Welfare & Lavoro

Caos educatori: ripartiamo dalla figura professionale unica

Francesco Crisafulli, past president dell’Associazione Nazionale Educatori Professionali, ci invia questa riflessione sui recenti provvedimenti legislativi che hanno modificato profilo dell’educatore professionale, con contraddizioni («law and disorder») che stanno disorientando gli operatori e i servizi. In particolare denuncia l’ennesima frammentazione del welfare, in direzione contraria a quella della dimenticata riforma del Welfare prevista dalla 328/2000...

di Francesco Crisafulli

L’articolo entra nel dibattito sui recenti provvedimenti legislativi che hanno interessato la figura dell’educatore professionale evidenziando alcune contraddizioni di percorso, il disorientamento degli operatori, le possibili ricadute sul sistema di welfare del Paese e sulle persone in difficoltà che si rivolgono ai nostri servizi. Non esistono soluzioni semplici alla frammentazione della figura professionale: occorre ripartire con metodo, dalle Leggi di riordino già esistenti, nel solco e nell’idea dell’integrazione tra sociale e sanitario.

Un po’ di storia

Con i commi dal 594 al 601 della legge di Bilancio 2018, il Parlamento italiano ha inteso regolare la qualifica dell’educatore professionale socio pedagogico, introducendo nel sistema dei servizi di welfare italiani una discutibile frammentazione nell’area dell’educazione extrascolastica tra interventi socio educativi, socio assistenziali, socio sanitari e socio pedagogici. Perché si arriva a frammentare l’intervento educativo in tanti sottoinsiemi? Un riconoscimento del profilo professionale in ambito sanitario e socio sanitario (con il Decreto 520/98) che è approdato a un corso di studi universitario presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia che abilita all’esercizio della professione e consente l’iscrizione al nuovo Albo e Ordine professionale; una lunga tradizione formativa presso la Facoltà di Scienze della Formazione che non aveva mai avuto un riconoscimento dei propri laureati che oggi approda al riconoscimento di una qualifica; due percorsi formativi, due mondi accademici, due aree professionali che hanno poco dialogato tra loro; due professionisti con competenze e spendibilità del titolo, diversi; un mercato del lavoro disomogeneo che ha dovuto conciliare da un lato la mancanza di norme chiare sul tema delle professioni di welfare e dall’altro una tradizione culturale nel Paese con molti soggetti attivi nel campo dell’educazione. Fatto sta che quel provvedimento, inserito in fretta prima della fine della legislatura, sta creando non poche difficoltà sia nei laureati con un titolo di educatore sociale sia negli operatori del settore socio-assistenziale che lavorano nel mondo della cooperazione sociale spesso con titoli molto disomogenei tra loro.

La qualifica di educatore professionale socio pedagogico, si acquisisce attraverso un titolo di laurea triennale del corso di studi universitario denominato L19 della facoltà di Scienze dell’Educazione. I suddetti commi prevedono forme di riconoscimento diretto di titoli pregressi. Con un provvedimento successivo il Ministero dell’Università ha dato il suo parere favorevole all’attivazione di un corso universitario di 60 CFU (crediti formativi universitari) per riconoscere la qualifica di educatore professionale socio pedagogico a coloro i quali si trovino in particolari condizioni lavorative. La tempestività dimostrata dalle Università nel voler attivare detti corsi ha – come l’intero impianto dell’ep socio pedagogico – il carattere della frettolosità, prefigurando uno scenario di nuova incertezza sia nella reale spendibilità di questo nuovo titolo accademico, sia nella regolazione della qualifica in termini contrattuali.

Quel provvedimento, inserito in fretta prima della fine della legislatura, sta creando non poche difficoltà sia nei laureati con un titolo di educatore sociale sia negli operatori del settore socio-assistenziale che lavorano nel mondo della cooperazione sociale spesso con titoli molto disomogenei tra loro.

La notizia di questi due provvedimenti ha scatenato il popolo dei social network che si mostra diviso nella valutazione: da un lato la soddisfazione per il riconoscimento della qualifica al corso di studi triennale, dall’altro la frustrazione nell’assistere alla “scorciatoia” rispetto a chi ha impiegato tempo e risorse economiche in un corso di studi i cui effetti, in termini lavorativi, saranno acquisiti da altri con corsi di durata ridotta. In mezzo gli immancabili “hater” che gettano fango su tutto e tutti, spesso superficiali sulle informazioni e rigorosamente nascosti dietro la testiera dello smartphone. Nel frattempo, con la legge 3 del 2018 si è attivato l’iter per la costituzione dell’Albo della professione sanitaria di Educatore professionale all’interno dell’Ordine dei Tecnici Sanitari di Radiologia Medica e delle Professioni Sanitarie Tecniche della Riabilitazione e della Prevenzione, al quale potranno iscriversi coloro i quali sono in possesso di un titolo abilitante l’esercizio della professione di Educatore Professionale o con titolo dichiarato equipollente o equivalente ai sensi della Legge 42 del 1999. Questo provvedimento arriva alla fine di un lungo percorso legislativo, iniziato nel 1992 (con il Decreto 502/92 – Riordino della disciplina in materia sanitaria), che ha normato i profili dell’area sanitaria, anticipato e realizzato l’idea dell’integrazione socio sanitaria, ha definito gli ordinamenti didattici e i corsi di studio universitari di riferimento, ha previsto e richiesto la definizione dei codici deontologici delle singole professioni, ha emanato norme sull’equipollenza e sull’equivalenza dei titoli precedenti, ha dettato le norme che regolano l’autonomia e la responsabilità professionale, e l’iter per l’accesso delle professioni sanitarie all’area della dirigenza di settore. Un lungo percorso, durato ventisei anni, che ha seguito le tappe tracciate da leggi di riordino e che darà oggi e nel futuro stabilità ad un sistema di professioni sanitarie e socio sanitarie con indubbia ricaduta positiva sui problemi della popolazione che si rivolge al sistema integrato dei servizi.

E la 328?

All’alba dell’identificazione di una nuova qualifica sociale, l’Educatore professionale socio pedagogico, con un certo stupore vede il legislatore intervenire su una materia così delicata per l’impianto dei servizi di Welfare del Paese, senza tenere in considerazione quanto previsto dalla Legge 328/2000 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali). L’articolo 12 di questa legge, infatti, “Figure professionali sociali” al comma 1, detta l’iter procedurale per l’identificazione delle figure professionali sociali: «con decreto del Ministro per la solidarietà sociale […] di concerto con i Ministri della sanità, del lavoro e della previdenza sociale, della pubblica istruzione e dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica, sulla base dei criteri e dei parametri individuati dalla Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, ai sensi dell'articolo 129, comma 2, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, (Conferenza permanente Stato-Regioni), sono definiti i profili professionali delle figure professionali sociali». Nei commi successivi sono previsti i regolamenti ministeriali per identificare le figure professionali da formare nei corsi di laurea e quelle da formare in corsi organizzati dalle regioni, nonché i criteri per il riconoscimento e la equiparazione dei profili professionali esistenti alla data di entrata in vigore della legge. Una procedura analoga a quella di area sanitaria e socio-sanitaria, che punta alla costruzione di profili certi per il Paese, attraverso l’armonizzazione di competenze ministeriali (la definizione di profili), competenze formative universitarie e regionali (la definizione di ordinamenti didattici e dei corsi di studio), competenze di ambiti contrattuali (con l’inquadramento dei profili nei molteplici contratti di lavoro presenti nell’area sanitaria e socio-sanitaria, pubblica e privata/convenzionata). Non vi è traccia della norma quadro 328/2000 nei commi della Legge di Bilancio 2018 e nemmeno nel disegno di legge, della scorsa legislatura (AS 2443) dal quale, quei commi, sono stati estrapolati.

Che fine ha fatto la legge riforma del welfare?

Che fine ha fatto, quindi, la Legge quadro di riforma dei servizi sociali nella identificazione della qualifica di educatore professionale socio pedagogico? Perché il legislatore non ha agganciato la definizione di una qualifica destinata ai servizi sociali e socio educativi, alla Legge di riordino del 2000? Le conseguenze di questa scelta rendono debole la qualifica di educatore professionale socio pedagogico, che diverrà nell’ennesimo frammento della galassia del welfare italiano. Perché ci si è tenuti a distanza da un iter procedurale che avrebbe inevitabilmente costretto il legislatore a ragionare nella logica della legge 328 del 2000 o meglio ancora – scelta di buon senso – sulla figura unica di Educatore professionale? La Commissione lavoro della Camera dei Deputati, nella scorsa legislatura, esaminando il testo del DdL sulla qualifica dell’educatore professionale socio pedagogico, aveva auspicato la realizzazione di una figura unica di EP e un percorso formativo che potesse eventualmente, prevedere specializzazioni successive in ambito socio pedagogico o socio sanitario.

Perché ci si è tenuti a distanza da un iter procedurale che avrebbe inevitabilmente costretto il legislatore a ragionare nella logica della legge 328 del 2000 o meglio ancora – scelta di buon senso – sulla figura unica di Educatore professionale?

Amministrare legiferando: un fenomeno che gli esperti di diritto vedono spesso presente in Italia, che consiste nella produzione di nuove leggi, anche disarmoniche rispetto alle precedenti quando non si è in grado, non si ha il tempo, di costruire percorsi coerenti con il sistema delle leggi nel Paese. Con una battuta si potrebbe riassumere un’azione di “Law and Disorder”.

