Cooperazione & Relazioni internazionali

Le fascinazioni del male e il rimedio dell’interculturalità

Il razzismo è innanzitutto una negazione del vissuto degli altri, una chiusura verso le infinite possibilità che la vita ci offre. Ma non possiamo sempre colpevolizzare l’individuo per le sue mancanze, per i suoi vuoti di senso. Mancano del tutto politiche attive di promozione della Pace, della convivenza, dell’interculturalità

di Pietro Piro

Il male che affascina

Dopo l'attentato di Macerata, la violenza, le aggressioni razziste, le discriminazioni, i soprusi, gli atti di vandalismo, i linciaggi reali e virtuali, non hanno mai smesso di ripetersi, attraversando, in lungo e in largo, la geografia civile del nostro Paese.

Il male affascina e crea consenso. Riesce a semplificare il mondo complesso in cui viviamo. È una risposta paradossale e banale ma molto efficace.

I meccanismi di disumanizzazione riducono l’altro a essere incompleto, animale, oggetto, parassita. «Prima gli Italiani», è probabilmente la frase più volgare che si possa pronunciare oggi, perché rimanda direttamente alle assurde teorie della razza e della purezza del sangue.

Quello che deve fare orrore però, non è il gesto di un emarginato o di un violento che, con il suo atto folle, crede di aver trovato la soluzione di tutti i problemi del mondo.

Quello che deve sconcertare e spronare all’azione è la giustificazione politica della violenza.

Quando le massime cariche dello Stato mostrano ambiguità nei confronti della violenza, allora, sarà solo questione di tempo.

Qualcuno, credendo d’interpretare una volontà che è espressa dall’alto in forma cifrata, si sentirà giustificato nel commettere una strage (oppure, la commetterà per accreditarsi agli occhi di quello stesso potere che ammira).

E paradossalmente, questa strage favorirà gli stessi politici violenti, perché si porranno come detentori dell’ordine in un clima di rinnovata tensione. Sono tremendamente attuali le osservazioni di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi:

Le forze reazionarie hanno uomini e quadri abili ed educati al comando, che si batteranno accanitamente per conservare la loro supremazia. Nel grave momento sapranno presentarsi ben camuffati, si proclameranno amanti della libertà, della pace, del benessere generale, delle classi più povere. Già nel passato abbiamo visto come si siano insinuate dietro i movimenti popolari, e li abbiano paralizzati, deviati, convertiti nel preciso contrario. Senza dubbio saranno la forza più pericolosa con cui si dovranno fare i conti. (A. Spinelli-E. Rossi, Per un’Europa libera e unita. Progetto d’un manifesto, Senato della Repubblica, Roma 2017, p. 47).

Il Paese in cui vivo non riesce a esprimere una classe dirigente illuminata che sia all’altezza del compito. Esprime invece un desiderio regressivo, una forte connotazione campanilistica una chiusura mentale e ignoranza diffusa.

Un passo in avanti e dieci indietro

Purtroppo, l’Italia regredisce civilmente molto più velocemente rispetto a come riesce ad avanzare, incapace com’è di dare avvio a un riformismo che come ha scritto Romano Prodi, riesca a «mettere insieme mercato e solidarietà, libertà e attenzione ai soggetti deboli della società, efficienza e preoccupazione per chi è svantaggiato».

In questo deserto morale, le parole della senatrice Liliana Segre possono rappresentare un punto di riferimento essenziale per la vita democratica del nostro Paese:

Si dovrebbe dare idealmente la parola a quei tanti che, a differenza di me, non sono tornati dai campi di sterminio, che sono stati uccisi per la sola colpa di essere nati, che non hanno tomba, che sono cenere nel vento. Salvarli dall’oblio non significa soltanto onorare un debito storico verso quei nostri concittadini di allora, ma anche aiutare gli italiani di oggi a respingere la tentazione dell’indifferenza verso le ingiustizie e le sofferenze che ci circondano. A non anestetizzare le coscienze, a essere più vigili, più avvertiti della responsabilità che ciascuno ha verso gli altri. In quei campi di sterminio altre minoranze, oltre agli ebrei, vennero annientate. Tra queste voglio ricordare oggi gli appartenenti alle popolazioni rom e sinti, che inizialmente suscitarono la nostra invidia di prigioniere perché nelle loro baracche le famiglie erano lasciate unite; ma presto all’invidia seguì l’orrore, perché una notte furono portati tutti al gas e il giorno dopo in quelle baracche vuote regnava un silenzio spettrale. […] Mi rifiuto di pensare che oggi la nostra civiltà democratica possa essere sporcata da progetti di leggi speciali contro i popoli nomadi. Se dovesse accadere, mi opporrò con tutte le energie che mi restano. […] Ho conosciuto la condizione di clandestina e di richiedente asilo; ho conosciuto il carcere; ho conosciuto il lavoro operaio, essendo stata manodopera schiava minorile in una fabbrica satellite del campo di sterminio. Non avendo mai avuto appartenenze di partito, svolgerò la mia attività di senatrice senza legami di schieramento politico e rispondendo solo alla mia coscienza. Una sola obbedienza mi guiderà: la fedeltà ai vitali principi ed ai programmi avanzatissimi – ancora in larga parte inattuati – dettati dalla Costituzione repubblicana.

Ecco cosa bisogna fare: aiutare gli italiani di oggi a respingere la tentazione dell’indifferenza verso le ingiustizie e le sofferenze che ci circondano. A non anestetizzare le coscienze, a essere più vigili, più avvertiti della responsabilità che ciascuno ha verso gli altri.

Non è un caso che queste linee guida, così precise, così limpide, così dirette, siano state pronunciate da una donna che ha vissuto l’orrore dei campi di concentramento.

Solo quando si è vissuto in prima persona la negazione totale di tutti i diritti si può riuscire a capire fino in fondo il senso della libertà e della pace.

Politiche attive per la Pace

Oggi, il razzismo strisciante è innanzitutto una negazione del vissuto degli altri, una chiusura verso le infinite possibilità che la vita ci offre.

Ma non possiamo sempre colpevolizzare l’individuo per le sue mancanze, per i suoi vuoti di senso. Ognuno, oggi, è rinviato a sé stesso, con violenza e indifferenza.

Mancano del tutto politiche attive di promozione della Pace, della convivenza, dell’interculturalità.

Senza enormi investimenti educativi non possiamo pretendere una nuova generatività sociale che sia capace di dare risposte alle urgenze di cittadinanza che vengono da un mondo inquieto e complesso.

Dobbiamo sforzarci di decolonizzare l’immaginario dalle immagini di chiusura, arroccamento, campanilismo e lavorare sui possibili dello spirito, sulle aperture, sulle connessioni rizomatiche, sulle reti di solidarietà.

Il modello di capitalismo nel quale siamo immersi corrode il legame sociale, rende sempre più soli e rancorosi, induce a scelte narcisistiche.

Occorre mobilitare le forze creative e sopite dello Spirito per riconnettersi alle energie vitali della Terra. La pratica di un’ecologia integrale come ripresa del legame inscindibile tra uomo e ambiente.

Solo un nuovo patto con la Terra può condurci a visioni di Pace, rispetto, convivenza gioviale. Solo se smettiamo di violentare la Terra possiamo sperare in un futuro di solidarietà tra le Nazioni.

Perché la violenza fuori di noi è solamente il segno tangibile dell’agitazione che scuote le nostre menti.

La manifestazione materiale del disagio spirituale che proviamo per esserci allontanati troppo dalle fonti vitali dell’anima.


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