, obiettive e incontrovertibili. Sono giuste, anche se parziali.

La mutualità, quella effettiva e non nella sua veste formale, rischia così nei prossimi anni di risultare compressa, più per causa di forza maggiore che per cattiva volontà. Allora ecco che possiamo provare a guardare insieme al resto del mondo della cooperazione, a cominciare da quella sociale, alla possibilità di far germinare un nuovo seme di mutualità e di economia sociale, che non si ponga in antitesi o antagonismo all’evoluzione del credito e alla globalizzazione dei mercati, ma che utilizzando nuovi strumenti, come l’impresa sociale, ci consenta di rilanciare quella funzione di promozione di economia abitante e generativa che le banche cooperative seppero svolgere nello scorso secolo.

Siamo convinti che mutualità e identità siano anche una nostra leva di competitività con cui posizionarsi sul mercato. Il radicamento nei territori e il rapporto intenso con le realtà locali, pubbliche o di terzo settore, è parte rilevante della nostra formula imprenditoriale.

È illusorio pensare che la mutualità “dentro” alle banche possa continuare ad essere riproposta, con le stesse modalità del passato: attività prevalente con i soci e interventi di beneficenza sociale

Oggi, orientati necessariamente verso altre priorità, rischiamo di essere scavalcati su questo tema tradizionalmente “nostro” dai grandi gruppi bancari che hanno investito – e stanno investendo seriamente – per indirizzarsi verso un segmento di clientela, ritenuto profittevole e a basso rischio che per noi in più anche è di riferimento identitario, oltre che parte del patrimonio genetico del movimento cooperativo, perché ci permette indirettamente di realizzare l’obiettivo statutario di mutualità territoriale.

L’applicazione delle nuove regole e lo sviluppo del nuovo sistema di credito cooperativo, difficilmente riuscirà ad assicurare spazio per la mutualità “dentro” le banche, pur essendo la finalità per cui sono nate e si sono sviluppate.

E’ illusorio pensare anche che possa continuare ad essere riproposta, con le stesse modalità del passato: attività prevalente con i soci e interventi di beneficenza sociale. Per questo servirà un pensiero nuovo.

Se, come noi pensiamo, la mutualità – intesa nella sua sostanza non solo come adempimento- continua ad essere un concetto utile per le banche, i soci e i territori, bisogna pensare a modalità nuove per esercitarla, sapendo che non potrà essere un campo primario di azione, per tante ragioni sopra evidenziate, di vigilanza, di scenario, di orientamento delle capogruppo, né dal punto di vista delle risorse dedicate, né delle energie spese.

Possiamo ripiantare un seme che, senza distrarre dagli obiettivi di fondo stabiliti per i prossimi anni, se avrà la forza di crescere e svilupparsi, risulterà un elemento importante di caratterizzazione nel futuro.

Lo strumento per avviare una modalità nuova di fare mutualità può essere rappresentato dall’impresa sociale, per continuare così a svolgere alcune attività che caratterizzavano l’azione delle banche di credito cooperativo – che in banca faticheranno sempre di più a trovare spazio – e immaginarne anche di nuove.

Le banche di credito cooperativo, avendo una finalità non lucrativa ma mutualistica, possono costituire e controllare imprese sociali, con i relativi vantaggi normativi.

Possiamo immaginare che più banche di credito cooperativo si mettano insieme per farlo o evolvano in tal senso istituzioni in cui sono già presenti, come ad esempio fondazioni.

Sarebbe la via più agevole, certamente meno impegnativa di uno start up, seppur di una piccola impresa e all’inizio solo strumentale.

Possiamo immaginare anche che si aprano ad altri soggetti della cooperazione, soprattutto quando al loro interno le banche non riescano ad esprimere le necessarie capacità imprenditoriali o gestionali.

È questo il cambiamento rispetto al passato, in cui spesso la mutualità allargata al territorio è stata interpretata come elargizioni o donazioni, e quella verso i soci sotto forma di condizioni di miglior favore o iniziative come gite sociali o pranzi gratis. Ma “il gratis” verso la base sociale e il territorio ha introdotto una forma distorta di mutualità, priva dell’elemento fondamentale della co-responsabilità e della reciprocità.

In un’impresa sociale invece non si può prescindere dal fatto che le attività vengano svolte secondo una modalità imprenditoriale e alla sostenibilità dell’organizzazione data dalle attività svolte.

Possiamo immaginare che all’inizio siano piccole entità e che svolgano in modo strumentale servizi per le Bcc relativamente alla propria base sociale o ad attività di sostegno e valorizzazione territoriale. Strutture contenute con obiettivi limitati non richiedono investimenti rilevanti di risorse umane e patrimoniali.

Se l’idea attecchisce, il campo di azione è potenzialmente molto ampio, dai servizi consolidati di welfare all’housing sociale, passando dal micro-credito che permetterebbe di riprendere in parte anche la missione originaria delle banche di credito cooperativo.

L’impresa sociale potrebbe essere un presidio strumentale per la mutualità, meglio se condiviso fra più Bcc, un centro di competenze e di razionalizzazione perfettamente in linea con gli obiettivi verso cui il sistema è indirizzato

Più immediatamente l’impresa sociale potrebbe essere un presidio strumentale per la mutualità, meglio se condiviso fra più Bcc, un centro di competenze e di razionalizzazione perfettamente in linea con gli obiettivi verso cui il sistema è indirizzato.

Perché non immaginare cioè a fianco delle capogruppo bancarie anche delle capogruppo sociali, magari anche con un centro di ricerca e innovazione unico nazionale dove far riunire il movimento che, sul piano imprenditoriale, sta misurandosi con percorsi distinti.
Le due cose non sono incompatibili. Siamo infatti convinti che si può pensare alla mutualità senza perdere di vista le priorità verso cui si stanno indirizzando gli sforzi per il rafforzamento del versante imprenditoriale delle nostre banche cooperative.

D’altra parte se assumiamo che l’obiettivo per cui si costituiscono i gruppi è il perseguimento del benessere dei soci e delle comunità locali e che la finalità dei nostri istituti resta mutualistica, pur consapevoli dello scenario in cui siamo e degli obiettivi imprescindibili da raggiungere, forse dobbiamo trovare il modo anche per dare consistenza e unitarietà anche ad un progetto di impressa sociale di origine bancaria, che ci aiuti a costruire un terreno comune rispetto ai gruppi – e provare poi a mettere in campo almeno piccole soluzioni di risposta strutturale che, se alla base trovano idee buone e incontrano persone animate da spirito cooperativo, avranno poi la forza per crescere.
Proviamo a ripiantare il seme della mutualità!


*Stefano Boffini responsabile area sociale BCC Cassa Padana
**Giuseppe Guerini Presidente Federsolidarietà-Confcooperative


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