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Verso il 2030: una scansione dell’orizzonte delle industrie culturali e creative

Un importante studio realizzato da Nesta, la principale fondazione inglese attiva nel campo dell'innovazione, invita le organizzazioni culturali a puntare sulla sperimentazione, sull'adozione di nuove pratiche organizzative e su un uso sapiente dei dati, e ad adottare una visione integrata capace di affermare la complementarità tra gli obiettivi del settore culturale e gli obiettivi sociali ed economici generali

di Vittoria Azzarita

Come cambieranno le organizzazioni artistiche e culturali nei prossimi dieci anni? Per cercare di rispondere a questa domanda, Nestala principale fondazione inglese attiva nel campo dell'innovazione – ha condotto una ricerca volta a contribuire all'elaborazione del prossimo piano programmatico dell'Arts Council England (ACE), l'ente pubblico inglese che promuove, sviluppa e sostiene le “esperienze artistiche e culturali che arricchiscono la vita delle persone” investendo in un'ampia gamma di attività che spaziano dal teatro alla musica, dai musei alle biblioteche, dalla danza all'arte digitale, alla letteratura, all'artigianato. Il report redatto da Nesta – insieme al lancio di un confronto pubblico, aperto a tutti, per raccogliere idee e suggerimenti – rientra nella prima fase di un percorso di ascolto, articolato in cinque stadi consecutivi, che l'ACE condurrà nel 2018 e nel 2019 e che si concluderà con la pubblicazione del nuovo documento strategico per il periodo 2020-2030.

Il lavoro di ricerca realizzato da Nesta si basa su ventidue interviste semi-strutturate con esperti e operatori del settore culturale e creativo, sull'analisi della letteratura già esistente in materia e su alcuni studi e approfondimenti realizzati da Nesta nell'ambito di precedenti programmi di finanziamento. Gli esperti e gli operatori intervistati – che, come specificato nella nota metodologica dello studio, non sono un campione statisticamente rappresentativo né del contesto geografico di riferimento né delle attività che compongono l'intero sistema produttivo – sono stati selezionati in virtù della loro capacità di fornire una visione prospettica e informata sui pubblici del futuro, sui cambiamenti in atto nel mondo del lavoro, sui modelli di business emergenti e sulle sperimentazioni con le nuove tecnologie, con l'intento di fornire spunti di riflessione e di animare il dibattito sulle tendenze che sarà possibile osservare all'interno del settore culturale e creativo nei prossimi dieci anni.

Lungi dal fornire soluzioni definitive, lo scopo dello studio “Experimental Culture. A horizon scan commissioned by Arts Council England” non è quello di prevedere i cambiamenti futuri, ma di evidenziare alcune delle caratteristiche chiave del contesto in cui dovranno operare le organizzazioni culturali. Per gli autori l'analisi traccia i tratti distintivi degli enti e delle istituzioni culturali che saranno capaci di capitalizzare le opportunità offerte dai nuovi mercati, da strumenti innovativi e da pubblici ampi e diversificati, e rappresenta un'occasione unica per riformulare il ruolo delle organizzazioni culturali, “superando i limiti di un dibattito riduttivo che contrappone il valore 'intrinseco' all'impatto 'strumentale' ” a favore di una visione integrata capace di affermare “la complementarità tra gli obiettivi delle organizzazioni artistiche e culturali e gli obiettivi sociali ed economici generali”. Pur focalizzandosi sulla realtà inglese, lo studio di Nesta approfondisce quattro ambiti tematici – la partecipazione culturale, le professioni culturali, i nuovi modelli di business e le tecnologie digitali – le cui peculiarità possono essere rintracciate anche in altri contesti territoriali.

