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Msf: «L’attuale sistema di accoglienza è causa di mancato inserimento sociale»

"Molte persone non hanno i diritti di base come accesso ad acqua e salute anche se in possesso di permesso di protezione umanitaria", sottolinea Giuseppe De Mola, curatore del rapporto "Fuori campo", presentato oggi e dedicato agli insediamenti informali in cui vanno a vivere in precarie condizioni le persone uscite dai centri di accoglienza

di Daniele Biella

“L’attuale sistema di accoglienza si dimostra inadeguato per gestire il corretto inserimento sociale per le persone che escono dall’accoglienza con l’accettazione della domanda di protezione e per la gestione successiva di chi ha avuto un diniego o non vuole rimanere in Italia a chiedere asilo”. Giuseppe De Mola, advocacy officer dell’ong Medici senza frontiere, offre un verdetto netto nel giorno in cui esce il rapporto “Fuori campo”, di cui è stato curatore e che ha analizzato le condizioni di vita in 47 insediamenti informali lungo l’Italia in cui vivono almeno 10mila persone, “in tre macroaree: le zone urbane, le zone di lavoro stagionale, le frontiere”.

Il rapporto (scaricabile qui dal sito di Msf o direttamente in fondo a questo articolo, con le foto a cura di Alessandro Penso) è il secondo di questo tipo, dopo il primo del 2015. “Il problema è confermato: dei 180mila posti attuali in accoglienza, almeno 140mila sono in Cas, Centri di accoglienza straordinaria, dove la gestione funziona bene o meno a macchia di leopardo”. Uno dei problemi maggiori sono “I ghetti del Sud Italia, che sono diventati da temporanei, ovvero abitati prima solo durante il periodo in cui c’è la raccolta, a stanziali, con in peggioramento delle condizioni”, spiega De Mola a Vita.it. “Molte persone anche con i documenti in regola finiscono a vivere lì perché non c’è stata prima un’integrazione efficace e non trovano dove vivere”. Una soluzione per migliorare le cose? “Ci sarebbe ed è diffondere il più possibile il sistema di accoglienza Sprar, gestito direttamente dai Comuni, ma non si sta facendo”, continua il curatore del rapporto di Medici senza frontiere.

Un capitolo centrale di “Fuori campo” è dedicato agli sgomberi forzati, “che vengono effettuati senza cercare prima soluzioni alternative e quindi lasciano le persone senza i diritti di base, ovvero accesso all’acqua e alle cure”, aggiunge De Mola. È a questo punto che entra in azione Msf con cliniche mediche per tamponare il problema, come può accadere anche lungo le frontiere, a Ventimiglia come a Como ma anche a Gorizia e Bolzano (un'indagine specifica del rapporto, dal titolo “Mal di frontiera”, è dedicata proprio alla situazione ai confini di terra italiani). Un altro grosso problema è la mancanza di adeguate cure sanitarie perché è difficile l’iscrizione al Servizio sanitario nazionale, soprattutto per chi si sposta di continua: “per esempio andrebbe garantito l’uso dello strumento del Stp, Straniero temporaneamente presente, tesserino che ti da diritto a cure di base, ma che per chi è in transito non viene attivato e spesso invece viene attivato per chi è richiedente asilo nei Cas anziché usare come da legge il medico di base, perché in quei casi nei hai diritto”.

Il rapporto rivela una situazione complicata che, se non gestita a dovere, potrebbe aumentare di problematicità, aumentando le uscite delle persone – con esisto della domanda positiva o negative – dal centro di accoglienza. “L’assistenza umanitaria è da rafforzare, migliorando le normative sui ricongiungimenti con chi è in altri Paesi europei, per esempio, e tutelando molto più di quanto si sta facendo oggi i minori stranieri non accompagnati”, rileva De Mola. Un’ulteriore parte della ricerca di Msf riguarda i cosiddetti “reati di solidarietà”, ovvero persone che vengono denunciate per avere aiuto in modo disinteressato e del tutto umanitario le persone. “Tali reati sono in aumento e noi cerchiamo di stare vicini a chi viene accusato perché non può esserci reato nell’aiutare una persona a salvarsi la vita, come avviene nel mar Mediterraneo, e ad avere almeno le minime condizioni di dignità umana”.

La mappa degli insediamenti informali visitati da MSF

Ø 47 luoghi informali in 12 regioni: Trentino Alto Adige (1), Calabria (5), Campania (2), Emilia Romagna (1), Friuli Venezia Giulia (4), Lazio (11), Liguria (1), Lombardia (3), Piemonte (5), Puglia (7), Sicilia (6), Toscana (1).

Ø Tipologia: i siti informali sono edifici abbandonati o occupati (53%), luoghi all’aperto (28%), tende (9%), baracche (4%), casolari (4%), container (2%).

Ø Servizi: il 45% degli insediamenti ha accesso all’acqua e all’elettricità, il 55% no

Ø Composizione: il 53% degli insediamenti è abitato soltanto da uomini adulti, 13% da uomini e donne adulti, il 34% da adulti con minori. In 17 su 47 insediamenti informali è stata riscontrata la presenza di minori al di sotto dei 5 anni.

Ø Nazionalità: ci sono persone provenienti dall’Africa sub-sahariana e dal Corno d’Africa, ma anche da Siria, Iraq, Pakistan, Afghanistan, appena arrivati in Italia o presenti nel nostro Paese da anni, titolari di una forma di protezione internazionale o umanitaria ma che faticano a raggiungere un inserimento lavorativo e abitativo stabile. In alcuni insediamenti informali si riscontra anche la presenza di cittadini italiani che condividono con richiedenti asilo e rifugiati le medesime condizioni di marginalità e vulnerabilità.


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