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Caro Gramellini, quella di Silvia Romano non è smania di altruismo. Ecco perché

Nella sua rubrica quotidiana su Il Corriere della sera, “Caffé”, ieri l'editorialista, sul caso di Silvia Romano ha parlato di “Smania di altruismo”. Silvia Romano? “Entusiasta e sognatrice”, “l’ingenuità un po’ folle dei vent’anni” e via con tante espressioni di questo tipo. Ecco perché ha sbagliato e perché ci aspettavamo le sue scuse

di Riccardo Bonacina

Caro Gramellini, speravo che oggi, dopo l’infelice “Caffé” di ieri ne scrivesse uno in cui ci informava di aver fatto una donazione a una ong o a una Fondazione che si occupa di cooperazione allo sviluppo. Tanto per fugare ogni dubbio sulla mala interpretazione delle sue parole. Invece no, difficile che un editorialista chieda scusa e torni sui suoi passi. Impossibile. Oggi Gramellini ribadisce che il suo articolo non è stato capito e se la prende con i social (che beninteso va bene). Invece no, è lui a non aver capito.

Cosa aveva scritto Gramellini? Ecco l’incipit: “Ha ragione chi pensa, dice o scrive che la giovane cooperante italiana rapita in Kenia da una banda di somali avrebbe potuto soddisfare le sue smanie d’altruismo in qualche mensa nostrana della Caritas, invece di andare a rischiare la pelle in un villaggio sperduto nel cuore della foresta. Ed è vero che la sua scelta avventata rischia di costare ai contribuenti italiani un corposo riscatto”.

Di fronte a una poderosa rivolta sui social, Gramellini invitava a leggere il suo breve scritto sino in fondo. Su Twitter replicava: “Inviterei chi ha criticato le prime righe del mio “caffè” di oggi a leggerlo fino in fondo. Non era certo mia intenzione offendere Silvia Romano, anzi”.

Leggiamolo, quindi: “Non riesco a comprendere che tanta gente possa essersi così indurita da avere dimenticato i propri vent’anni. L’energia pura, ingenua e un po’ folle che a quell’età ti spinge ad abbracciare il mondo intero, a volerlo conoscere e, soprattutto, a illuderti ancora di poterlo cambiare. Le delusioni arrivano poi. Silvia Romano non ruba, non picchia, non spaccia. Non appartiene alla tribù dei lamentosi e tantomeno a quella degli sdraiati. La sua unica colpa è di essere entusiasta e sognatrice. A suo modo, voleva aiutarli a casa loro. Chi in queste ore sul web la chiama «frustrata», «oca giuliva» e «disturbata mentale» non sta insultando lei, ma il fantasma della propria giovinezza”.

Tutto a posto, quindi? Evidentemente no. “Smania di altruismo”, Silvia Romano? “Entusiasta e sognatrice”, “l’ingenuità un po’ folle dei vent’anni” e via con tante corbellerie e banalità di questo tipo. Significativo il titolo della rubrica di ieri “Cappuccetto Rosso”.

Praticamente un benservito ai quasi 16mila italiani impegnati in ogni parte del mondo in progetti di cooperazione e di partnership per la promozione di sviluppo e di lavoro nelle regioni più povere. Tanti giovani, ma anche medici, ingegneri, religiosi, persino pensionati. Un avamposto di umanità espressione di altri centinaia di migliaia di italiani che li sostengono don l’amicizia e le donazioni. Un’Italia che dice “Prima la dignità dell’uomo”, “Prima la giustizia”, “Prima la relazione con gli altri” e non il gretto e stupido, questo sì “Prima gli italiani”, “Prima pensa a te e poi agli altri”.

I cooperanti sono l’avamposto di tutti coloro che hanno capito che è proprio nella relazione con gli altri sta l’originalità dell’essere umano, sta l’inizio dell’autocoscienza personale che non appare, non sboccia se non nella relazione. Che migliaia e migliaia di italiani abbiano questa coscienza è un bene per tutti, anche per Gramellini.

Come dice la poesia di Pär Lagerqvist: “Uno sconosciuto è mio amico/ uno che io non conosco, uno sconosciuto lontano lontano. / Per lui il mio cuore è pieno di nostalgia…”.

Non riconoscere e addirittura sbeffeggiare questa dimensione col cinismo degli adulti e dei benpensanti è non solo l’anticamera del nichilismo ma anche la fine di ogni ipotesi di umanità. La certificazione di una cattiva vita, l'invito a vivere piegati su se stessi e sul proprio ombelico. Che tristezza. Scriveva don Giussani: “È la nostra natura che ci spiinge a interessarci degli altri. Quando c’è qualcosa di bello in noi, noi ci sentiamo spinti a comunicarlo agli altri. Quando si vedono altri che stanno peggio di noi, ci sentiamo spinti ad aiutarli in qualcosa di nostro. Tale esigenza è talmente originale, talmente naturale, che è in noi prima ancora che ne siamo coscienti”

Ciò che dice la vicenda di Silvia Romano (splendidi alcuni suoi pensieri sulla pagina Facebook) è che se non sei un ameba sai che ogni decisione è un rischio (ovunque, in Italia come in Africa) e che ogni ipotesi di vita piena ha questo assunto: «Mai senza l’Altro, mai senza gli altri». Come scriveva Michel de Certeau.


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