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Politica & Istituzioni

Salvini al bivio: leader da megafono, ma risultati zero

La corda di governo è già un po’ logorata. Risultati veri non ne ha portati a casa, il Nord e le imprese si lamentano, la flat tax e la pensione a quota 100 non si vedono. In Europa ha dovuto rinculare, scaricato del resto dai suoi presunti alleati di Visegrad. Ora dovrà decidere cosa fare con la sua base del settentrione. Saprà trasformarsi da capitano a politico vero?

di Maurizio Crippa

Il primo segnale da cogliere, è quando iniziano ad arrivano i fischi dalla squadra. Ma dalla tua. “Fatemi fare il ministro perché se parlo da tifoso qualcuno si offende. Gattuso? No comment”. Gattuso, in effetti, non l’ha presa bene: “Che abbiamo fatto una figuraccia non ce lo deve dire certamente Salvini”. E già un’altra volta aveva ringhiato: “Pensi all’Italia”. Di leader politici che potevano permettersi di fare la formazione del Milan ce n’è stato uno, e basta. A Matteo Salvini converrebbe capire in fretta che utilizzare il linguaggio dei tifosi, o fare leva sul calcio come risorsa politica, è un’arte difficile, a doppio taglio. Ad esempio, questa idea di farsi fotografare allegro come un bimbo a Gardaland mentre abbraccia un capo ultrà del Milan che ha patteggiato una condanna per traffico di droga (non erano solo gli stranieri illegali quelli che trafficano?) non è esattamente un buona idea. E nemmeno cavarsela dallo scivolone con le battute da comizio, “sono un indagato tra gli indagati”. Poca cosa, per il titolare del ministero dell’Interno che sfoggia ogni volta che può le felpe della Polizia e che per i “delinquenti” minaccia pene tribali che il genere umano ha abolito dai tempi del Codice di Hammurabi.

Non sono buone idee. Ma sono – fino ad oggi – l’idea di politica e soprattutto di comunicazione politica adottate da Salvini da quando è diventato vicepresidente del Consiglio, capo del Viminale nonché leader del partito oggi più influente nel governo. Sommando le tre cariche, non serve molta aritmetica per affermare che lo stile di comunicazione richiederebbe, a questo punto, un salto di qualità e istituzionale. Per il bene del Paese, ma anche per il bene suo.

Perdere il contatto con la propria tifoseria, pensando di essere il Portavoce Unico della curva, è un errore simbolico. E’ più grave pensare di essere il Capitano del Nord per acclamazione divina e scoprire a un certo punto – mentre prepari una manovra economica “gliela facciamo vedere noi all’Europa”, che poi ti tocca pure fare marcia – che metà della tua base elettorale, quelli del Nord (e dei quadri del tuo partito) è incazzata con la politica del tuo governo. Dunque con te. Che hai fatto promesse e non mantieni. E’ il momento in cui un leader dovrebbe cambiare un tono, magari anche contenuti, e fare il pragmatico. Invece la strategia di Salvini è il rilancio. Il rilancio da megafono. E’ abile, in questo: copre il problema del giorno cambiando argomento e buttando parole d’ordine sui social. Sale lo spread e lui parla di migranti, arriva la lettera da Bruxelles e lui parla della polizia, il Pil arretra e lui fa la pubblicità (gratis) a prodotti alimentare, spesso italiani solo di nome. Finora ha pagato nei sondaggi, e se la tattica è soltanto quella di stravincere le Europee, e ridurre il peso dei Cinque stelle, bene così.

Ma è davvero una strategia che paga, alla lunga? La corda del Salvini di governo è già un po’ logorata. Risultati veri non ne ha portati a casa, il Nord e le imprese si lamentano, la flat tax e la pensione a quota 100 non si vedono. In Europa ha dovuto rinculare, scaricato del resto dai suoi presunti alleati di Visegrad: c’è sempre un sovranista più sovranista di te. Se Matteo Salvini vuole trasformarsi in durevole uomo di governo, non una meteora come probabilmente sarà Di Maio, il leader di un partito di governo e non solo di strillata opposizione, deve tirare fuori un progetto politico e rassegnarsi a qualche bagno di realtà. Dovrà ad esempio decidere cosa fare con quel che resta di Berlusconi e di quel pezzo di elettorato di cui avrà bisogno. Decidere che fare con la sua base del Nord: il che vuol dire ridare spazio e visibilità a quella Lega in giacca e cravatta – Giorgetti, i governatori, persino Maroni – che vuole autonomia, grandi opere e un’Europa più leggera, ma dentro all’Europa. E dovrà anche iniziare a soppesarsi. Vedere se ha davvero il physique du rôle per reggere la sola mossa che lo trasformerebbe in un vero politico: il Grande Tradimento, la mossa di Machiavelli. Mandare a casa l’alleato di governo-separato in casa, e continuare la marcia con un po’ di benzina berlusconiana e – magari, addirittura – il lasciapassare del Pd. Se ne parla, sì: se ne parla. Non è detto che accada, men che meno che sia un bene per l’Italia. Ma, soprattutto, non è detto che Salvini riesca a smetterla con le felpe, e diventi un politico vero.


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