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Il Rei è un primo passo. Ora serve un rinnovamento del welfare

L'Alleanza contro la Povertà ha rivolto alle forze che si candidano a governare il Paese alcune richieste: «il reddito di inclusione va esteso, aumentato nella dotazione, attuato e considerato solo un primo passo di una stagione di rinnovamento»

di Redazione

«L’introduzione del Reddito d’Inclusione (Rei) ha rappresentato un risultato storico, che ha dotato finalmente l’Italia di una misura nazionale, strutturale, contro la povertà assoluta. Si tratta, però, del primo passo di un cammino da proseguire. Se ci si fermerà, infatti, il Rei si aggiungerà alla già lunga serie di riforme incompiute del nostro Paese. Ecco in che modo continuare il percorso intrapreso».

È questo l'appello che l'Alleanza contro la Povertà ha rivolto a tutte le forze politiche impegnate nella campagna elettorale.
Ecco il testo integrale:


Estendere la copertura del Rei ed incrementare il contributo economico
In Italia vivono in povertà assoluta 4,75 milioni di persone, pari al 7,9% della popolazione complessiva. Di questi il 53% (pari a 2,5 milioni di individui) riceveranno il Rei, mentre il restante 47% (vale a dire oltre 2 milioni di individui) ne resta – ad oggi – escluso. Inoltre, l’ammontare dei contributi economici è ancora lontano dal coprire la distanza tra il reddito degli utenti e la soglia di povertà assoluta, al di sotto della quale è impossibile soddisfare adeguatamente le proprie esigenze primarie (alimentazione, casa, vestiario, trasporti e altre necessità di base). Il confronto tra gli attuali importi medi mensili e i valori necessari – calcolati dall’Alleanza – è chiaro: circa 177 euro col Rei rispetto a 316 euro necessari (per una persona), 244 contro 373 (due), 282 rispetto a 382 (tre), 327 contro 454 (quattro), 330 invece di 710 (cinque e più). L’Alleanza, pertanto, richiede di estendere il Rei a tutti i poveri e di incrementarne gli importi, così da dotare l’Italia di una misura contro la povertà assoluta rivolta a chiunque sperimenti tale condizione e che sia di valore adeguato. La possibilità di accesso dei cittadini stranieri dovrebbe essere determinata coerentemente all’art. 41 del Testo unico sull’immigrazione.

Gli stanziamenti sinora previsti ammontano a circa 2,1 miliardi di Euro per quest’anno, 2,5 nel 2019 e 2,7 a partire dal 2020. Poiché per raggiungere tutte le famiglie in povertà assoluta, con contributi d’importo consono, servono circa 7 miliardi annui, ne mancano 4,3: ci si può arrivare gradualmente, attraverso un percorso pluriennale compatibile con le esigenze del bilancio pubblico. A tal fine l’Alleanza propone – come fa da tempo – l’adozione di un Piano nazionale pluriennale che superi progressivamente le attuali carenze. Il Piano prevede di procedere per gradi, ampliando l’utenza del Rei e rafforzando le risposte in ogni annualità rispetto alla precedente. Si tratta però di una gradualità all’interno di un percorso definito chiaramente sin dall’inizio, con precisi impegni riguardanti il punto di arrivo e le tappe intermedie. Un Piano così costruito fornirebbe a tutti i soggetti coinvolti nella realizzazione del Rei – a partire dai Comuni – quel quadro di riferimento preciso, in merito al percorso da compiere, che rappresenta la condizione necessaria affinché possano investire nel progressivo rafforzamento delle risposte fornite nei territori.

