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Così Rione Sanità ha sconfitto Gomorra

I primi passi vennero mossi 10 anni fa. L’idea base era semplice: dalla comunità di cura si può generare una comunità operosa, cioè capace di produrre reddito. In questo modo il sociale è diventato un volano per l’economia. Una parabola paradigmatica racconta da Aldo Bonomi sulle colonne del Sole 24 ore

di Aldo Bonomi

Le festività appena passate ci lasciano dentro quella sospensione del sentire che ci fa pensare al bene comune, all’essere in comune, alla cura. Poi si torna al quotidiano racconto. All’attenzione alla scienza triste, all’economia con luoghi e parole chiave dominanti: Pil, Borse, spread, crescita, imprese… Dopo le feste, nel continuo oscillare del pendolo tra società ed economia, tra cura e operosità, si attenua lo storytelling “sull’esercito dei buoni” (volontariato, associazionismo, cooperative sociali) che torna a essere Terzo settore, margine che si occupa del margine.

Se volessimo tenere dentro questa sospensione natalizia, magari scomodando la teoria sociologica del dono, saremmo tentati di rovesciare il paradigma tutto economico che solo dalla crescita discende la possibilità di includere. Sostenendo invece che solo se fai comunità di cura costruisci comunità operose. Se fai il sociale alimenti il capitale sociale e solo così produci capitale, non viceversa. Un bel rovesciamento di paradigma soprattutto di questi tempi di crisi del welfare state e forbice sempre più divaricata tra ricchi e poveri, tempi interroganti sul come con-crescere nella coesione sociale. Per capire serve guardare in basso più che in alto. Là, nelle Catacombe di San Gennaro al Rione Sanità (in foto). Dove fa inchiesta Chiara Nocchetti col suo libro Vico esclamativo in cui, sostenendo che «non ci si salva da soli», racconta un microcosmo possibile di una comunità di cura che diventa operosa: la Cooperativa Sociale La Paranza. Operosa perché dà lavoro a 35 addetti più 15 nelle attività collaterali, tutti stabili e garantiti. Rimette nel ciclo del turismo esperienziale e religioso le Catacombe di San Gennaro che da bene culturale diventano bene comune per la crescita della comunità locale. Alimenta un capitale sociale creando inclusione per i minori a rischio sottraendoli a “Gomorra”, il tutto attivato soprattutto dalle donne e mamme del quartiere. Infine produce capitale e reddito ridistribuito in cooperative di produzione e lavoro per il recupero e la valorizzazione del sito, arrivando così ad alimentare un’economia del vicolo che si fa distretto culturale evoluto con più di 100mila visitatori paganti.

Se fai il sociale alimenti il capitale sociale e solo così produci capitale, non viceversa

È un esempio riuscito del come “nessuno si salva da solo”. Applica la teoria del dono, antropologica, per cui nella scarsità se al tuo vicino muore il gregge, hai interesse a donare affinché possa ricostruirlo per salvarsi assieme. Teoria che va contestualizzata, capita e soprattutto praticata nella metropoli napoletana. È anche un’esperienza esemplare nel Sud della scarsità di lavoro e abbondanza retorica sul turismo come volàno del possibile. Ci sono voluti dieci anni, era il 2008 quando prese corpo l’idea valutata e supportata dalla Fondazione con il Sud con capitale paziente. Oggi è diventata una comunità operosa che produce senso e reddito. La comunità di cura si è rafforzata, non solo volontariato ma mutualismo e cooperazione sociale, si è allargata nella coesione sociale dalla Parrocchia al quartiere.

Dalle madri dei giovani a rischio alle scuole, agli insegnanti, in rete con i commercianti del quartiere che vendono i souvenir delle Catacombe ed è aumentata anche la rete dei B&B nei vicoli del quartiere. Sono arrivate poi anche le donazioni, a proposito di dono, per sostenere il farsi della comunità di cura in comunità operosa. Così si è rovesciato il paradigma infatti, partendo dal sociale si è arrivati all’economico. Non a caso il successo economico di questa esperienza fa ragionare sul come proseguire confrontandosi sul come gestire un bene che ha prodotto certamente capitale sociale, ma anche capitale, profitto da reimmettere nel ciclo dell’economia locale.

È una piccola storia fragile ma interrogante l’economico. Fa riflettere, a proposito di welfare di comunità basato su strategie per includere e riportare al centro il margine attraverso l’accompagnamento di Fondazioni di Comunità che investono capitale paziente nel locale e nel sociale. Piccola storia che vola ancora più in alto quando la cura interseca l’economico. Non è un caso se è aperto il dibattito sulla tassazione del non profit, delle Onlus, delle cooperative sociali, della comunità di cura quando si fa operosa.


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