Pubblici e partecipazione culturale

Il Regno Unito, come molti altri Paesi europei, sta affrontando importanti problematiche di carattere socio-economico dovute al crescere delle disuguaglianze e a una persistente mancanza di mobilità sociale. In linea con questa tendenza generale, i pubblici delle attività artistiche e culturali sono a loro volta polarizzati in base a fattori socio-economici, demografici e geografici. A questo proposito, i risultati che emergono dall'indagine “Taking Part Survey”[1] del Department for Digital, Culture, Media and Sport (DCMS) e dal report “Enriching Britain: Culture, Creativity and Growth”, redatto dalla Warwick Commission,[2] suggeriscono che non ci sono stati progressi significativi nel ridurre le distanze tra i diversi gruppi sociali. L'indagine del DCMS mostra come in Inghilterra la partecipazione culturale sia rimasta relativamente stabile negli ultimi dieci anni, anche se risulta essere significativamente più alta tra le persone che appartengono al gruppo socio-economico più agiato (84,4% nel 2016-2017) rispetto a chi fa parte del gruppo socio-economico più basso (67,4% nel 2016-2017). Questa distanza – pari al 17% – si è ridotta di soli 2,9 punti percentuali negli ultimi dieci anni. Questo trend trova conferma anche negli studi della Warwick Commission, secondo i quali l'8% più ricco della popolazione rappresenta quasi il 30% di chi va a teatro e il 44% di chi assiste a concerti di musica dal vivo in Inghilterra, nonostante i numerosi interventi promossi nel corso degli anni per incentivare la partecipazione culturale da parte di pubblici diversi.

Nel complesso, le analisi citate da Nesta indicano che il pubblico della cultura finanziata con fondi pubblici non è rappresentativo dell'intera popolazione inglese, ma si orienta verso la parte più benestante, ben istruita e bianca. Tuttavia per la Warwick Commission ciò non implica necessariamente una mancanza di coinvolgimento nelle attività culturali dei soggetti esterni ai gruppi socio-economici più elevati, in quanto la bassa partecipazione può essere l'effetto di una discrepanza tra gli interessi del pubblico e l'offerta culturale che riceve finanziamenti da parte dello Stato. Una tesi che trova conferma anche nei dati raccolti attraverso il progetto di ricerca “Understanding everyday participation. Articulating cultural values”, finanziato dall'Arts and Humanities Research Council nell'ambito del programma Connected Communities: Cultures and Creative Economies. Il progetto parte dall'assunto che l'impostazione sia delle politiche culturali, sia dei programmi di finanziamento pubblici, necessiti di una radicale revisione dei concetti di partecipazione culturale e di valore della cultura. L'approccio classico al coinvolgimento culturale si basa, infatti, su una definizione limitata e obsoleta di partecipazione che include attività di tipo tradizionale, come visitare musei oppure assistere a concerti e spettacoli teatrali, ma trascura attività più informali oscurando il significato di altre forme di partecipazione culturale che hanno luogo nella vita di tutti i giorni. Per Eleonora Belfiore, esperta di politiche culturali e direttrice della Warwick Commission, le implicazioni politiche di queste ricerche sono chiare: “gli approcci di audience development attualmente sostenuti dai policy makers, da chi finanzia le arti e dai settori culturali non hanno funzionato, e le opportunità culturali sovvenzionate dallo Stato rimangono socialmente stratificate in termini di classe, etnia, livello di istruzione e reddito, anche dopo 70 anni di impegno politico costante a favore dell'accesso (almeno a livello di retorica politica). Ciò invita a mettere in discussione la rilevanza culturale della cultura pubblica supportata dallo Stato nell'esperienza culturale e creativa vissuta dalla grande maggioranza del pubblico inglese”.[3] Esperienza nella quale, secondo Nesta, la “creatività quotidiana” è destinata a diventare un fenomeno pervasivo grazie alle arti partecipative, alla diffusione delle attività digitali tra i giovani e alla riscoperta dell'artigianato.

Nella visione del futuro delineata da Nesta, alla necessità di una revisione delle politiche culturali si sommano i cambiamenti demografici, che avranno a loro volta un impatto rilevante sulle organizzazioni artistiche e culturali nei prossimi dieci anni. Ad esempio, l'aumento del numero di anziani con una elevata disponibilità di risorse economiche, tempo libero e propensione per la cultura sarà un'opportunità da cogliere per il settore culturale. Anche i Millennials saranno un importante bacino di consumatori culturali nei prossimi anni e, in virtù del loro essere una generazione totalmente immersa nel digitale, saranno maggiormente attratti dalle novità, dalla possibilità di scegliere tra una vasta gamma di prodotti culturali e dalla personalizzazione delle esperienze culturali. In un'ottica più ampia di audience development, i pubblici della cultura continueranno a manifestare un forte interesse nei confronti di un coinvolgimento concreto e attivo, in cui le nuove tecnologie sono viste come strumenti per creare esperienze complementari e non sostitutive degli eventi e delle iniziative dal vivo.

