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Un lavoro per i minori non accompagnati: da Palermo nasce la “Rete delle Imprese Accoglienti”

Con Ragazzi Harraga, a Palermo, 70 minori arrivati soli in Italia si sono messi in gioco in un tirocinio lavorativo: un’esperienza straordinaria sia per i giovani sia per le imprese che li hanno accolti. Molti tirocini sono stati rinnovati a spese dell’azienda e una ventina di giovani oggi hanno un contratto

di Sara De Carli

Settanta ragazzi arrivati soli in Italia, fra i 17 e i 19 anni, si sono messi in gioco in un tirocinio lavorativo a Palermo: un’esperienza straordinaria sia per i giovani sia per le imprese che li hanno accolti. Molti tirocini sono stati rinnovati a spese dell’azienda e una ventina di giovani sono stati assunti dopo quel periodo di prova, anche in aziende diverse da quelle in cui avevano fatto il tirocinio. Da questa esperienza di crescita e condivisione a Palermo si sta costituendo una “Rete delle Imprese Accoglienti”, soggetti profit che si sentono chiamati in causa nella responsabilità dell’accoglienza e assumono con entusiasmo il ruolo fondamentale della formazione dei minori non accompagnati e del potenziamento delle loro competenze, contribuendo a creare quel capitale sociale che cruciale per chi vuole entrare nel mondo del lavoro.

Questa sera a Palermo se ne parlerà in un incontro aperto a tutti, dedicato al modello di inclusione sociale costruito grazie al progetto #RagazziHarraga insieme a aziende siciliane, istituzioni locali, realtà del privato sociale. Porteranno la loro testimonianza Dario Bisso (BissoBistrot), Francesca Leone (Freschette BioBistrot) Valeria Antinoro (Solemar Club) e Marco Miceli (Laros), che nei mesi scorsi hanno accolto diversi ragazzi del Progetto Harraga per un tirocinio e in più di un caso gli hanno poi fatto un contratto di lavoro.

Curiosa in particolare la scelta di Laros, un negozio di abbigliamento chic di Palermo, che lo scorso giugno ha allestito le sue vetrine con una mostra fotografica che ha raccontato la storia di migrazione di Abdoulaye e attraverso la sua, la storia di tutti i minori che arrivano soli sulle nostre coste: "This is Abdoulaye. Il racconto di uno, la storia di tutti". «La mostra fotografica è stata in vetrina per un mese, è un bel modo per costruire un’altra narrazione sia delle migrazioni sia del ruolo delle aziende», commenta Loriana Cavaleri, dell’agenzia per il lavoro SEND. Ragazzi Harraga è un progetto partito nel marzo 2017, coordinato da CIAI e reso possibile da una rete articolata di attori (istituzioni locali, aziende, realtà del privato sociale). Il progetto vuole offrire delle opportunità concrete a 400 minori non accompagnati costruendo strumenti sperimentali ma pensati per restare, come la cartella sociale interattiva, i tirocini curricolari, la Casa Santa Chiara. Un’attenzione particolare va ai neomaggiorenni, per dare loro quel piccolo aiuto decisivo in un momento delicato e cruciale.

Ragazzi Harraga propone un modello di inclusione lavorativa verso l’autonomia dei minori migranti soli. In cosa consiste il modello e come sta andando?
Il modello è ormai rodato. Il progetto è partito nel marzo 2017 e l’aspetto di inclusione lavorativa è partito immediatamente. Tutto il progetto ruota attorno alla convinzione che ognuno è portatore di competenze ma anche di desideri e progetti e che il lavoro per l’accompagnamento all’autonomia debba partire dal riconoscimento delle competenze, individuando attività che vanno costruite. Questo ha reso possibile una narrazione nuova di chi sono i minori non accompagnati al mondo produttivo, che non sempre ha le informazioni per sapere realmente chi sono questi ragazzi, che competenze e che progetti hanno. Solitamente le aziende non si sentono chiamate in causa dalla responsabilità dell’accoglienza, si pensa sempre che sia qualcosa che ha a che fare con il non profit, il volontariato, la scuola… ma non con le imprese. Invece proprio le imprese hanno ruolo molto importante nella formazione di questi ragazzi e nel potenziamento delle loro competenze, nella costruzione del capitale sociale che è importantissimo per entrare nel mondo del lavoro: il contatto con aziende permette di conoscere persone nuove e di conoscere quali sono le realtà che si muovono dentro un determinato settore produttivo.

