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Cooperazione & Relazioni internazionali

I gilet gialli nella Parigi sotto chiave

La provincia invade la capitale, e la capitale per risposta chiude tutto, negozi, grandi magazzini, persino i musei. Quello che è successo sabato in Francia è l’emblema di un Paese spaccato dove si è smarrito ogni filo di dialogo tra centro e territorio

di Giuseppe Frangi

Quando sabato mattina alle 9 sono approdato a Parigi una delle prime immagini che mi sono trovato davanti è quella di una “boulangerie”, una panetteria, con le vetrine protette da tavole di compensato. Su un foglio si comunicava che quel giorno l’esercizio sarebbe rimasto chiuso per i rischi delle manifestazioni annunciate dei Gilets Juanes. Un gruppo di Gilets proprio in quel momento stava passando per la stessa strada del Marais, e si poteva notare una evidente distonia tra l’emergenza evocata da quella panetteria barricata e la realtà di persone dall’apparenza del tutto normali, non fosse stato per il segno distintivo di quell’abbigliamento che li rendeva così distinguibili. L’impressione immediata è stata quella di avere a che fare con due mondi che non si conoscono e che non si parlano. Da una parte la capitale nobile e insieme globalizzata, dall’altra la Francia provinciale, messa ai margini e penalizzata dalla chic-politique di Macron e del suo primo ministro Edouard Philippe.

Da una parte la Francia con le scarpe sporche e vecchie auto diesel con centinaia di migliaia di chilometri e che manifesta il sabato perché gli altri giorni lavora. Dall’altra la Francia pulita che si muove sui monopattini elettrici e che sposa la causa ecologica con una mentalità squisitamente tecnocratica.

Parigi ancora una volta si trova di fronte ad un grande problema irrisolto: l’incapacità del centro di capire ciò che gli sta attorno. Anni fa era stata la volta delle banlieue. Oggi è il turno del territorio allargato, che è poi l’immenso corpo di un Paese grande due volte l’Italia e con gli stessi abitanti. In questo caso oltre alla distanza culturale, tra centro e resto del mondo si misura anche una distanza fisica. L’immagine emblematica è quella della città che davanti allo sconosciuto sceglie per un’assurda serrata, dai connotati anche umilianti. Negozi e grandi magazzini chiusi in un sabato di Natale con la convinzione che è meglio stare al riparo dai barbari e rinunciare agli incassi di uno dei giorni più lucrosi dell’anno. Le boutique del lusso avevano preferito svuotare i negozi che così si presentavano, sotto insegne celebri e miliardarie, come se fossero spazi in cerca di affittuario.

Il paradosso e insieme il problema è che lo “sconosciuto”, il nuovo barbaro questa volta è autoctono, francese a tutti gli effetti come dimostrano le bandiere che si aggiungono al giallo dominante. È quella Francia che come ha detto Christophe Guilluy ha perso “la guerra degli occhi”: cioè ha dovuto sino ad oggi abbassare lo sguardo rispetto alla Francia culturalmente nobile e dominante. Ora che un sommovimento è in corso e che gli sguardi non se stanno più abbassati perché l’umiliazione ha superato il livello di guardia, i vincitori di ieri piuttosto che affrontare la situazione preferiscono arroccarsi in quello che un tempo si diceva “palazzo” e che oggi è cresciuto con un sacco di nessi e connessi per garantire stili di vita scintillanti e illuminazione mediatica senza interferenze. La faglia che separa le elite da quel mix eterogeneo e confuso che chiamiamo popolo si sta allargando poco alla volta in tutto l’occidente. Nella Parigi blindata e messa sotto chiave di sabato scorso, quella faglia si è allargata ulteriormente.


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