Riconoscere l’importanza dell’attuazione
Introdotto a fine 2017, il Rei entra quest’anno nella sua fase attuativa. Ora diventa cruciale la capacità dei soggetti del welfare locale di tradurre il nuovo intervento in pratica: è un impegno che chiama in causa i Comuni – titolari del Rei – e le altre realtà dei territori, a partire dai Centri per l’impiego, e che deve coinvolgere il Terzo settore e le forze sociali. I servizi territoriali, tuttavia, nel nostro Paese sono storicamente sottodimensionati, presentano criticità rilevanti in numerosi contesti e il contrasto alla povertà non rientra tra gli interventi ai quali si sono sinora maggiormente dedicati. Il Rei, in sintesi, rappresenta una riforma ambiziosa in un settore tradizionalmente poco sviluppato: la sua effettiva attuazione, pertanto, non potrà che incontrare notevoli difficoltà attuative.

Queste ultime costituiscono un elemento insito in qualunque riforma complessa e ambiziosa come il Rei, che – altrimenti – non sarebbe tale. In Italia, però, esiste una debole cultura dell’attuazione: si tende sovente a ritenere che l’introduzione di una norma rappresenti, in sé, la risoluzione di un problema, salvo poi sorprendersi delle criticità incontrate nel tradurla in pratica. Si deve, invece, riconoscere che il percorso attuativo non è meno importante di quello legislativo. Chi avrà responsabilità di Governo, dunque, è chiamato a compiere ogni sforzo per accompagnare il welfare locale nell’affrontare le inevitabili difficoltà attuative, creando le migliori condizioni affinché possano essere progressivamente superate. Vi rientrano lo sviluppo delle competenze dei servizi territoriali ed il raggiungimento di una loro idonea dotazione organica, attraverso opportuni interventi normativi per l’assunzione degli operatori sociali.

Decisivo, inoltre, sarà evitare la tentazione della “riforma della riforma”, sia essa realizzata con l’intento di apportare effettivi miglioramenti oppure per lasciare il proprio segno su questo importante capitolo del welfare italiano. L’esperienza dimostrerà che l’attuale impianto richiede aggiustamenti, certamente significativi: alcuni sono già evidenti ed altri emergeranno durante l’implementazione; per metterli opportunamente a fuoco bisogna, da subito, avviare un’incisiva strategia di monitoraggio e valutazione. Peraltro, il Rei è stato disegnato come uno strumento flessibile, che permette di apportare ogni opportuno miglioramento.

Esiste, però, una profonda differenza tra lavorare nell’ottica di attuare una riforma correggendola via via dove necessario, e ripartire ogni volta da zero. La storia del welfare italiano è, purtroppo, ricca di esempi di nuovi Esecutivi, nazionali, regionali o comunali, che – una volta insediatisi – hanno modificato in profondità le riforme introdotte dai loro predecessori al solo scopo di trasmettere un messaggio di discontinuità e con il solo risultato di rendere più difficile ai cittadini la fruizione degli interventi loro necessari. L’Alleanza, dunque, ritiene opportuno segnalare con forza i rischi di un ‘eventuale “riforma della riforma”.

Fare del Rei il punto di partenza di una stagione di rinnovamento del welfare
I ritardi del welfare italiano sono, come noto, numerosi. Affinché la lotta alla povertà non figuri più tra questi ritardi è necessario completare il percorso d’introduzione del Rei lungo le direttrici indicate. Per costruire un welfare capace di rispondere alle esigenze della società italiana di oggi, d’altra parte, mentre partire dagli ultimi ha un senso, fermarsi a essi certamente non lo avrebbe.

L’Alleanza richiede, pertanto, di fare del Rei il volano di una più ampia stagione di rinnovamento del nostro sistema di protezione sociale, diffondendo le logiche che hanno caratterizzato l’innovazione delle politiche contro la povertà. Primo, basta con misure una tantum, solo interventi strutturali. Secondo, universalismo nell’accesso: la possibilità di ricevere interventi pubblici deve basarsi esclusivamente sulle condizioni effettive di bisogno e non sull’appartenenza a specifiche categorie. Terzo, mettere al centro il welfare locale per costruire nei territori le risposte più adatte alle esigenze delle persone. Quarto, una stretta collaborazione tra i diversi livelli di governo (stato-regioni-comuni) e tra i soggetti pubblici e le realtà di rappresentanza sociale come unica strada possibile per costruire risposte adeguate.


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