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Per fare i medici rianimatori in una terapia intensiva pediatrica, ogni tanto bisogna urlare

Prendersi cura di chi cura è fondamentale, perché «non si può curare se non si rimane sani». Alla Clinica de Marchi, da tre anni, una psicologa offre supporto ai medici della terapia intensiva pediatrica, con il sostegno dell'associazione Salvagente Italia. Dalle loro voci è nato il libro “Turno di parola”

di Sabina Pignataro

Quando ci immaginiamo la terapia intensiva pediatrica pensiamo subito alla sofferenza dei bambini e dei genitori. Difficilmente il nostro pensiero include anche il dolore dei medici e degli infermieri che ogni giorno si consumano sul dolore dei molti che aiutano. Non è così invece alla Clinica de Marchi del Policlinico di Milano, dove da tre anni è attivo un supporto psicologico per i dieci medici rianimatori della Terapia Intensiva Pediatrica (TIP) affinché possano provare a trasformare in parole quel marasma interno che accompagna giorno e notte i medici di fronte a vite che sono appese ad un filo.

Il servizio, condotto dalla dottoressa Giorgia Cannizzaro, psicologa specializzata in emergenza, è finanziato dall’associazione Salvagente Italia con un contributo di 15 mila euro l’anno. È la prima volta in Italia che in un ospedale pubblico si mette al centro dell’attenzione la salute psicologica di chi cura, con tutte le sue questioni da risolvere, le sue paure, le sue contraddizioni, i vissuti di impotenza, i momenti dolorosi cui ci si è trovati ad assistere. «Siamo convinti – spiega Mirko Damasco, presidente di Salvagente – che i medici riusciranno a curare bene i piccoli pazienti se saranno gestiti bene le loro emozioni, il loro stress, le difficoltà del lavoro quotidiano in un reparto così particolare».

La dottoressa Cannizzaro racconta di come «all’inizio le parole scambiate con i medici erano timide, sottili e pacate; poi spinti dall'impellenza delle emozioni strabordanti e difficili da contenere e gestire, hanno cominciato a gridare». Da quel grido è nato il libro “Turno di parola. Rianimatori a nudo 7 giorni su 7", (Franco Angeli, 98 pagine, 15 euro), un testo di medicina narrativa che raccoglie le voci di questi medici che, sveste le loro divise verde smeraldo, raccontano cosa significhi svolgere un lavoro che li obbliga a sopportare turni massacranti, a Natale come a Ferragosto, a prendere decisioni importantissime in condizioni psicofisiche durissime, che li costringe a dire alle famiglie il dolore indicibile, che li sprona a cercare ogni volta soluzioni diverse anche quando tutte le tecnologie più sofisticate sembrano non essere sufficienti per restituire il sorriso ad un bambino che sta combattendo tra la vita e la morte.

«I racconti di questi medici – scrive lo psicanalista Massimo Recalcati nella prefazione al libro – fanno piangere di tenerezza, di commozione ma anche di ammirazione perché possiamo facilmente immaginare quanto costi vivere ogni giorno di fianco all’oscenità scabrosa e ingiustificata del dolore dei bambini». Il lavoro in Terapia Intensiva Pediatrica è di per sé difficile dal punto di vista fisico e psichico: quello dei rianimatori della Clinica De Marchi lo è ancora di più perché si svolge nel contesto di una Terapia Intensiva aperta 24 ore su 24 (una rarità in Italia, dove le terapie intensive aperte sono poco più del 2%), in cui le famiglie dei malati vivono gomito a gomito con il personale medico, dove le relazioni si fanno più intime, dove gli operatori devono mettere in gioco oltre che le loro conoscenze tecniche e specialistiche anche la loro umanità nel dialogare con i genitori che chiedono, aspettano e sperano vicino ai loro bambini. Fra lettini dove tubi, macchinari e aghi si mescolano a ciucci, carillon e peluche.

Stai lì anche se dentro ti senti rompere tutto e puoi vedere la tua frammentazione, il tuo cuore si apre in frammenti come quando esplode una bomba in un negozio di cristalli

Cristiano Gandini, medico rianimatore

Non è facile, scrive Cristiano Gandini, un altro medico coinvolto nel progetto, stare davanti a un bambino che sta morendo, senza potere scappare: «stai lì anche se dentro ti senti rompere tutto e puoi vedere la tua frammentazione, il tuo cuore si apre in frammenti come quando esplode una bomba in un negozio di cristalli». Per fare questo lavoro, per imparare a non piangere mentre gli altri lo fanno, aggiunge ancora Gandini, ci vogliono spalle larghe e infinito amore ma anche la piena consapevolezza della propria vulnerabilità. «È fondamentale, se si vuole resistere, imparare a chiedere aiuto». Anzi, è anche doveroso farlo: «Nella medicina tradizionale cinese – scrive Gandini nel libro – esiste il concetto di neigong: indica che non si può curare se non si rimane sani».

L’esperienza infatti, prosegue la psicologa Cannizzaro, non fa crescere “il pelo sullo stomaco” al personale medico che lavora nelle TIP, né tanto meno trasforma in routine il dolore degli altri. «Quel dolore resta, per tutti, una sofferenza da gestire». In una specie di ricerca di normalità davanti ad eventi che sono anormali, spiega Cannizzaro, «c’è chi cucina, chi suona, chi canta, chi si prepara per le Olimpiadi. Ognuno ha il suo modo per allontanare con metodo l’angoscia che resta appiccicata addosso, turno dopo turno», perché, ogni volta che un bambino muore «che lo si ammetta o meno, nella piccola bara bianca ci finisce anche un pezzettino di quel “curante” invisibile» a cui tende la mano il prezioso progetto di Salvagente Italia.

Foto Pexels


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