Economia & Impresa sociale 

Connettersi e ibridarsi: il futuro delle cooperative è imprenditoriale

Nel secondo giorno del Think Tank “Connettere prospettive” di Legacoopsociali dedicato alle imprese sociali cooperative una tavola rotonda sul rapporto tra sociale e for profit. «Tecnologia, finanza e concorrenza, sia valoriale che economica. Sono questi i tre fattori che spingono al cambiamento la cooperazione sociale. Ma bisogna stare attenti perché il mondo non ci aspetta», ha sottolineate Mario Calderini, presidente del Comitato per l’imprenditorialità sociale della Camera di Commercio di Torino

di Lorenzo Maria Alvaro

«A Torino per tradizione abbiamo un'attenzione sociale molto forte. Sono 15 anni che ci occupiamo di impresa sociale. Da tre abbiamo un Comitato che si occupa proprio del rapporto tra sociale e aziende tradizionale», sottolinea Cristiana Poggio, consigliere della Camera di commercio Torino aprendo i lavori del secondo giorno del Think Tank “Connettere prospettive” di Legacoopsociali che l'hanno vista partecipare ad una tavola rotonda insieme a Mario Calderini del Politecnico di Milano, Cristiana Poggio della Camera di commercio Torino, Francesco Profumo di ACRI, Stefano Tassinari del Coordinamento Nazionale Forum del Terzo Settore e Mauro Lusetti – Presidente Legacoop.

Non è un caso infatti che sia stato scelto il capoluogo piemontese per ospitare l'evento. Una città che vanta 400 cooperative sociali, 87 imprese sociali, 50 imprese ibride, 1100 associazioni di volontariato e 200 di promozione sociale. «Nell'ultimo anno le cooperative sono cresciute del 62% e le imprese sociali del 120%. Danno lavoro a 22mila addetti per 480 milioni di fatturato», sottolinea Poggio. «Oggi però è necessario che si faccia un salto e che si cominci a dire che le cooperative sociali sono imprese», continua Poggio, «Se non diciamo questo continueremo a parlare di un mondo che fa del bene ma condannato a restare residuale. Penso invece che le imprese sociali cooperative debbano oggi caratterizzarsi con una forte impronta imprenditoriale».

Un rapporto quello tra il mondo sociale e quello imprenditoriale che per la consigliera è win win. «In entrambi i casi, imprese sociali e tradizionali, nascono a partire dai bisogni. Questo fil rouge è importante e va valorizzato. Spesso l'imprenditore a contatto con il sociale riscopre il senso del suo fare impresa. Per la cooperazione invece serve per uscire da sé e capire le proprie potenzialità e a strutturarsi imprenditorialmente. Su questo la cooperazione invece per lo più mira a sopravvivere non ha svilupparsi nel tempo con profondità. È questo il terreno su cui lavorare impossessandosi di strumenti tipici del for profit».

Quella però con le aziende non è solo un'opportunità. «Il destino della cooperazione sociale si gioca sulla riflessione avviata da qualche tempo rivolta non più al suo interno ma all'esterno», sottolinea Mario Calderini, professore del Politecnico di Milano e presidente del Comitato per l’imprenditorialità sociale della Camera di Commercio di Torino. «Ci sono tre elementi esterni che rappresentano una spinta al cambiamento molto forte. Il primo è la tecnologia: è evidente che ci siano oggi nuovi strumenti tecnologici facili da usare e da reperire che impattano in modo positivo, abilitando la crescita di scala. Ma non sono neutre queste tecnologie. Le cooperative sociali sono anche impresa. Scalando di volumi riescono a costruirsi una sostenibilità economica più robusta. Ed è una grande opportunità. Ma questo significa cambiare da un modello intensivo di lavoro ad uno anche intensivo di capitale. Una mutazione che porta con sé la minaccia della messa in discussione del patrimonio relazionale tipico della cooperazione». Per il professore il secondo elemento di spinta al cambiamento è la finanza. «Il mondo della finanza sta cambiando tanto e proponendo un'infinità di nuove possibilità di finanziamento. Anche in questo caso si tratta di una grande occasione che però non è neutra. Al crescere delle opportunità crescono anche le minacce alla distorsione della mission. Nel rapporto tra finanziatore e finanziato l'unica chance di uscirne bene per la cooperazione e presentarsi alla transazione con grande professionalità e competenze». Infine per Calderini la cooperazione sociale non è la sola e l'unica interessata da questo processo di trasformazione. «Anche il profit ne è investito. Una trasformazione che esercita grande concorrenza sia di mercato che valoriale. Va tenuta in conto. Il mondo non aspetta la cooperazione e le sue riflessioni su quello che vuole essere». Quale il ruolo della cooperazione? Per il professore «abbiamo sempre creduto che scienza e tecnologia, che sono il motore di crescita e sviluppo, si autoregolassero generando uguaglianza. Invece non è così. Oggi abbiamo ma abbiamo bisogno di un mezzo che ridistribuisca sul territorio le ricchezze che ne derivano: questo ruolo fondamentale distributivo e di creazione del valore deve essere svolto dalla cooperazione».

L'ibridazione tra due mondi è necessaria per innovare. Ma «È difficile separare l'innovazione sociale da un'innovazione di tipo olistico. O questa innovazione investe tutti i campi o non sarà. O si persegue questa strada o non ci sarà possibilità di crescita per le cooperative. È questa la sfida delle fondazioni ex bancarie oggi: in questa fase c'è un lavoro continuo per cercare di fare questo blankingdi settore», Francesco Profumo, vicepresidente Associazione ACRI.

Dobbiamo evitare due errori: l'appiattirci sull'impresa tradizionale, scimmiottandola, e mettere in discussione o a rischio l'intergenerazionalità del patrimonio costruito», conclude Mauro Lusetti, presidente di Legacoop, «tenendo fermi questi due punti dobbiamo dirci una verità: siamo un po' stanchini. Se per l'impresa tradizionale quando le cose vanno male si chiude o si delocalizza. Per la cooperazione sociale arrivare alla chiusura è una tragedia. Sono anni in cui abbiamo fatto fatica. I numeri dicono che abbiamo resistito alla crisi. Ma non in tutti settori. Nell'ambito edilizio ad esempio abbiamo sofferto tantissimo. In più oggi noi facciamo da bancomat per lo Stato, passano anni prima che ci vengano riconosciuti i nostri servizi. Questo quando, cosa che capita sempre meno, ci siano stanziamenti dedicati al welfare. In un'epoca di scarsezza di risorse e crescita dei bisogni è chiaro che innovazione e partnership con il profit sono i due binari su cui investire».


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