«Una società che tiene in panchina i suoi giovani è autolesionista: bisogna subito buttarli in campo, in qualsiasi modo, il servizio civile obbligatorio è uno. Aiuterebbe a creare quel senso di appartenenza e di cittadinanza che langue, una "protezione civile della società" che farebbe aumentare la sicurezza»: così il pedagogista, da trent'anni impegnato nell'educazione alla pace, commenta la proposta di Matteo Salvini. Bocciato il ritorno alla naja: «Il giovane educato non è quello che obbedisce bensì quello che mette a disposizione le sue risorse per la sua vita e per la collettività»
A Venezia, davanti alla sede del Consiglio regionale dove veniva presentata il progetto di legge per la reintroduzione della leva obbligatoria (naja o servizio civile di 8 mesi per tutti i ragazzi e le ragazze tra i 18 e i 28 anni), i giovani della Rete Studenti Medi e dell’Unione degli Universitari si sono rasati i capelli a zero, in segno di protesta: «i nostri capelli sono il massimo che siamo disposti a dare». Torna così ad accendersi il dibattito attorno alla proposta del ministro Matteo Salvini. Daniele Novara, pedagogista, è il fondatore e il direttore del Centro PiscoPedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti, che da trent’anni lavora sui temi dell’educazione alla pace.
Che ne pensa dell’iniziativa di questi ragazzi?
Hanno la mia simpatia. Il punto è che la proposta di Salvini è anacronistica e irrealizzabile. Il ministro ricorda ciò che accadeva negli ultimi anni della naja obbligatoria? Più della metà dei giovani sceglieva il servizio civile. E in più ora sono passati anni. Che senso ha dire “voglio la naja obbligatoria”, sapendo che nessuno la sceglierà? È solo uno slogan. Tanto vale fare direttamente il servizio civile obbligatorio - per maschi e femmine, questo sì - almeno sei mesi da dedicare alla collettività: una sorta di rito di passaggio tra l’adolescenza e l’età adulta, sarebbe un’esperienza utile e importantissima.
Salvini nel presentare la proposta di ritorno alla leva obbligatoria ne ha molto enfatizzato il valore educativo. Da pedagogista, di questo che pensa?
La naja era tutto meno che educativa, su questo non c’è alcun dubbio. I valori del servizio militare di leva obbligatorio erano la misoginia, l’obbedienza a prescindere, il nonnismo, il fare cose senza senso solo perché qualcuno le aveva ordinate… cosa c’è di educativo? La responsabilità individuale viene completamente schiacciata e mortificata nella cultura militare. Al contrario invece educativo è ciò che sviluppa l’individuo e la sua responsabilità, sviluppando le sue risorse, le sue capacità, la sua intelligenza, le sue competenza. L’educazione, da educere, è “tirar fuori” l’individuo, la sua personalità, le sue capacità, la sua volontà: la naja è esattamente il contrario, l’individuo deve piegarsi alla volontà dei suoi superiori. È davvero surreale pensare che nella leva obbligatoria ci sia qualcosa di educativo: obbedire e comandare con l’educazione non c’entrano nulla. Il giovane educato non è quello che obbedisce bensì quello che mette a disposizione le sue risorse per la sua vita e per la collettività, nella logica di uno sviluppo della sua intelligenza, non di remissività e subordinazione come è nella cultura militare. La cultura militare è il totale opposto della pedagogia, non è un caso che la culla della cultura militare, la Prussia, sia stata cancellata dalle cartine alla fine delle due guerre mondiali, per ciò che aveva fatto. Vogliamo davvero riesumare questo?
Daniele Novara
La ministra Trenta ha subito bollato l'idea di Salvini come "romantica" e "non più al passo dei tempi" vista l'alta specializzazione che oggi è richiesta agli uomini in divisa. Su questo tema dell’anacronismo e del ritorno al passato lei però ha fatto una riflessione più profonda: ha scritto che «mentre il futuro langue e diventa sempre più difficile avere scenari di sviluppo positivo, ci si affanna a pescare nel passato qualche soluzione. L’idea del ritorno alla naja appartiene a questa categoria di proposte. Nulla di veramente utile o realizzabile. Solo un modo per ribadire che il passato era meglio, quando le cose stavano al loro posto e l’autorità rappresentava un fatto indiscusso a prescindere da ogni autorevolezza personale. Dal momento che il futuro non c’è, è qualcosa che va creata, se il cambiamento è solo ritorno al passato significa che non siamo capaci di generare futuro? In qualche modo il ripristino della naja è sintomo di questo secondo lei?
