Sanità & Ricerca

Con la “tisaneria” delle volontarie il reparto oncologico diventa più umano

Nel day hospital di Rovigo alcune operatrici della Lega italiana lotta ai tumori, dopo una campagna di ricerca volontari svolta dal Csv provinciale, hanno aperto un servizio per i familiari dei malati. Obiettivo, alleviare la sofferenza e creare nuove relazioni

di Francesco Casoni

Una bevanda calda, un biscotto, due chiacchiere. Offrono questo le volontarie della Lega italiana lotta ai tumori (Lilt) alle persone che passano per il day hospital oncologico dell’ospedale di Rovigo. Un gesto per alleviare il carico di preoccupazione e sofferenza dei malati, ma anche per costruire le basi di altre relazioni ed altri progetti.

Il servizio è nato nel maggio scorso, dall’impegno di un paio di volontarie. In questi giorni ha raddoppiato la presenza – da due a quattro giorni la settimana – grazie ad una campagna di ricerca volontari realizzata dall’associazione con il Centro di servizio per il volontariato di Rovigo, a cui hanno subito risposto nuove leve, tutte donne.

È donna anche la presidente, Maria Iside Bruschi, nella Lilt da sempre, che racconta la nascita di questo piccolo, ma efficace presidio: “Siamo partite nel maggio scorso con la tisaneria, poiché era la cosa più semplice e spontanea da proporre a chi arriva al day hospital. Infatti questo servizio ci ha aperto le porte alla realizzazione di altre attività, come lezioni di reiki, già iniziate, e prossimamente incontri con un’estetista, un parrucchiere e una psicologia per imparare a valorizzare se stessi e il proprio aspetto”.

Se l’obiettivo era provare a migliorare il clima e le relazioni in ospedale, sono bastati pochi mesi per raccogliere i primi frutti. “Il personale ci ha restituito come il servizio abbia cambiato radicalmente l’ambiente del day hospital”, racconta ancora Bruschi. L’ingrediente determinante è stata la passione, che tiene anche unito questo gruppo tutto femminile.

Sono infatti tutte donne, di età diverse e con alle spalle esperienze molto differenti. C’è chi è in pensione e chi sta studiando all’università, chi ha vissuto l’esperienza della malattia sulla propria pelle o su quella di un familiare e chi ha lavorato in ospedale per anni e ora non riesce a starne lontana.La più giovane è Ilaria Bellini, tra le ultime arrivate nel gruppo. Studia scienze dell’educazione a Rovigo e ha la passione per il volontariato fin da piccola: “Mi ha sempre interessato,– racconta. – Quando mi relaziono con persone che soffrono e con situazioni molto dure, mi accorgo di essere fortunata. Sento il bisogno di portare un sorriso a chi sta male”.

Tra le nuove volontarie, c’è anche Maria Celia Camargo. Lei è arrivata in città dal Brasile e qui ha subito cercato un’attività di volontariato in cui impegnarsi, soprattutto per conoscere altre persone. Ricevuta la proposta della Lilt, si è unita da poche settimane: “Volevo soprattutto portare un piccolo cambiamento in meglio nella vita degli altri”.

Isabella Mattiolo, invece, è in pensione, dopo aver lavorato come operatrice socio sanitaria: “Smettere di lavorareè stata una sofferenza: mi mancava il risvolto sociale del mio lavoro”. Nel volontariato alla tisaneria ha ritrovato quel contatto con le persone che, dice, dava valore al suo lavoro. Allo stesso tempo è un’esperienza completamente nuova: “La vera difficoltà è gestire le emozioni, cosa che a me non riesce. È dura, ma mi piace tantissimo e le persone mi restituiscono più di ciò che io do loro.”

Nella storia di Patrizia Ferrante, invece, ci sono la malattia e la morte del marito. “Ho iniziato con una motivazione egoistica: volevo togliermi il pensiero che il Day Hospital sia l’ultima spiaggia. – racconta. -Con la tisaneria lo rendiamo un luogo umano e sdrammatizziamo il motivo per cui le persone sono lì”. Dopo la perdita del marito, ha scritto un libro, che sarà pubblicato a primavera. E il suo prossimo obiettivo è un secondo libro, per raccontare le emozioni del progetto tisaneria.

A Maria Grazia Baiocco Goldin, tra le volontarie che hanno dato vita al servizio, quasi un anno fa, chiediamo di tracciare un bilancio: “Rispetto agli inizi, è un’esperienza sempre più positiva. È bello vedere come oggi la gente ci aspetti”. Si aggiunge Valeria Trigolo, anche lei in squadra fin dall’inizio: “Basta pensare che all’inizio ci chiedevano se c’era da pagare”.

L’impegno più grosso è stato iniziare, con poche persone disponibili e senza sapere bene cosa avrebbero trovato. “All’inizio avevo un po’ di paura, – racconta Lorena Marabese,– ma oggi porto a casa tanto ed è un momento in cui stacco da altri problemi”.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA