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Cosa chiedono i ragazzi alle sostanze?

È diventato virale il video di un giovane che sulla metropolitana di Milano, in mezzo ai pendolari, ha fumato tranquillamente eroina. Sul numero del magazine di dicembre abbiamo affrontato un viaggio nella mente dei nativi digitali

di Sara De Carli

Le immagini del giovane che, incurante di pendolari e lavoratori, su un vagone della metrolitana in partenza da Rogoredo direzione centro, dopo essere stato al famigerato boschetto ad acquistare una dosa, ha deciso consumare la propria eroina direttamente lì, sul suo sedile, hanno fatto il giro dei media. E hanno riaperto il tema del rapporto tra droga e giovani.

C’è chi li dipinge come «naufraghi della loro vita»: «non vedono alcun porto, vagano senza una direzione, nella speranza che qualcuno li raccolga», dice Marco Cribioli, presidente della cooperativa sociale Albatros, nell’alto milanese. Per Silvio Cattarina, fondatore della cooperativa sociale L’imprevisto di Pesaro, sono «profughi», ragazzi «in fuga da se stessi, dalle proprie famiglie, dalle scuole, dalle loro comunità, dalla realtà». In molti iniziano parlando di uso e abuso di sostanze e di genitori che nemmeno si presentano più in Commissariato a riprendere i figli dopo un controllo antidroga fatto a scuola, ma poi finiscono col raccontare, col nodo alla gola, di quei dieci studenti hikikomori: «c’è un filo diretto, i ragazzi oggi si isolano dalla realtà fino ad aver paura di viverla oppure la ritengono talmente insignificante da ritrarsene completamente», afferma Elisabetta Giustini, reggente dell’istituto professionale Carlo Urbani di Ostia, che ha seguito il progetto nazionale S.O.N. Support rivolto ai prof che volevano capire quel web che ormai ha reso le sostanze banalmente, facilmente, asetticamente a portata di mano (lo Zuhandenheit che disegna il “mondo”), pulite, friendly, accattivanti. È Linda Lombi, sociologia delle relazioni e dei processi educativi e di cura dell’Università Cattolica, a rivelare come «un adolescente su due, fra i 15 e i 19 anni, saprebbe procurarsi cannabis in 24 ore». Una dimensione a cui si aggiunge il fai-da-te: «Il mercato ha puntato su sostanze più fruibili in termini di compatibilità con la vita: questa è l’illusione che vendono. I ragazzi conoscono benissimo gli effetti delle sostanze e le utilizzano in funzione prestazionale. Su internet poi si trovano un’infinità di informazioni su come combinare i farmaci disponibili in casa, per potenziarne gli effetti», conferma Paolo Marzorati, medico del servizio dipendenze del Fatebenefratelli di Milano. Ma torniamo ai ragazzi. Cesare Moreno, presidente dell'Associazione Maestri di Strada di Napoli, ricorre a un termine napoletano: “sfastirio”, è questo che caratterizza gli adolescenti oggi. Sarebbe «un mix di forte disinteresse e noia, non aver voglia di far niente perché niente ha significato, qualsiasi iniziativa sai già che finirà male, uno stato di passività legato a un’emarginazione interiore: se il mondo ha perso significato la colpa non è dei ragazzi, è nostra», dice senza tanti giri di parole.

Questa inchiesta, nata dal desiderio di capire com’è cambiata la domanda che i ragazzi di oggi hanno dentro e perché pensano che la droga possa essere una risposta, ci ha sbattuti con violenza contro una realtà spaventosa: il vuoto. È questa la parola più ricorrente. Quello che i nostri figli hanno dentro. Quello che gli abbiamo messo dentro. Non so se sia “la verità”, ma questo è quello che ho capito attraverso questa inchiesta e per una volta parlo in prima persona perché come chiunque abbia figli adolescenti (o quasi) dinanzi a questo racconto è impossibile rimanere impassibili. Il problema non sono le droghe, sono i nostri figli. Ovvero il problema siamo noi.

Il presente senza presenza
Liviana Marelli è referente del CNCA per i minori. Racconta come nelle comunità educative ci siano sempre stati ragazzi che facevano uso e abuso di sostanze, ma negli ultimi 5/6 anni il tema entra nel percorso individuale per «più della metà» dei ragazzi. «Non è un tratto specifico degli adolescenti accolti in comunità, è la fatica del crescere in un mondo adulto sempre meno attento e sempre meno adulto, centrato sul tutto mi è permesso e tutto è possibile, in cui però le frustrazioni rispetto a ciò che è indicato come “successo” sono fortissime e in cui l’esperienza del limite anziché essere un’esperienza di normalità viene vissuta come fallimento», afferma. La cooperativa L’incontro ha due comunità terapeutiche educative, alle cui porte ormai bussano anche tredicenni. Per Silvio Cattarina «anni fa i ragazzi arrivavano alla droga per problemi sociali, oggi invece i problemi sono esistenziali. Non è il vissuto, il passato, a far male: è il presente a far soffrire, perché nel presente non trovi una presenza. La droga diventa allora un modo per cercare di sopravvivere, l’espressione maldestra di un bisogno di vita». Di «danza sul confine della morte» parla anche Fabio Sbattella, docente di psicologia clinica dell’Università Cattolica: «il desiderio di esplorazione è sano, ma abbiamo inculcato ai ragazzi da un lato l’idea che nella vita bisogna provare tutto, ove quel “tutto” è una follia, dall’altro che bisogna sfidare i propri limiti, che è diventato una gara a rischiare la vita e poterlo raccontare. Inoltre l’adolescente, oggi più di ieri, ha bisogno di ammirazione, che è una cosa diversa dal bisogno d’inclusione gruppale: hanno fame di qualcosa di estremo da fotografare per conquistare sguardi superficiali, like». Lamberto Iannucci invece è presidente del CIPA-Centro di informazione prevenzione e accoglienza di Ortona, un’associazione della rete di “Salesiani per il Sociale”. Ogni anno seguono una trentina di minori: «vanno cercati, non arrivano più al centro di ascolto perché l’uso di sostanze non è percepito come problematico. In tanti mi dicono “mi sballo per non pensare, perché questo mondo non mi piace”. Una volta le droghe erano una forma di trasgressione o un modo per affrontare i problemi: adesso invece sono un modo per ritrarsi».

La fotografia
Secondo lo studio ESPAD®Italia, condotto nel 2017 e citato anche nell’ultima Relazione al Parlamento sulle tossicodipendenze in Italia, il 34% degli studenti fra i 15 e i 19 anni (circa 880mila ragazzi) ha utilizzato almeno una volta nella vita una sostanza illegale e il 26% (670mila ragazzi) lo ha fatto nel corso dell’ultimo anno.

Quasi il 2% (41mila ragazzi) ha assunto sostanze senza nemmeno sapere cosa fossero: «è paradossale, i ragazzini non si fidano di genitori e insegnanti ma si fidano ciecamente del pusher o del web», sottolinea Luciano Squillaci, presidente della Federazione italiana comunità terapeutiche. La cannabis è la sostanza illegale più utilizzata, seguita dalle New Psychoactive Substances (NPS), dalla spice (una droga sintetica che ricorda la cannabis, «dichiaratamente amata dai ragazzini perché sfugge al controllo dei cani», spiega Sabrina Molinaro, ricercatrice del Cnr, «mi ha impressionato sentirlo da loro, il mondo adulto non si rende conto di quanto sia cambiato il mercato e di quanto le risorse spese nella repressione non stiano producendo effetti»), da cocaina, stimolanti, allucinogeni ed eroina. Nel 2017, secondo l’ultima relazione al Parlamento, dieci adolescenti fra i 15 e i 19 anni sono morti per droga e 3.852 sono stati segnalati per reati di traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o associazione finalizzata allo stesso: 1.334 erano minorenni, fra cui 300 stranieri (giusto per non presumere che i problemi riguardino sempre gli “altri”). A questi vanno aggiunti 54 baby spacciatori under14: +35% rispetto all’anno prima. «I ragazzi sono consumatori e spacciatori, chi guadagna è furbo, sveglio, da rispettare: le abilitò riconosciute dai pari sono queste», commenta ancora Squillaci. Questi numeri per lui sono la prova di «una resa generalizzata, come se l’uso e l’abuso di sostanze fossero un male necessario della modernità. Il messaggio educativo è deleterio, tant’è che la prima assunzione ormai avviene a 11-12 anni. Il sistema dei servizi, costruito su una normativa superata e su una realtà completamente differente, quella dell’eroinomane degli anni ‘90, non riesce a intercettare questi ragazzi, che sono lontanissimi dal considerarsi soggetti con un problema di dipendenza o anche solo “a rischio”». Francesca Maioli è responsabile di una comunica pedagogica riabilitativa di Fondazione Exodus in provincia di Mantova e osserva come sempre più spesso ci sia «una comorbilità con disturbi psichiatrici, associati all’utilizzo di sostanze sintetiche, che cambia anche l’intervento» e insieme come il grosso lavoro da fare sia «sulla motivazione, perché pochissimi arrivano qui con la consapevolezza del problema». L’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza a giugno 2018, nella sua relazione annuale al Parlamento, aveva inserito la salute mentale degli adolescenti fra le dieci emergenze dell’infanzia nel nostro Paese, un tema collegato all’abuso di sostanze: «attraverso audizioni con rappresentanti delle istituzioni e professionisti altamente specializzati nel settore della prevenzione e del trattamento delle dipendenze condotte il 14 e il 15 novembre 2018, abbiamo inteso acquisire informazioni sull’uso e abuso di alcol e droghe, sulle nuove modalità di rifornimento e uso, sugli aggregati simbolici e sulle condizioni di vita dei giovani esposti a rischio», precisa Filomena Albano.

La richiesta di riconoscimento
La cooperativa sociale Albatros lavora sui territori di Magenta, Castano e Legnano, nel milanese; dal 2002 porta avanti progetti di prevenzione incentrati sulle life skills e grazie a un finanziamento dell’impresa sociale Con i bambini sta avviando un progetto per realizzare un protocollo fra pubblico e privato per l’individuazione precoce del disagio degli adolescenti, anche rispetto all’uso di stupefacenti. «Anni fa c’era un nesso causa-effetto fra un disagio e l’uso di sostanze, oggi no, ci sono tante variabili che concorrono, di certo c’è un nichilismo tale per cui anche farsi del male è irrilevante, dal momento che nulla ha senso. C’è un essere naufraghi in cui i ragazzi non riescono neanche a contattare se stessi e le loro emozioni», afferma Marco Cribioli, direttore e presidente di Albatros. «L’intervento funzionale oggi è solo quello a tutto tondo, il lavoro sulle life skills deve sostituire quello informativo, che ci può stare ma se viene da una richiesta dei ragazzi. Fondamentale è la continuità di una presenza: sono le relazioni che veicolano il messaggio preventivo, non l’informazione», spiega. «Gli esperti che arrivano e incontrano 500 studenti per parlare loro delle nuove droghe, non servono a niente, anzi incuriosiscono. La strada è inversa, lavorare sulla conoscenza di sé, sulla propria autostima, sul gruppo dei pari. Per questo la scuola è un luogo di prevenzione privilegiato», afferma Gerardo Magni, dirigente scolastico nel barese con alle spalle vent’anni di ricerca nella pedagogia della tossicodipendenza. La scuola e i social. Ne è convinto Ivano Zoppi, presidente di Pepita Onlus, che a febbraio ha avviato Alert Web, un progetto finanziato dal Dipartimento Politiche Antidroga che monitora l’utilizzo dei social per l’acquisto di sostanze. Anche se poi «il disagio giovanile si combatte innanzitutto con la prevenzione, le pezze non servono. Deve tenersi tutto, in una rete, perché il ragazzo è uno. La nostra responsabilità educativa deve tradursi innanzitutto in una presenza, perché oggi è difficilissimo per un ragazzo trovare un adulto che lo accoglie, lo ascolta, gli dà fiducia e lo fa sentire speciale. Se io non ho un mondo adulto che mi fa sentire vivo, cerco questa risposta da un’altra parte, nell’adrenalina della “stupidaggine” che mi dà la conferma di esistere». D’altronde per Franco Riboldi, direttore dell’UOC Rete Dipendenze dell’ASST di Lecco, «il contatto mediato dallo smartphone si sta sempre più sostituendo al rapporto fisico diretto. Questo sta spostando i giovani in realtà parallele, dove ciò che conta è l’esaltazione del sé e l’approvazione dell’altro. È una relazione falsata dai like, dove forse ciò che si va cercando è la rassicurazione di una realtà più accogliente e non è un caso che le droghe preferite dai giovani in questo momento siano sostanze ad effetto misto, psicostimolanti e allucinogeni, in grado di facilitare la relazione e di suscitare percettivamente nuove realtà».

La prevenzione alla droga? Non parla di droga
Se il quadro è questo, è evidente che la prevenzione non può essere intesa solo come strategia del deterrente. I nostri figli ci chiedono altro. La prevenzione ha fare innanzitutto con le «life skills». Non è nemmeno più la prevenzione il punto, bensì la promozione di una vita sana (se vogliamo fermarci alla salute) o meglio ancora di una vita che abbia un significato…


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