Mondo del lavoro e professioni culturali

In linea con il trend europeo, anche il settore culturale inglese ha fatto registrare una crescita dell'occupazione tra il 2011 e il 2016: il numero di occupati nei comparti della musica, delle arti visive e delle performing arts è aumentato del 36,6%, mentre il numero di chi lavora nei musei, gallerie d'arte e biblioteche è cresciuto ad un ritmo più contenuto facendo registrare un aumento dell'1,8%. Nel frattempo, l'occupazione nel più vasto settore delle industrie creative è cresciuta del 25,4%, tre volte più velocemente rispetto al resto dell'economia. La composizione interna dei settori culturali e creativi vede una prevalenza di piccole imprese, con l'89% delle realtà imprenditoriali che dà lavoro a meno di cinque persone. Più di un terzo dei lavoratori creativi è un freelancer; tale proporzione cresce ancora di più nel settore artistico e culturale, dove i liberi professionisti sono il 47,6% rispetto al 16,6% dell'intera forza lavoro inglese. La diversità etnica cambia tra le diverse istituzioni culturali, ma in ogni caso non riflette la varietà della popolazione complessiva. La parità di genere è in media meglio rappresentata, anche se continuano ad essere presenti divari significativi rispetto ai salari percepiti e alla presenza delle donne nei ruoli apicali e dirigenziali. Inoltre il sistema produttivo inglese connesso alla cultura e alla creatività sembra non essere realmente meritocratico, al contrario di quanto la narrazione mainstream vorrebbe far credere. A metterlo in evidenza è stato un team di ricerca che ha analizzato i dati raccolti attraverso un'indagine nazionale, su vasta scala, sulla forza lavoro.[4] Pur in presenza di alcune differenze tra i diversi comparti, dalle elaborazioni fatte emerge che le industrie culturali e creative inglesi presentano una generale sotto-rappresentazione di lavoratori e collaboratori che provengono da famiglie che appartengono alla cosiddetta “classe operaia”. La presenza di tali disuguaglianze – in termini di origini sociali, genere, etnia e livelli di remunerazione – invita a riflettere sulla necessità di una maggiore inclusione e di nuove forme di regolamentazione di alcune pratiche di lavoro, come gli stage o gli impieghi a bassa o nulla retribuzione, che in molti casi rappresentano un passaggio obbligato per l'ingresso in numerose professioni culturali.

Guardando al più ampio spettro dei cambiamenti tecnologici, sociali ed economici, nel prossimo decennio l'automazione avrà un forte impatto sul mercato del lavoro nel suo complesso. In ogni caso, Nesta ritiene che le professioni creative siano particolarmente resistenti allo svolgimento automatico di determinati processi lavorativi. A dimostrarlo sono i risultati di una loro precedente ricerca,[5] secondo i quali l'87% delle professioni creative è a basso (o bassissimo) rischio di automazione. Nesta suggerisce che, più in generale, i ruoli che combinano capacità cognitive di alto livello – quali l'originalità, l'apprendimento attivo e il pensiero sistemico – con forti competenze sociali e comunicative – ossia i tratti distintivi del lavoro creativo – saranno sempre più richiesti. Tuttavia, nel lungo periodo i tagli dell'offerta formativa e la riduzione delle ore di insegnamento delle materie artistiche e culturali potrebbero influire in maniera negativa sul vantaggio competitivo del Regno Unito, soprattutto per ciò che concerne la disponibilità di persone qualificate e competenti. A tal proposito, la Brexit presenterà ulteriori incertezze rispetto al reperimento di talenti e di figure professionali specializzate. Sebbene i dati mostrino che, in proporzione, le organizzazioni artistiche e culturali inglesi impieghino meno lavoratori provenienti dagli altri Paesi europei rispetto al resto dell'economia, in alcune aree specifiche il loro ruolo è particolarmente importante. Pertanto in futuro accedere a questo tipo di lavoratori con breve preavviso potrà essere alquanto problematico.

