Sezioni

Attivismo civico & Terzo settore Cooperazione & Relazioni internazionali Economia & Impresa sociale  Education & Scuola Famiglia & Minori Leggi & Norme Media, Arte, Cultura Politica & Istituzioni Sanità & Ricerca Solidarietà & Volontariato Sostenibilità sociale e ambientale Welfare & Lavoro

Welfare & Lavoro

Intelligenza artificiale: come risponde la società civile?

Stefano Zamagni, sul numero del magazine in distribuzione, affronta le preoccupazioni del cosiddetto postuhumanims, del momento in cui avremo robot di terza generazione che invece di incrementare le performance umane le sostituiranno

di Stefano Zamagni

L’intelligenza artificiale è una delle quattro componenti della cosiddetta quarta rivoluzione industriale con le nanotecnologie, l’informatica e le scienze cognitive. Col nuovo secolo, questi quattro pilasti hanno per la prima volta iniziato a convergere, anziché progredire in maniera separata.

In questo contesto, l’AI è salita agli onori della cronaca sulla base del fatto che, dotando di “intelligenza” robot che già esistevano da decenni si è ottenuto un risultato qualitativamente diverso dal precedente. Questo salto qualitativo, oltre a crearne di nuovi, ha collocato i vecchi in uno scenario completamente diverso. Così se mai si arriverà — sottolineiamo il “se”, anche se gli esperti sostengono che ci si arriverà — a robot di terza generazione saremo infine giunti a dimostrare la validità degli assunti del cosiddetto postuhumanims. Si tratterà, allora, di prendere atto del superamento della condizione umana. Qualora accadesse, i robot intelligenti che finora hanno coadiuvato o incrementato le performance dell’uomo, lo sostituiranno. Potremmo osservare che il progetto del transumanesimo, portato avanti in particolari da Google e dal loro “guru”, lo scienziato Raymond Kurzweil, abbia anche una motivazione religiosa. Anche senza arrivare a tanto e limitandoci ai fatti, non possiamo comunque esimerci dal porre domande di scenario. Prendendo atto delle preoccupazioni che quelle domande portano con sé.

Prima preoccupazione. È da capire che il lavoro, se i robot intelligenti prenderanno piede, verrà completamente trasformato. Scompariranno non solo i lavori di routine, già messi a rischio dai robot di prima generazione, ma anche quelli creativi di livello medio e medio-alto. A mio avviso, questa è la preoccupazione che comporta meno problemi, perché tutto sommato potremmo porvi rimedio con politiche adeguate.

Seconda preoccupazione. Questa è la preoccupazione cruciale, ed è di ordine filosofico: noi occidentali siamo cresciuti sulla base del cogito ergo sum di Cartesio. La distinzione fra umano e non umano è sempre stata alla base della nostra società. Ma nel momento in cui prenderanno piede dispositivi pensanti che a loro volta potranno dire di sé “penso quindi
sono”, questo criterio fra umano e non umano non sarà più
decisivo. Allora la domanda, dal punto di vista filosofico,
diventa: che cosa distingue l’uomo? Che cosa ci permette
di tracciare il limite oltre il quale cessa l’umano? A questa
domanda vengono date risposte diverse. Ma quella che mi
sento di portare avanti è che la nuova linea di demarcazione
fra umano e non umano è racchiusa in una parola: amore.

La macchina, per quanto intelligente, potrà anche essere più intelligente dell’uomo ma non sarà mai in grado di amare, né di provare emozioni o sentimenti morali. C’è, però, chi afferma che anche un’intelligenza artificiale potrà anche provare emozioni. Io — e molti come me — non ne sono convinto e il problema resta aperto.

Terza preoccupazione. Qui tocchiamo l’organizzazione sociale nelle sue basi
e nella sua struttura. Siccome le macchine intelligenti saranno capaci di agire, possiamo pensare anche che saranno loro responsabili delle conseguenze delle azioni che porranno in essere? Correlativamente a ciò possiamo, dobbiamo chiederci: le macchine intelligenti saranno in grado di produrre la fiducia? Io credo di no, perché la fiducia è un bene relazionale, non un asset come tanti altri. Ma a prescindere dalla disputa sulla natura della fiducia è evidente che le macchine, per quanto intelligenti, non saranno mai in grado di produrre fiducia. E quando viene meno la fiducia, in sistemi come il nostro, il collasso è pressoché garantito.

Fides, in latino, significa corda. La fiducia è ciò che lega e tiene unito il tutto. Se viene a mancare questo legame e la macchina intelligente non è in grado di essere “cordaia”, ossia facitrice di corde, le nostre economie di mercato che riteniamo tanto potenti rischiano di collassare.

Tutti dovremmo porci davanti a queste preoccupazioni aprendo il discorso. Bisogna discutere a fondo la questione dell’AI, senza essere banali o superficiali. Bisogna discuterla ora. Sono affiorate, in questi anni, due posizioni. Da un lato quella denominata narrow Artificial Intelligence…


Clicca qui per continuare a leggere


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA