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Economia & Impresa sociale 

Legacoopsociali, una due giorni tra mutualismo e intelligenza artificiale

Al via il Think Tank “Connettere prospettive”. Nella prima giornata tra tavole rotonde e workshop il tema è stata l'innovazione tecnologica come opportunità per il Terzo settore

di Lorenzo Maria Alvaro

«Viviamo un contesto dicotomico per quello che riguarda il mondo cooperativo. Mentre il contesto economico si faceva via via più severo con la crisi economica la crescita delle diseguaglianze e la contrazione del lavoro dovuta anche alla quarta rivoluzione industriale le cooperative hanno continuato a crescere diventando un salvagente occupazionale e trovandosi di fronte una politica che sempre più chiede noi di immaginare soluzioni».

Così la presidente di Legacoopsociali Eleonora Vanni ha aperto a Torino la due giorni del Think Tank Sent “Connettere prospettive.Interpretare la realtà e immaginare il cambiamento della cooperazione sociale”

«Ora il bivio è accontentarci di queste performance oppure interrogarci sul futuro, su cosa abbia senso per noi, in quanto imprese cooperative sociali, e su cosa investire per rilanciare il nostro impegno», ha proseguito la presidente, aggiungendo: «Immaginare il cambiamento è un atto creativo. Che può esprimersi come genio solitario o come percorso partecipato. È questa la strada che abbiamo voluto intraprendere con questo evento».

In conclusione del suo intervento la presidente ha poi voluto lanciare una sfida: «noi parliamo di scambio mutualistico inteso come scambio in tema di lavoro e welfare. Perché non cominciare ad intenderlo come condivisione di intelligenze, come mutualismo dell'intelligenza? È questo l'auspicio che faccio per questa due giorni».

Una collaborazione e condivisione di intelligenze che inizia, nel primo giorno, con una tavola rotonda che ha raccolto Barbara Henry della Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa, Angelo Gasparre, dell'Università di Genova, Francesca Vecchioni, presidente e Founder di Diversity e Romano Benini, giornalista economico, Università La Sapienza di Roma e con la moderazione di Alessia Maccaferri di Nòva Il Sole 24 Ore. Uno spazio dedicato al co-design alla co-progettazione.

«La tecnologia deve diventare veramente collaborative e inclusiva. Ma come fare?» è lo spunto di partenza. «Non ho sbagliato convegno», ride Gasparre,presentando la foto dei corridori neri americani Tommie Smith e John Carlos,che sul podio delle olimpiadi messicane del '68 alzarono i pugni con il guanto nero dei Black Panther. «Erano gli anni in cui molte delle cooperative di oggi sono nate. Siamo partiti da quel mondo e siamo arrivati ad oggi, in cui ci sono i chat bot, che fanno telefonate con esseri umani che non si rendono conto di avere a che fare con una macchina». Un intervento che ha voluto portare al centro il tema tecnologico e della AI. «Molto spesso nel terzo settore e della cooperazione sociale pensano che queste siano cose che non li riguardano e che sono ambiti che interessino più che altro le aziende. Non è così. Vi riguarda eccome, ha sottolineato il docente.

«La Quarta Rivoluzione Industriale, come tutte quelle precedenti, è fuorviante pensare che siano innescate dalle innovazioni tecnologiche. In realtà le tecnologia è la causa di una rivoluzione sociale e antropologica. Rivoluzione per altro che ha un nome prima ancora che se ne siano visti gli effetti. Quello che c'è di sicuro è che si tratta più che altro di un'opportunità, che sarebbe da cogliere». Alcuni esempi di chi ha colto queste sfide?«Il cinema Post Modernissimo di Perugia, Last Minute Sotto Casa e The Highland Midwife», conclude Gasparre, «tre esperienze diverse che sfruttano l'innovazione per portare nella modernità il sociale».

Per Barbara Henry è «importante capire cosa significhi essere umani in un'età altamente tecnologica e che impatti questa tecnologia abbia con il corpo e con le relazioni. È importante superare le divisioni tra detrattori e sostenitori uscire dalla logica del dualismo per guardare al fenomeno con sguardo oggettivo e pragmatico».

«Viviamo in una società molto particolare che ci porta a vedere sempre meno il diverso e a chiuderci in bolle di simili», sottolinea Francesca Vecchioni, «chiunque abbia usato un social network sa come lavorano gli algoritmi». La fondatrice di Diversity spiega: «siamo nati proprio per fare inclusione, che ha un valore sociale ma anche un valore economico. Basti pensare che oggi sono cresciuti del 70% i brand inclusivi». Come

«Il senso critico in questo momento ci aiuta. Nelle difficoltà è bene mantenere il sangue freddo. Il mondo cooperativo lavora per tenere insieme la sfera economica con quella sociale, una connessione necessaria che da vent'anni è stata tenuta separata. Una mancata connessione che ci ha schiantato. Se l'economia non risponde alla società bisogna solo capire a cosa altro risponda», spiega Romano Benini. «Nel 2008 un bisogno sociale come l'acquisto di casa ha generato un mostro. Oggi ogni americano medio deve indebitarsi per frequentare l'università, sembra che sia una bolla che si prepara ad esplodere come sul caso dei muti sub prime. Questo in un contesto in cui le principali economie, quella americana e cinese, raddoppiano le diseguaglianze. In Europa la Germania, che è il Paese che ha le prestazioni economiche migliori, aumenta maggiormente il livello della diseguaglianza. C'è insomma oggi un forte contrasto tra economia della quantità e della qualità. La pirma lavora sui volumi e vuole persone uniformi, e genera diseguaglianza perché esclude i differenti. La seconda invece lavora sul valore e valorizza la differenza perché è da lì che si crea la ricchezza. Invece che misurare in capitale economico l'economia della qualità si misura in capitale sociale. Un economia inclusiva. C'è un sacco di made in Italy che ha a che fare con questo modello economico».

Può la tecnologia ad aiutarci alla qualità economica? «La risposta non può essere teorica perché la tecnologia è uno strumento. E ha a che fare con la capacità di agire: è la consapevolezza di ciò che fai che genere il piacere di fare. L'economia è basata sull'efficienza da qui il mito della produttività. Tecnologia e digitale possono essere importanti se potenziano la consapevolezza. Se invece diventano un sostituto dell'immaginazione e quindi della consapevolezza diventa un enorme problema. C'è bisogno di politiche e scelte che non si stanno assumendo in modo sufficiente. La nostra scuola ad esempio trasferisce nozioni non consapevolezza. Essere consapevoli di sé significa essere consapevoli dell'altro e delle differenze», sottolinea Benini.

«In tutto questo c'è una forte domanda di servizi alla persona e al lavoro e porta intrinsecamente un grande valore economico e occupazionale. Ma rischia anche di essere marginale rispetto ad un sistema economico altro, che si muove su altri paradigmi. Le imprese che stanno provando a sfidare il sistema sono le aziende che hanno capito che un lavoratore consapevole lavora più e meglio, che l'inclusione alla diversità genera benessere e quindi performance. E poi ci sono i territori e le comunità, che nel produrre si scontrano quotidianamente con la diversità. Il lavoro integra, è il più grande motore di integrazione. Basti pensare che a Firenze un grande marchio di moda ha moltissimi operai cinesi perché si sono stufati di essere sfruttati dai propri connazionali a Prato», conclude Benini che aggiunge: «Ora tocca alla politica riconoscere gli investimenti sociali come investimenti e non spesa. Questa sarebbe la prima vera rivoluzione. Ma serve politica, vera».


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