Se questa è la cornice, il modello di Ragazzi Harraga come di declina?
Il modello di inclusione ci ha visti da un lato lavorare con i ragazzi per costruire insieme a loro una progettualità e dall’altro preparando un terreno sensibile all’interno del mondo delle imprese: attività di sensibilizzazione, presentazione dei profili individuali, costruzione di progetti formativi ad hoc… Le aziende che hanno ospitati i ragazzi per tirocini sono state individuate a partire dai bisogni formativi dei giovani migranti. Quindi mettere insieme orientamento, sensibilizzazione e matching personalizzato, con un tutoring e un monitoraggio attento che intervenisse spesso sia per aggiustare il tiro sia per valorizzare quanto stava accadendo, in termini di apprendimento e di valore aggiunto che le imprese hanno avuto. Abbiamo sperimentato due tipi di inserimento lavorativo, i tirocini curricolari di un mese per i ragazzi che stanno ancora frequentando la scuola, una formazione on the job che veniva riconosciuta in termini di crediti formativi e tirocini di tre mesi per chi ha già concluso il percorso studio, più orientati al lavoro: molte aziende hanno prolungato a loro spese il tirocinio e alcune esperienze si sono trasformate in contratti a tempo determinato o indeterminato. Su 70 tirocini in tutto, le proposte di contratto sono state una ventina.

Di che aziende si tratta?
Molte nel settore del turismo e ricettivo, la ristorazione… è uno dei più vivaci in città. Ma anche aziende meccaniche, piccole aziende famigliari, abbiamo un’azienda che si occupa di fertilizzanti, una che produce protesi, un vivaio, una sartoria… molti ragazzi ad esempio sognano di lavorare nella produzione di abbigliamento.

Quali ostacoli o perplessità avevano le aziende?
Ostacoli veri e propri non tanti, alla fine ostacoli linguistici si superano molto facilmente perché i ragazzi hanno una capacità di apprendimento sbalorditiva, pur essendo arrivati da non più di un anno avevano già tutti una competenza linguistica elevata. Io credo che un grosso elemento di successo siano proprio le caratteristiche dei ragazzi, il loro senso di responsabilità, sono ragazzi di 16 anni che migrano con sulle spalle un grande investimento fatto dalla famiglia sul loro progetto migratorio, hanno moltissima voglia di mettersi in gioco. Un altro punto di forza è il senso di comunità che si è creato in città, Palermo ha sempre avuto una reazione positiva alla questione migrante, ne ha sempre parlato come risorsa e questo ci ha aiutati a comunicare certe logiche anche in mondi più estranei. Con Ragazzi Harraga abbiamo trovato attorno a noi la possibilità di costruire un modello di welfare comunitario, in cui ognuno, facendo il proprio pezzetto, ha contribuito. Che il clima stia cambiando l’abbiamo notato ultimamente: non ci era mai capitato prima di sentirci dire che “bisogna pensare prima ai nostri ragazzi che emigrano al nord Europa” invece ultimamente un paio di persone ci hanno risposto così. Il punto è che il lavoro è un diritto per tutti, non solo per alcuni… e comunque queste sono persone oggettivamente più fragili.

Cosa potrebbe cambiare con la nuova legge?
Vedo un rischio concreto perché senza l’iscrizione all’anagrafe non possono essere iscritti al centro per impiego, non puoi fare la disponibilità al lavoro, nessun tirocinio, nessuna politica attiva per il lavoro. Noi con questi ragazzi abbiamo lavorato molto sull’empowerment e ora questo lavoro fatto di costruzione di immaginario di futuro rischia di essere stata inutile perché non hanno nessun modo per tradurlo in realtà. In questo momento le imprese possono giocare un ruolo molto importate, perché al momento della richiesta di asilo avere un contratto di lavoro dà certamente una chance in più.

Qual è l’obiettivo del workshop di oggi?
L’idea di valorizzare le esperienze e arrivare a una modellizzazione. Vuole essere il primo appuntamento in cui proviamo a mettere insieme profit, non profit e pubblico per costruire nuove strategie di inclusione. Intanto partiamo con il fare incontrare queste aziende che non si conoscono fra loro, non si sono mai viste, restituire loro la consapevolezza forte dell’importantissimo ruolo sociale che hanno avuto e che possono avere: non è un’esperienza individuale la loro, ma qualcosa che può costituire un modello. Si può creare una rete di imprese che propone questo modello, con una assunzione di responsabilità, perché tutti nel mondo possiamo decidere come posizionarci e che ruolo avere.


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