Certo! In questo momento in Italia non c’è un sogno, una speranza, una visione di futuro, manca un substrato anche visionario che ci faccia presagire qualcosa di meglio. La logica di questo Governo è molto semplice, alimentare il disfattismo terroristico nella realtà, una realtà incombente, che fa paura, che genera inquietudine, accentuando il sentimento di insicurezza e su questa base appellarsi al ritorno alle sicurezze ataviche del passato, compreso il background culturale dell’uomo forte che controlla tutto e in maniera autoritaria gestisce la vita degli altri. Né la partecipazione né la cittadinanza hanno più senso perché c’è qualcuno che decide per tutti.
L’educazione è “tirar fuori” l’individuo, la sua personalità, le sue capacità, la sua volontà: la naja è esattamente il contrario, l’individuo deve piegarsi alla volontà dei suoi superiori. È davvero surreale pensare che nella leva obbligatoria ci sia qualcosa di educativo: obbedire e comandare con l’educazione non c’entrano nulla.
Un servizio civile obbligatorio per ragazzi e ragazze invece, da pedagogista, come lo giudica? Per quello possiamo spendere il termine “educativo”?
Certo che è educativo, perché si impara facendo, non solo studiano i libri. Questa è la grande tradizione della pedagogia attiva, di Dewey e della Montessori… È vivendo esperienze concrete che le persone possono imparare. Intanto come accennavo segnerebbe un passaggio fra la dipendenza dalla famiglia di origine e l’autonomia sociale vera e propria: per gli adolescenti di oggi la possibilità di fare vere scelte sulla propria vita viene procrastinata quasi all’infinito, tutto è posticipato in un’attesa che crea forti disagi, spesso anche con ripercussioni psicologiche se non psichiatriche. Inoltre se vogliamo creare quel senso di appartenenza e di cittadinanza che oggi langue, bisogna che i ragazzi e le ragazze - questo è molto importante, che sia davvero per tutti - siano convocati a vivere un’esperienza di utilità, di protezione della società. Ecco, sarebbe un concetto di protezione civile allargato. Ma questo sì che crea sicurezza, non le telecamere: è la cultura della cittadinanza a creare sicurezza, la telecamera registra ciò che è successo, registra l’omicidio ma non lo previene nel modo più assoluto. Abbiamo bisogno di una profonda cultura della cittadinanza, con i ragazzi impegnai a difendere le strutture vive del loro mondo, non delle presunte frontiere.
Se vogliamo creare quel senso di appartenenza e di cittadinanza che oggi langue, bisogna che i ragazzi e le ragazze - questo è molto importante, che sia davvero per tutti - siano convocati a vivere un’esperienza di utilità, di protezione della società. Ecco, sarebbe un concetto di protezione civile allargato. Ma questo sì che crea sicurezza, non le telecamere
Gli studenti a Venezia in realtà hanno criticato anche il servizio civile obbligatorio: «Non possiamo accettare che quella che per tanti è una vocazione, come quella del servizio civile, venga imposta come un obbligo, perché nemmeno l’obbligo educa», hanno detto. Ma anche «Vogliono farci credere che studiare sia qualcosa di inutile e egoistico e che solo mettendoci al servizio della 'Nazione' saremo utili alla comunità».
Qui sbagliano, non c’è nessuna dicotomia tra studio ed esperienza, occorre parlare di appredimento. Se vuoi diventare un cittadino è logico che devi fare un’esperienza di cittadinanza e di servizio. Io l’obbligo lo vedrei bene, se non altro perché la novità sarebbe quella, il servizio civile facoltativo esiste già. Da pedagogista mi preoccupa avere una generazione di 15/24enni che resta in panchina nel momento più creativo della loro vita, una generazione che si perde nei videogiochi, che si astiene dalla vita concreta: è assurdo, una società che fa questa scelta è autolesionista. Bisogna togliere subito quei ragazzi dalla panchina e buttarli in campo, in qualsiasi modo, il servizio civile obbligatorio può essere uno, quantomeno è una ipotesi da verificare. Io ci credo.