I modelli di business e i sistemi di finanziamento

Sul fronte economico-finanziario, lo studio di Nesta mostra che anche il mercato dei contenuti artistici e culturali sta diventando sempre più globale, allargando in questo modo i pubblici potenziali delle organizzazioni culturali. Allo stesso tempo, il crescente utilizzo delle nuove tecnologie permetterà a più organizzazioni di raggiungere un pubblico più ampio, aumentando la competizione sia all'interno che all'esterno del settore. I ricercatori di Nesta fanno notare che per le organizzazioni artistiche e culturali che ricevono finanziamenti pubblici, tra le proiezioni più significative per il prossimo decennio c'è quella delle continue pressioni sulla spesa pubblica: l'aumento dei costi sanitari e dell'assistenza sociale e l'indebitamento finanziario in corso nel Regno Unito, uniti alle incertezze economiche relative alla Brexit, faranno sì che gli investimenti pubblici nelle arti e nella cultura saranno probabilmente sottoposti a un controllo più approfondito.

Se è vero che prevale un clima generale di insicurezza, è vero anche che un primo segnale positivo è arrivato a fine marzo con il lancio da parte del DCMS del “Creative Industries Sector Deal”, la nuova strategia industriale per il potenziamento delle industrie creative che prevede un investimento congiunto da parte del governo e dei settori produttivi di oltre 150 milioni di sterline per aiutare le imprese culturali e creative della Gran Bretagna ad essere maggiormente competitive.[6] Il nuovo piano strategico sosterrà anche il lancio del Cultural Development Fund, che nei prossimi due anni metterà a disposizione delle città inglesi una quota di 20 milioni di sterline da investire in iniziative creative e culturali. L'accordo settoriale mira a raddoppiare la quota detenuta dalla Gran Bretagna nel mercato globale dei contenuti creativi immersivi entro il 2025, che si prevede avrà un valore di oltre 30 miliardi di sterline. Per cogliere le opportunità offerte da questo mercato in espansione, il governo inglese investirà oltre 33 milioni di sterline nello sviluppo di tecnologie immersive come videogiochi in realtà virtuale, mostre d'arte interattive ed esperienze di realtà aumentata nel turismo.

Nonostante questi importanti investimenti pubblici nel settore culturale, per Nesta è chiaro che continuerà ad esserci la necessità di aumentare l'ampiezza delle opportunità di finanziamento, in quanto nei prossimi cinque anni le organizzazioni artistiche e culturali inglesi avranno bisogno di 309 milioni di sterline per poter investire in nuovi flussi di entrate e far crescere quelli esistenti. Pertanto le sponsorizzazioni private, le risorse messe a disposizione dalla filantropia istituzionale e i nuovi strumenti finanziari, come l'impact investment e il crowdfunding, saranno una componente sempre più significativa del “funding mixdi questo tipo di organizzazioni. Anche la distribuzione digitale e la raccolta di dati, rese possibili dalle nuove tecnologie, consentiranno alle istituzioni culturali di ottimizzare i propri modelli di business, ad esempio attraverso l'implementazione di modalità di pagamento dinamiche in cui il costo del biglietto per un evento o una mostra potrà cambiare nel corso del tempo a seconda del livello della domanda. In ogni caso, esiste il rischio che alcune organizzazioni culturali – soprattutto quelle più piccole – non potranno accedere alle competenze tecniche e manageriali necessarie per cogliere le nuove opportunità commerciali del settore.

Il contributo delle nuove tecnologie

Dal punto di vista delle nuove tecnologie, il report di Nesta evidenzia come la cosiddetta “rivoluzione digitale” debba ancora compiersi pienamente, dal momento che molte organizzazioni artistiche e culturali continuano ad incontrare ostacoli alla sperimentazione, quali ad esempio la mancanza di accesso al credito e i vincoli connessi alla capitalizzazione delle risorse digitali. Guardando al prossimo futuro, secondo le analisi di Nesta ci saranno numerosi progressi nel settore delle nuove tecnologie che avranno implicazioni rilevanti anche per il settore artistico e culturale. In particolare, la Realtà Virtuale, la Realtà Aumentata e la “Mixed Reality conosceranno una crescita significativa e i contenuti artistici e culturali saranno uno dei fattori trainanti di queste tecnologie, che diventeranno sempre più diffuse nella società in generale. Le gallerie virtuali e le performance immersive diventeranno un potente strumento di coinvolgimento dei pubblici localizzati in diverse aree geografiche e rappresenteranno una nuova fonte di entrate per le organizzazioni culturali che sapranno cogliere questa opportunità.

