Media, Arte, Cultura

L’allegoria politica di Wes Anderson inaugura la Berlinale 2018

La 68esima edizione della kermesse berlinese si apre con l'animazione in stop motion di “Isle of dogs” (L'isola dei cani) del regista americano. Un film fieramente dalla parte di chi cerca di ribellarsi contro dittatori, che afferrano il potere e non conoscono la democrazia, la pluralità e la diversità

di Monica Straniero

La 68esima edizione della Berlinale si apre con l'animazione in stop motion di “Isle of dogs”, “L'isola dei cani”, il nuovo film di Wes Anderson, a quattro anni di distanza da The grand Budapest Hotel che aveva dato il via all’edizione del 2014. Ambientato nel Giappone del 2037, racconta del sindaco della città di Megasaki che decide di intraprendere azioni drastiche per combattere la sovrappopolazione canina. Tutti i cani vengono deportati sull'isola dei rifiuti a causa del dilagare di un’influenza. Ma un lontano parente del dispotico sindaco, un ragazzino di 12 anni non ci sta e atterra sull'isola in cerca del suo cane.

Anderson ripropone lo stesso umorismo demenzial-intellettuale con un film intrinsecamente politico e di grande attualità in molti paesi del mondo. Un film fieramente dalla parte di chi cerca di ribellarsi contro dittatori, che afferrano il potere e non conoscono la democrazia, la pluralità e la diversità.

Il riferimento a Trump non é puramente casuale. In una sala stampa gremitissima con il cast di doppiatori all star che spazia da Edward Norton a Bill Murray, da Tilda Swinton a Bryan Cranston, che sono messi anche a cantare, il regista di film capolavoro come I Tenenbaum o Le avventure acquatiche di Steve Zissou, ha spiegato che Isle of dogs è sicuramente un film fantasioso, però come è ovvio c’è tanta realtà dentro.

Il sindaco Kobayashi che imbroglia nelle elezioni, che spaventa le persone con fake news per costruire più muri e creare nuova segregazione. Le false informazioni su una peste canina estremamente pericolosa per l'uomo è infatti sufficiente per un’operazione emotiva in grado di creare un certo livello di confusione nella popolazione. E se il complesso universo delle fake news riuscisse quindi a indebolire la democrazia? È tra le ipotesi che emergono dal film di Anderson.

The Isle of dogs è anche una storia di intolleranza verso le altre razze e i più deboli. Senza dubbio una parabola su una tendenza politica, che contrariamente ai movimenti progressivi e speranzosi del 1968 per un mondo migliore per tutti, difende la politica delle porte chiuse verso i movimenti migratori dei rifugiati politici ed economici.

La condanna all’esilio dei cani in un’isola discarica richiama la condizione di quasi un milione “dreamers”, giovani immigrati portati negli Usa da piccoli da genitori clandestini, che rischiano di perdere tutele rispetto alle deportazioni. I cani deportati e umiliati sono gli esseri umani espulsi dalle loro case e reclusi contro la loro volontà in condizioni di vita insostenibili.

Ma non tutto è perduto. La speranza per Anderson è che una rinascita culturale e sociale sia ancora possibile. Nel film i cani si organizzano per una grande azione di protesta per sfidare un sistema di potere che difende i privilegiati. A voler dire che mai come in questo momento c’è bisogno di una grande mobilitazione della società civile per contrastare il riemergere di tendenze e pratiche autoritarie che sta contagiando la vita politica dei paesi occidentali.


Tutte le foto, compresa quella di copertina che ritrae Greta Gerwig, Wes Anderson and Tilda Swinton sul red carpet di Berlino​ sono a cura di Lavinia Pinzari


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA