Comitato editoriale

Nei nostri primi 18 anni abbiamo aiutato 1,3 milioni di bambini

Da Elvis, il primo bambino operato al cuore fino ai 18 nidi di comunità sostenuti con il progetto che ha appena vinto il bando di Con i Bambini, l'ing Goffredo Modena ripercorre la storia della Fondazione Mission Bambini, nata il 18 gennaio 2000

di Sara De Carli

Il 18 gennaio 2018 Mission Bambini ha compiuto 18 anni. Nell’atto costitutivo c’era scritto Fondazione Aiutare i Bambini, il nome poi fu modificato nel 2014 per essere più facilmente comprensibile a livello internazionale: la mission però resta la stessa, «aiutare ogni giorno, davvero» i bambini poveri, ammalati, senza istruzione o che hanno subito violenze fisiche e morali, in Italia e nel mondo. In 18 anni Mission Bambini ha fatto la differenza per 1,3 milioni di bambini, attraverso 1.500 progetti in 70 Paesi. L’ingegner Goffredo Modena, 80 anni, che insieme alla moglie ha fondato Mission Bambini e che da allora ne è il presidente e primo volontario, ripercorre la strada fatta.

Ingegnere, che cosa rappresenta per lei questo traguardo?
Una grande emozione. 18 anni fa quando ho avviato insieme a mia moglie la Fondazione non pensavo certo che avremmo fatto così tanto, che saremmo riusciti ad aiutare così tanti bambini, un milione e trecentomila… Il primo sentimento quindi è un grande ringraziamento per tutti i collaboratori, i volontari, i sostenitori, per quanti ci hanno aiutato e ci aiutano, perché Mission Bambini non è una persona sola ma un gruppo. "Grazie" quindi è la prima parola, da scrivere tre volte: grazie, grazie, grazie.

Ci sono delle tappe particolarmente significative?
Certamente Elvis, il primo bambino operato al cuore con Cuore di Bimbi, il progetto dedicato ai bambini cardiopatici nei paesi poveri del mondo. In 11 anni abbiamo operato 1.861 bambini e altri 14mila sono stati visitati: nel 2018 pensiamo di operarne altri 237, significa che quest’anno supereremo i 2mila bambini operati, ovvero salvati. Il primo fu Elvis, un bambino dello Zimbabwe, aveva 7 anni, era orfano di entrambi i genitori, viveva solo con una nonna. Venne in Italia per l’intervento, fu operato a Bologna all’ospedale Malpighi Sant’Orsola, poi lo ospitammo qualche giorno qui a Milano: ricordo che gli regalammo una macchinina di metallo, grande 10 cm, con le portiere e il cofano che si aprivano, per lui fu una felicità incredibile e se andò via stringendo quella macchinina come un tesoro. Elvis oggi sta finendo la scuola, ama l’agricoltura: l’abbiamo seguito molto da vicino per tutti questi anni. Oppure nel 2004, ai tempi dello tsunami in Asia, comprammo sette piccole barche da pesca, con le relative reti, per le famiglie dei pescatori della Thailandia: piano piano i pescatori cominciarono a riprendere confidenza con il mare e tornarono a pescare. Un altro risultato significativo è che dal 2006 abbiamo sostenuto oltre 100 asili nido, con 4mila bambini che anche grazie al nostro aiuto hanno potuto frequentare il nido. Le realtà che abbiamo sostenuto sono nidi del privato sociale, una delle regole per avere il nostro contributo è che almeno il 25% dei bambini iscritti al nido venga da famiglie fragili e che nel nido si facciamo almeno 20 ore alla settimana di volontariato.

È il modello di “nido di comunità” che avete disegnato e che ora è al centro anche di un vostro progetto nazionale che è stato da poco selezionato e cofinanziato dal bando Prima Infanzia di Con i Bambini, con il fondo per il contrasto della povertà educativa minorile: quando partite?
Oggi qui nella nostra sede ci sono tutte le persone coinvolte nel progetto, perché oggi c’è il kick-off, stanno facendo formazione insieme. Il progetto è triennale, sosterrà 18 nidi, in cui il 40% dei bambini iscritti potrà beneficiare di un aiuto. In più ci sarà un allargamento dell’orario di ingresso e di uscita, nell’ottica di facilitare la conciliazione.

