Sezioni

Attivismo civico & Terzo settore Cooperazione & Relazioni internazionali Economia & Impresa sociale  Education & Scuola Famiglia & Minori Leggi & Norme Media, Arte, Cultura Politica & Istituzioni Sanità & Ricerca Solidarietà & Volontariato Sostenibilità sociale e ambientale Welfare & Lavoro

Politica & Istituzioni

Reddito di cittadinanza, reddito minimo, reddito di base: un dibattito tutto da iniziare

Reddito di cittadinanza o reddito minimo? Legato al lavoro o non condizionato al reinserimento lavorativo? Le distinzioni sono cruciali, ma anche il dibattito. Tutto da iniziare

di Marco Dotti

Reddito di cittadinanza o reddito minimo? La distinzione non è da poco. Lo osservava Roberto Ciccarelli sul quotidiano Il manifesto. Spiegando come il progetto legato al nome di Pasquale Tridico, , sia in realtà, secondo le stesse parole del ministro del lavoro in pectore in un ipotetico governo a 5 stelle, «un reddito minimo condizionato alla formazione e al reinserimento lavorativo».

I termini del discorso

Un equivoco non da poco, spiega Ciccarelli, giornalista attento ma anche filosofo e autore del recente Forza lavoro (DeriveApprodi, 2017, ne abbiamo parlato su Vita: qui). Un equivoco, aggiungiamo noi, che però i media hanno negli anni scorsi contribuito a generare. Più volte su queste pagine avevamo spiegato come il presunto “reddito di cittadinanza” sperimentato a Helsinki non fosse tale ma prefigurasse, di fatto, quasi un dimezzamento del sussidio di disoccupazione finlandese. Nulla da fare: il muro di gomma della superficialità è inscalfibile e non teme verifiche nei fatti.

Osserva Ciccarelli osserva che, in questi anni, si è diffuso l’uso del concetto di «reddito di cittadinanza», ossia l’erogazione di un reddito a tutti i cittadini a vita per indicare il suo opposto. E che cos’è l’opposto del reddito di cittadinanza? Semplice è un reddito condizionato all’obbligo di un lavoro. Un salario di inserimento.

Flexsecurity e workfare

Torniamo alla proposta-Tridico. Per Ciccarelli il nodo critico è la creazione di un sistema di «attivazione» di precari e disoccupati. «l reddito minimo condizionato, però, spiega Roberto Ciccarelli è l’applicazione del «workfare nel film Io, Daniel Blake di Ken Loach. Quello che dagli anni Novanta con la malintesa flexsecurity del pacchetto Treu, fino al Jobs Act del 2015 avrebbero voluto realizzare, senza ancora riuscirci, con l’istituzione dell’Agenzia Nazionale per le Politiche Attive (Anpal). I Cinque Stelle intendono ripartire da qui per costruire un sistema già operativo in Inghilterra o in Germania (Hartz IV)».

Reddito minimo (condizionato all’impiego), inoltre, è ben diverso dal reddito di base incondizionato, cioè sganciato dall’obbligo del lavoro. Perché, allora dovremmo preferire il secondo al primo? Per evitare di lavorare? No.

Per essere all’altezza della sfida della jobless society e, nell’ipotesi di Ciccarelli, «per rifiutare i ricatti, non lavorare al servizio del rigore della tecnocrazia Ue, rispettare l’autonomia delle persone, per la liberazione, non il controllo e la messa al lavoro della povertà per il bilancio dello Stato».

Quella del M5S è una proposta, ovviamente. Ma se si deve aprire un dibattito bisogna prima di tutto chiarirsi sui termini per evitare malintesi e fraintendimenti.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA