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L’adeguamento degli statuti? Un’occasione costituente

Se l’adeguamento si risolvesse in un mero recepimento di norme stabilite dal legislatore, si potrebbe dire che una delle scommesse della riforma è fallita. Gli enti sono chiamati a un compito impegnativo: ripensare alla propria identità, alla propria missione e all'impatto generato

di Luca Gori* e Flaviano Zandonai

In questi tempi, c’è inquietudine nel Terzo settore. Il 20 gennaio 2019 scade il termine per l’adeguamento degli statuti delle imprese sociali già costituite come tali (ma non – apprendiamo da una circolare del MISE del 2 gennaio 2019 – per le cooperative sociali); il 2 agosto 2019, invece, la scadenza per l’adeguamento degli statuti di ODV, APS e Onlus già iscritte nei rispettivi registri istituiti dalle normative di settore. Cosa significa, in termini strettamente giuridici, “adeguamento”? Significa recepire negli statuti le norme che il legislatore ha definito come inderogabili. Si tratta di previsioni del Codice del Terzo settore ritenute così essenziali, se si intende acquisire la qualifica di ente del Terzo settore, da prevalere sull’autonomia degli associati che risulta, conseguentemente, per questi aspetti limitata. Diversamente, si deve rinunciare all’acquisizione della qualifica, rimanendo nell’ambito di quello che è definito il diritto comune. Questo il significato giuridico di “adeguamento”, che potrebbe essere definito anche come “recepimento”, con pochi margini di discrezionalità.

Ma basta così? Si direbbe di no. Se l’adeguamento si risolvesse in un mero recepimento di norme stabilite dal legislatore, si potrebbe dire che una delle scommesse della riforma è fallita. Come ricorda Antonio Fici nel commento pubblicato su Vita alla recente circolare ministeriale che detta le regole in materia, le innovazioni statutarie “appaiono utili per perfezionare la governance interna” e ancora rappresentano “un’occasione unica per ripensare la propria struttura interna al fine, se necessario, di renderla più efficace ed efficiente nel perseguimento degli obiettivi istituzionali”. La via statutaria rappresenta in effetti una modalità attraverso la quale non solo posizionarsi all’interno di un contesto normativo dato, ma anche delinearne e testarne la conformazione e i confini.

Il 20 gennaio 2019 scade il termine per l’adeguamento degli statuti delle imprese sociali già costituite come tali (ma non – apprendiamo da una circolare del MISE del 2 gennaio 2019 – per le cooperative sociali); il 2 agosto 2019, invece, la scadenza per l’adeguamento degli statuti di ODV, APS e Onlus già iscritte nei rispettivi registri istituiti dalle normative di settore

Gli enti del Terzo settore sono chiamati, in questo senso, ad una missione più impegnativa, che può essere declinata in almeno tre aspetti.

  1. Il primo è la messa a fuoco della mission. Oltre ad individuare l’ambito di attività di interesse generale (operazione, invero, generalmente non troppo complessa), ciascun ente è chiamato a esplicitare il progetto di cambiamento della realtà nella quale opera e le modalità con le quali perseguirlo: azione volontaria, mutualità, erogazione, imprenditorialità (art. 4, Codice). E non è detto che queste diverse modalità non si combinino, convivendo fra loro, in varia misura. Serve però molta chiarezza, da questo punto di vista e – come è facile comprendere – non si tratta del “recepimento” di norme inderogabili.
  2. Secondo aspetto è il posizionamento dentro la “geografia” del Terzo settore, in una delle qualifiche previste. Sulla scorta della riflessione sulla mission, è possibile formulare una scelta di posizionamento coerente, lungimirante e conveniente. Qui, si tratta di riuscire a spaziare, con un approccio laico, fra le varie soluzioni che il legislatore mette a disposizione, inclusa quella dell’impresa sociale. Certo, il disallineamento fra il termine per l’adeguamento degli statuti e l’efficacia delle norme fiscali e la lenta istituzione del registro unico nazionale del Terzo settore (RUNTS) induce a scelte molto “prudenti”: in ogni caso, non pare che un “si vedrà” sia una scelta opportuna. Almeno all’interno dell’organizzazione, è necessario che si formi una condivisione in merito alle scelte da compiere, se non immediatamente, senz’altro nel tornante di pochissimi anni. Ed anche qui, non è mero “recepimento” di norme inderogabili.
  3. Terzo aspetto, è richiesto un lavoro che per molte organizzazioni di Terzo settore, soprattutto per quelle di più risalente costituzione, sarà di “ripulitura”, perché nel corso del tempo negli statuti alcune norme sono divenute obsolete (si pensi, ad esempio, alla diffusione delle nuove tecnologie in relazione all’articolazione territoriale di una organizzazione), oppure si sono stratificate legandosi a fattori interni ed esterni che potrebbero averne offuscato gli elementi fondanti o appesantito la governance. Modificare lo statuto, facendo leva soprattutto sulle previsioni facoltative indicate nella circolare ministeriale, non è quindi l’ennesima attività di compliance normativa col rischio di appesantirne ulteriormente l’articolato, ma l’occasione per rimettere al centro questo strumento identitario e regolativo, che forse negli ultimi anni era stato soppiantato da altri strumenti. Dichiarazione di missione, regolamenti interni, patti parasociali, modelli di accreditamento, certificazioni di qualità, ecc.: tutti elementi importantissimi, caratterizzati però da intenti micro normativi e procedurali. In questa fase storica al nuovo terzo settore che scaturisce dalla riforma e che si trova ad operare un quadro sociale profondamente mutato servono soprattutto norme che fondano significati.

Dalla fase di “adeguamento” potrebbero emergere nuove tendenze, indicazioni, prassi ricorrenti che consentono, nel tempo, l’emersione di nuovi tipi di enti del Terzo settore

Quale esito potrebbe avere questa stagione statuente, così intesa?

Il caso della cooperazione sociale è emblematico, in tal senso, visto che ormai qualche decennio fa una minoranza attiva di imprese cooperative introdusse nei propri statuti elementi di innovazione sociale come la “mutualità allargata” in vista di obiettivi di “interesse generale” che solo successivamente si trasformarono in una innovazione istituzionale riconosciuta prima dalla legge n. 381 del 1991 (confermata dalla riforma). E, in epoca più recente, è sempre attraverso dispositivi di natura statutaria che si riconoscono nuove fenomenologie organizzative come ad esempio le fondazioni di partecipazione (che hanno trovato una loro prima emersione normativa nel Codice) o le cooperative di comunità attraverso le quali si gestiscono nuove tipologie di beni comuni.

Potrebbe accadere, quindi, che la riforma del Terzo settore rappresenti una opportunità rilevante per recuperare il carattere “costituente” degli statuti e, in senso più ampio, l’autonomia degli enti che se ne dotano. Lo statuto come vera e propria carta di identità, orgogliosa nel dimostrare il radicamento della propria missione nella Costituzione repubblicana, nel raccontare le modalità per raggiungere le finalità e nel descrivere una governance adeguata. Ma dalla fase di “adeguamento” potrebbero emergere nuove tendenze, indicazioni, prassi ricorrenti che consentono, nel tempo, l’emersione di nuovi tipi di enti del Terzo settore. Sarà importante poter conoscere, far circolare e studiare i testi dei “nuovi” statuti. L’istituzione del RUNTS potrebbe agevolare una ricerca di questo tipo. L’adeguamento in senso giuridico, quindi, è necessario, ma non basta.


*Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa

**Iris Network


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