Voi siete stati fra i primi, con questi progetti e con le "adozioni in vicinanza" ad accorgervi che a un certo punto il problema non era più che non c’erano abbastanza nidi ma che le famiglie non riuscivano a pagare la retta del nido e quindi ritiravano il bambino e la mamma rinunciava al lavoro…
Sinteticamente direi che che le nostre strategie non sono mai calate da alto, partiamo sempre dai reali bisogni, le strategie operative discendono da lì. Noi non gestiamo direttamente sevizi ma abbiamo contatti veramente quotidiani con i partner, ci è abbastanza facile capire come si evolvono i bisogni. Questo significa anche, ad esempio, che se in anni passati veniva destinato a progetti all’estero circa il 60% delle nostre risorse, mano a mano siamo passati al 50% e adesso ormai abbiamo il 55% delle risorse che restano in Italia. Questo sia per le sollecitazioni che riceviamo dai nostri sostenitori sia perché l’Italia è diventata un Paese in cui c’è bisogno di dare attenzione ai problemi dell’infanzia. Sulla capacità di “adattare” le idee con cui si era partiti per rispondere ai bisogni reali mi viene in mente anche un incontro con un sindaco fatto nell’ambito dei nostri interventi per l’emergenza del terremoto, quella volta era a Fossa, dopo il terremoto dell’Aquila: “Vorremmo costruirvi un asilo nido”, gli dissi incontrandolo. Lui però aveva una scuola con 14 aule, che non usava neanche tutte. “Cosa le serve?”, chiesi allora. “Un dispensario farmaceutico e un ambulatorio per la pediatra”. Abbiamo fatto quello, stanno funzionando ancora. A volte bisogna porsi davanti al bisogno effettivo e avere il coraggio di cambiare l’idea iniziale. Oppure penso ai bandi fatti per creare lavoro per i ragazzi, una modalità che ha prodotto risulti limitati, poiché la start up di un’impresa è molto onerosa… Pensiamo quindi ora che l’approccio migliore sia riportare i ragazzi nella scuola, accompagnarli in un processo di orientamento e poi sostenere cooperative e realtà già avviate, in cui i giovani possano inserirsi con un lavoro, ma non più impegnandoci in presa diretta.

Gli interventi sul terremoto recentemente vi hanno visti molto impegnati…
Siamo molto orgogliosi del fatto che a Norcia abbiamo iniziato a costruire una scuola nel novembre 2016 e il 22 dicembre l’abbiamo inaugurata: è possibile fare una scuola in sette settimane. Il 10 gennaio 2017 i bambini erano a scuola con i banchi nuovi, gli armadietti, gli arredi. Dopo la scuola di Norcia e la mensa scolastica a Cittareale, ora siamo impegnati a realizzare un nuovo centro aggregativo a Montereale, in provincia de L’Aquila, i lavori sono iniziati il 18 gennaio 2018 e termineranno nel mese di marzo. Questo per dire alcune cose che abbiamo fatto, ma io credo sia importante ricordare che tutto ciò è stato possibile perché qualcuno ha aiutato la Fondazione e anche perché i miei collaboratori sono tutti convinti della nostra mission, che è aiutare i bambini poveri per dare loro opportunità e speranza. Di recente però abbiamo scritto la nostra vision, non lo avevamo mai fatto prima, e abbiamo aggiunto qualcosa di più: abbiamo aggiunto che i bambini abbiano affetto e cura, la vision aggiunge questa sottolineatura del valore affettivo, che è molto importante.

Che programmi ha Mission Bambini per il futuro?
Abbiamo fatto per la prima volta un piano triennale, per il 2018-20. L’obiettivo è far passare la raccolta fondi da 5,4 milioni a 7 milioni, in tre anni: è un piano con i piedi per terra, ma c’è da lavorare. Ci sono alcuni strumenti di raccolta fondi che hanno perso efficacia, come l’sms solidale, mentre il crowdfunding ci sta dando grandi soddisfazioni, con #Givethebeat abbiamo raccolto 104mila euro. Il bilancio del 2017 dice che in Fondazione Mission Bambini il 78% dei fondi impiegati va per l’attività istituzionale, un dato di cui sono molto orgoglioso. Stiamo anche applicando per la prima volta la teoria dei cambiamenti, un modo diverso di valutare l’impatto dei progetti, è un passo culturale importante. Insomma, c’è ancora tanta voglia di fare e donare il mio tempo da volontario, anche a 80 anni.

Foto di copertina di Roberto Morelli. Lo scatto relativo al progetto sulle cardiopatie infantili è di Simone Durante.