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Il melting pot felice di Agostino Iacurci

È uno dei più ammirati street artist italiani. A Milano presenta i suoi nuovi lavori fatti al cavalletto. Una carrellata sorprendente di immagini “rubate” al passato e accese con la vitalità di colori folgoranti

di Giuseppe Frangi

Tra i ringraziamenti che Agostino Iacurci ha messo in calce alla sua nuova mostra ce n’è uno molto particolare: Eftychia.

Eftychia è un semplice kebab tenuto da una famiglia greca a Berlino, dove Iacurci vive. Ma Eftychia è anche una miniera, perché nel retro del negozio Agostino un giorno ha scoperto una specie di museo con cui i proprietari orgogliosamente mettevano in mostra le bellezze del loro passato: quindi colonne, capitelli, frammenti di statue, tutte in plastica o in gesso. Anche Iacurci viene da una terra dal profondo passato, la Puglia daunia, terra attraversata dai soffi della Magna Grecia prima dell’arrivo dei Sanniti.

Oggi alcuni di quei manufatti, debitamente accesi di colori psichedelici, e abbinati ad altri ritrovamenti di chincaglieria archeologica sono diventate opere di Agostino Iacurci. Un po’ inevitabilmente la mostra aperta alla Galleria M77 di Milano si intitola Gyspoteca.

I lettori di Vita hanno avuto modo di conoscere il talento dell’artista pugliese, grazie alla bellissima copertina da lui realizzata per il numero di giugno 2017. Ma più volte abbiamo avuto modo di parlare di Iacurci per gli spettacolari murales che ha realizzato in tante città del mondo. Iacurci è un artista che lavora sulle grandi superfici dei muri con la stessa attenzione al dettaglio che ritroviamo ora nelle opere esposte a Milano. E costruisce le immagini con la stessa capacità di equilibrio e di ritmo, qualunque dimensioni abbiano.

Il mondo di Iacurci è un mondo che istilla simpatia. La sua capacità di solcare i secoli produce un riciclo fantasioso, ironico e insieme festoso, di forme del passato. Vasi, colonne, busti sono i punti fermi che fissano le sue geometrie, che finiscono con l’inglobare tutte le grandi tradizioni con cui lui è venuto in contatto e che lo hanno fatto innamorare (alcune opere risentono ad esempio di un viaggio in Messico). Come scrive Michele Bonuomo nella presentazione, il passato visto da Iacurci è un’opera aperta. È come una sorgente che non smette di generare possibilità creative, istigando ad una massima libertà e anche sfacciataggine. Lo spazio di una scala ad esempio è stato trasfigurato da altissime arcate dipinte in trompe l’oeil con variazioni molto divertite di arancioni. Arrivati in cima scopriamo sul parapetto opposto un mezzobusto femminile, riciclo di paccottiglia classica meravigliosamente redento grazie al rosa osé della capigliatura e dell’improbabilissimo abito a pois.

L’intelligenza di Iacurci è quella di prendere molto sul serio questo immenso bacino di forme e di immagini che sono il substrato della sua e nostra storia, ma di non rifugiarsi in un eclettismo comprensibile a pochi. Il suo linguaggio resta un linguaggio per tutti. Le sue superfici piatte e bidimensionali compongono dei pattern contemporanei, che però di soppiatto ci mettono sotto gli occhi misure e proporzioni derivato da una bellezza antica. Il tutto sempre con la convinzione che la forma panciuta di un’anfora sia stata pensata così per veicolare un messaggio di felicità per gli uomini. Che sia oggetto o semplice sagoma disegnata con nitore sulla tela, poco importa. L’uno e l’altra comunicano comunque una dimensione di godimento e di abbondanza.


Tutte le foto sono a cura di Lorenzo Palmieri


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