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Nasce il fondo maternità per le atlete

Un piccolo importante passo che, forse, potrebbe aprire la strada alla revisione della legge 91 del 1981, quella che non riconosce il professionismo alle atlete e che nega dignità alle donne dello sport italiano. Verrà pubblicato in Gazzetta ufficiale, con l’istituzione del fondo unico a sostegno dello sport italiano, entro il 20 marzo

di Mara Cinquepalmi

Questione di giorni e il fondo unico a sostegno dello sport italiano sarà pubblicato sulla Gazzetta ufficiale. Un documento atteso da tempo e da tante, soprattutto, visto che nel decreto a firma dei ministri Lotti e Padoan è previsto anche il fondo maternità per le atlete.

Un piccolo importante passo che, forse, potrebbe aprire potrebbe aprire la strada alla revisione della legge 91 del 1981, quella che non riconosce il professionismo alle atlete e che nega dignità alle donne dello sport italiano.

Il decreto è figlio di un percorso che nasce da una protesta, quella messa in atto dalle calciatrici di serie A il 17 e 18 ottobre 2015, quando si rifiutarono di scendere in campo per la prima di campionato. A far incrociare le braccia alle calciatrici la mancata applicazione di alcune importanti modifiche nel sistema del calcio femminile come l’abolizione del vincolo sportivo, la possibilità di firmare contratti pluriennali e nuovi finanziamenti.

Da quell’ottobre 2015, data storica per lo sport italiano, è nato un percorso che ha portato all’istituzione di un tavolo di lavoro, attorno al quale si sono seduti il Governo, il Coni, le federazioni sportive e le associazioni di categoria per mettere a punto una serie di misure, come quella della tutela della maternità.

Katia Serra, ex calciatrice di serie A in Italia e in Spagna e ora responsabile del settore calcio femminile dell’AIC – Associazione Italiana Calciatori, ha partecipato sin dal primo incontro a quel tavolo e oggi che il decreto sta per essere pubblicato tira un sospiro di sollievo: «Si è fatto anche abbastanza in fretta considerati i tempi della politica e che la legislatura era in scadenza. Non si poteva più rimandare. Quello della maternità è un diritto universale. Chi poteva dire di no? Sarebbe stato impopolare». I tempi erano maturi anche perché negli ultimi anni in tante hanno alzato la voce sulle discriminazioni che subiscono le atlete, come la stessa AIC, l’associazione Assist che nel settembre 2015 fece il punto nel primo meeting nazionale dello sport femminile, alcune parlamentari come Laura Coccia e Josefa Idem.

Il decreto fissa due principi importanti: garantire alle atlete il diritto di proseguire il percorso sportivo interrotto durante la maternità; dare una continuità retributiva anche durante il periodo di congedo. Infatti, il contributo prevede mille euro al mese fino ad un massimo di dieci mesi. Per il fondo sono stati stanziati tre milioni di euro per il 2018, mezzo milione nel 2019, uno nel 2020 e per gli anni successivi a regime. Dal provvedimento sono escluse quelle atlete che svolgono un’attività lavorativa che già prevede una tutela della maternità e quelle che appartengono ai gruppi sportivi militari o ad altri gruppi che garantiscono una tutela previdenziale per le future mamme. Inoltre, il decreto prevede anche risorse per sostenere eventi sportivi femminili a rilevanza nazionale e internazionale. «Abbiamo fatto un buon lavoro – prosegue Serra – ora manca solo la previdenza».

Forse ora inizia la partita più difficile: far conoscere il fondo maternità.
«Nella serie A di quest’anno – racconta ancora Katia Serra – ci sono due mamme. Mi mettevo nei loro panni. Si sono fermate, hanno fatto un figlio e nessuno le pagava. Quando rientri dopo la nascita di un figlio, non sai nemmeno se la società ti riprende».

Il traguardo più ambizioso resta la revisione della legge 91, anche se negli ultimi anni non sono mancate iniziative per modificarla, come ad esempio il disegno di legge Fedeli, Idem, Ranucci contro le discriminazioni di genere nello sport, presentato nel luglio 2015, assegnato alla Commissione parlamentare competente ma mai approdato in Aula. Oppure la proposta Coccia alla Camera, anche questa ferma in Commissione.

Dove sono le donne dello sport? Passati i clamori delle vittorie olimpiche, lo sport femminile italiano torna nel suo cono d’ombra. Lontano dai riflettori, le sportive – come abbiamo visto – non hanno tutele, non sono professioniste, ma sono assenti anche nel governo dello sport.

Secondo “I numeri dello sport 2016”, il report più recente redatto dal Coni, lo sport italiano è ancora a trazione maschile. Basta guardare la composizione della Giunta e del Consiglio del Coni per capire quante sono le donne. Rispetto a qualche anno fa, però, qualcosa è cambiato: ad esempio, nell’ultima Giunta del Coni, sempre guidata da Giovanni Malagò, c’erano solo due donne in quota atleti, dal 2017, pur non essendo cambiato il numero, una è vicepresidente, l’ex olimpionica di windsurf Alessandra Sensini. Prima di lei, nella Giunta di Giovanni Petrucci, era stata Alessandra Bianchedi a ricoprire quel ruolo; l’altra, invece è in quota tecnici, Valentina Turisini, tiratrice a segno. Anche nel Consiglio c’è stato qualche piccolo cambiamento. Nell’ultimo c’erano solo quattro donne (tre in rappresentanza degli atleti e una per i tecnici), oggi sono 8: cinque per gli atleti, due per i tecnici e una per le discipline associate. Continuano, però, ad essere tutti uomini i 45 presidenti delle Federazioni sportive nazionali.

Anche nella pratica sportiva le cose non vanno meglio. Le federazioni calcio (98%), tiro al volo (96%) e aeroclub (95%) sono quelle con il maggior numero di atleti tesserati, mentre sono solo cinque sono le federazioni in cui la percentuale di atlete tesserate è maggiore rispetto a quella degli atleti maschi: ginnastica (88%); pallavolo (78%); danza sportiva (71%); sport equestri (70%) e hockey e pattinaggio (69%).

Anche tra gli atleti tesserati delle Discipline Sportive Associate si osservano forti differenze di genere: 17 su 19 sono a prevalenza maschile, solo nel bridge si raggiunge la perfetta parità di genere.

C’è, però, anche un problema di dati, di statistica come finalmente ha riconosciuto il Coni proprio nell’ultimo report: «L'impossibilità di disporre di statistiche riferite al passato sulla parità di genere nel mondo federale – si legge nel report – impedisce di analizzare in chiave storica l'evoluzione della partecipazione femminile nel sistema sportivo italiano». Nel 2016 la quota di atlete, rispetto ai 4 milioni e mezzo di tesserati, è pari al 27,2% contro il 72,8% di atleti maschi, percentuale in aumento di 3 punti rispetto al 24% stimato nel 2013 e di 0,3 punti rispetto all’anno precedente.


Nella foto di copertina l'atleta olimpionica di Biathlon italiana Dorothea Wierer


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