Un ulteriore campo di sviluppo sarà quello dell'intelligenza artificiale e delle macchine capaci di apprendere, che potrà aiutare le industrie culturali e creative ad offrire servizi più efficienti, ad innovare le loro pratiche e ad estrarre valore dall'enorme quantità di dati in loro possesso. A ciò si aggiunge il fatto che l'intelligenza artificiale sta iniziando a diventare parte integrante della creatività, con un numero crescente di artisti che collabora a questo tipo di progetti. Tuttavia, sfruttare queste tecnologie spesso significa intraprendere nuove collaborazioni, in particolare con le grandi imprese tecnologiche che detengono sia le professionalità sia gli strumenti necessari alla loro implementazione. Le organizzazioni artistiche e culturali avranno bisogno di capire in che modo strutturare al meglio queste relazioni per rispondere ai loro bisogni e massimizzare il valore prodotto nel lungo periodo.

Consigli per il futuro

Data la grande diversità delle organizzazioni che operano all'interno del settore culturale, non può esserci una sola modalità per rispondere ai cambiamenti futuri. Il report di Nesta suggerisce alcuni comportamenti e pratiche che potranno aiutare le organizzazioni culturali ad affrontare le sfide dei prossimi anni. Tra questi risultano essere particolarmente rilevanti la capacità di essere più sperimentali nell'utilizzo delle nuove tecnologie, l'adozione di nuove pratiche organizzative e un uso più sapiente dei dati al fine di comprendere il modo migliore per coinvolgere un pubblico più ampio e per testare nuovi modelli di business.

Nonostante l'incertezza all'orizzonte, Nesta fa notare come molte organizzazioni artistiche e culturali abbiano già superato con successo decenni – e in alcuni casi secoli – di cambiamenti sociali ed economici reinventando e rinnovando il rapporto con i propri pubblici di riferimento. Questa creatività, tipica del settore culturale, sarà vitale per sostenere il valore delle industrie culturali e creative anche in futuro. Centrale per raggiungere un pubblico più vasto e diversificato sarà la costruzione di una rete di partnership con università, aziende tecnologiche e altre istituzioni aperte alla condivisione di strumenti e competenze. Nella pratica spesso occorrono tempo e risorse per esplorare le potenzialità delle tecnologie emergenti, per connettersi con nuovi segmenti di pubblico e per costruire relazioni solide e durature sia a livello locale che internazionale. “È qui – scrive Nesta – che i finanziamenti pubblici a favore della cultura e della creatività giocheranno un ruolo particolarmente critico nei prossimi anni, consentendo alle organizzazioni culturali di assumersi dei rischi e di distribuire i benefici prodotti in tutto l'ecosistema”.

Note


1 “ Taking Part Survey” è la principale indagine sulla partecipazione culturale e sportiva, realizzata in Inghilterra. A partire dal 2005 l'indagine viene ripetuta ogni anno e raccoglie informazioni su un campione rappresentativo della popolazione nazionale. L'indagine si concentra sulla partecipazione a eventi culturali, musei, gallerie d'arte, biblioteche, siti culturali e attività sportive e creative, analizzando anche le motivazioni e i principali ostacoli alla partecipazione culturale.

2 La Warwick Commission è stata istituita dall'Università di Warwick nel 2007. Lo scopo della Commissione è quello di stimolare il dibattito pubblico e di aiutare i policy makers a trovare soluzioni a problemi molto complessi. Le attività della Commissione e i suoi rapporti di ricerca rappresentano un esercizio di politica pubblica, informato da un rigoroso pensiero accademico e analitico.

3 Belfiore E., 2016. Cultural policy research in the real world: Curating `impact', facilitating `enlightenment'. Cultural Trends, 25 (3), pp. 205-216.

4 Dave O’Brien, Daniel Laurison, Andrew Miles & Sam Friedman (2016), “Are the creative industries meritocratic? An analysis of the 2014 British Labour Force Survey”, Cultural Trends, 25:2, 116-131, DOI: 10.1080/09548963.2016.1170943

5 Bakhshi, H., Frey, C. and Osborne, M. (2015) ‘Creativity vs Robots: the creative economy and the future of employment.’ London: Nesta.

6 Il Creative Industries Sector Deal prevede che, entro il 2023, le industrie culturali e creative inglesi produrranno un valore aggiunto di 150 miliardi di sterline e creeranno 600mila nuovi posti di lavoro.


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