Bene hanno fatto le organizzazioni sindacali CGIL-CISL-UIL che di recente e in forma unitaria hanno scritto al Governo per denunciare l’estrema difficoltà del mondo del lavoro (e quello contrattuale) per questo sdoppiamento della figura dell’educatore professionale, nonostante la strada già individuata nel decreto 520 del ‘98 (identificazione della figura dell’Educatore professionale) che ha previsto la natura sanitaria e sociale della figura e la realizzazione di corsi interfacoltà per la sua formazione. Bene hanno fatto le OO.SS in forma congiunta a ricordare ai legislatori che non si gioca sulla pelle dei lavoratori promettendo sanatorie dagli esiti incerti e facendo partire, in tutta fretta, corsi di formazione integrativi che difficilmente potranno sanare situazioni di singoli che lavorano in strutture convenzionate e/o accreditate e che quindi dovranno sottostare alle leggi italiane che prevedono figure professionali come l’educatore professionale, abilitate all’esercizio professionale e iscritte ad un Albo. Un gioco pericoloso che fa intravedere forme di sanatoria che si affidano alle capacità del mercato di integrare queste qualifiche nei nuovi contratti di lavoro in nome del diritto a mantenere il proprio posto di lavoro. Il risultato ottenuto con operazioni analoghe, in passato, è stato il caos normativo e forme di riconoscimento di titoli ed equipollenze di fatto che fanno impallidire qualsiasi principio giuridico e che creano disparità di trattamento. Le Regioni che sono parte attiva nell’organizzazione dei Servizi sociali e sanitari, quando interpellate sull’argomento, sono costrette ad arrampicarsi sugli specchi nel tentare di rispondere a queste contraddizioni. Il resto lo faranno i ricorsi ai TAR che renderanno evidenti tali contraddizioni.
Bene stanno facendo alcune cooperative italiane a mettere in guardia i propri soci sulle ricadute discutibili, nel sistema di welfare determinato dal provvedimento dell’educatore professionale socio pedagogico e dei corsi brevi per il conseguimento della qualifica.

Come provare a risolvere?

Come provare a risolvere? Ripartendo dai fondamentali, nello stile dell’Educazione professionale quando affronta una situazione caotica e complessa. Con pazienza, occorre ripartire dallo studio attento delle leggi e dei provvedimenti già esistenti (Decreto 520 del ‘98, Legge di riordino in materia sanitaria, Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato d’interventi e servizi sociali), con il concorso delle forze esperte sul campo: i Ministeri competenti, l’Università, le Regioni, le Organizzazioni sindacali e le Centrali cooperative, l’Associazione maggiormente rappresentativa degli EP Italiani. Ripartire dalla volontà di costruire una professione che sia utile nelle risposte ai cittadini e riconoscibile agli occhi della Società. La figura dell’Educatore professionale, nel solco tracciato dal Decreto 520 del 1998 è l'operatore sociale e sanitario che, in possesso del diploma universitario abilitante, attua specifici progetti educativi e riabilitativi, nell'ambito di un progetto terapeutico elaborato da un'equipe multidisciplinare, volti a uno sviluppo equilibrato della personalità con obiettivi educativo/relazionali in un contesto di partecipazione e recupero alla vita quotidiana; cura il positivo inserimento o reinserimento psico-sociale dei soggetti in difficoltà.

Si ponga fine a questo ridicolo doppio binario formativo e si faccia rientrare la figura professionale in una formazione interfacoltà. L’idea di una figura unica, sociale e sanitaria, come l’educatore professionale è la realizzazione concreta del concetto d’integrazione socio sanitaria che ormai tutti i Paesi europei stanno studiando come risposta alle esigenze di armonizzazione dei bisogni complessi delle persone in difficoltà.

L’attivazione dell’Albo professionale dell’EP può essere un’occasione per dare forza, unità e riconoscibilità alla figura professionale: gli Ordini professionali sono enti pubblici non economici e agiscono quali organi sussidiari dello Stato al fine di tutelare gli interessi pubblici, garantiti dall’ordinamento, connessi all’esercizio professionale; promuovono l’indipendenza, l’autonomia e la responsabilità delle professioni e la salvaguardia dei principi etici dei codici deontologici per garantire la tutela della salute. Si ponga fine a questo ridicolo doppio binario formativo e si faccia rientrare la figura professionale in una formazione interfacoltà (condizione già prevista nel Decreto 520/98), dove l’Università si mette realmente, al servizio dei cittadini e dei nostri studenti. L’idea di una figura sociale e sanitaria come l’educatore professionale è la realizzazione concreta del concetto d’integrazione socio sanitaria che ormai tutti i paesi europei stanno studiando come risposta alle esigenze di armonizzazione dei bisogni complessi delle persone in difficoltà. Si affronti in tempi brevi il tema del riconoscimento dell’equivalenza dei titoli, previsto dalla Legge 42/99, in un’ottica inclusiva e come forma per sanare le contraddizioni di percorso che si sono generate intorno alla nostra figura professionale. Un appello speciale alle forze politiche presenti in Parlamento affinché non contribuiscano, ulteriormente, alla frammentazione della figura dell’Educatore professionale e ci aiutino a realizzare una professione autorevole, unica e riconoscibile per i cittadini.

*Franceso Crisafulli è educatore professionale e lavora come Coordinatore nell'Unità disabili presso l'AUSL di Bologna. È past President dell'ANEP – Associazione Nazionale Educatori Professionali. Per corrispondenza con l’autore: f.cri67@gmail.com

Photo by Rémi Walle on Unsplash


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA