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Dialogo con Salvini sull’Europa. Immaginario, ma con parole vere

Vi proponiamo un colloquio, ovviamente mai avvenuto, ma con parole realmente pronunciate da entrambi. Da una parte Nino Sergi, dall'altra Matteo Salvini. Un’aspirazione ad uscire dai monologhi di questa fase comunicativa, per avviare occasioni di dialogo. Per ora almeno su web. A tema, l'Europa

di Nino Sergi

* Da tempo cercavo l’opportunità di riflettere con il ministro Salvini sull’Europa e l’immigrazione. L’occasione del confronto è stata una soleggiata mattina in piazza del Popolo a Roma nella quale si è sviluppato uno schietto dialogo tra me e lui, esprimendoci in forma inusuale ma veritiera. Ho ascoltato l’intervento del ministro Salvini alla manifestazione della Lega in Piazza del Popolo a Roma lo scorso 8 dicembre 2018. Ne ho qui ripreso le parti relative all’Europa a cui ho fatto seguire alcuni miei commenti, quelli che sorgevano spontanei e immediati durante il suo discorso e quelli che si sono aggiunti durante la scrittura. Ne è uscita una forma di colloquio, ovviamente mai avvenuto, ma con parole realmente pronunciate da entrambi. Un’aspirazione ad uscire dai monologhi di questa fase comunicativa, per avviare occasioni di dialogo.

SALVINI – «De Gasperi diceva che un politico-politicante bada alle prossime elezioni mentre uno statista bada alle prossime generazioni. Ecco, noi della Lega abbiamo l’ambizione di pensare all’Italia e all’Europa che lasceremo ai nostri nipoti. Guarda, ti leggo cinque righe sull’Europa: dimmi se rappresentano la visione di un populista, estremista, sovranista, nazionalista, leghista o di una persona che aveva capito trentasei anni fa, il 5 ottobre 1982, prima e meglio di altri, cosa stava per succedere e quali erano i rischi e le opportunità. Parlava di una vocazione dell’Europa alla fraternità e alla solidarietà di tutti i popoli che la compongono, dall’Atlantico agli Urali; di un’unione di popoli distinti etnicamente, di una grande varietà di culture, delle ricchezze delle singole civilizzazioni nazionali; auspicava di vedere nascere dalla varietà delle esperienze locali e nazionali una nuova e comune civilizzazione europea. Invitava a comunicare all’Europa questa speranza, a rivelare l’Europa nata e cementata dai valori del cristianesimo a se stessa, a mostrarle la sua anima e la sua identità, quelle che qualcuno ha perso nel nome della finanza e della globalizzazione. Questo pericoloso populista era san Giovanni Paolo II: per qualche giornalista oggi sarebbe un sovversivo, invece è stato un lucido visionario. L’Europa ritrovi la sua radice, il suo motivo di essere, crescendo nel reciproco rispetto».

IO – «Ministro, guardi che sono tanti a pensarla come si è espresso papa Giovanni Paolo II e che intendono impegnarsi perché l’Europa ritrovi i suoi valori nel segno della solidarietà, della fratellanza, della comunanza di valori; e non solo in Italia. La considerano una priorità, pena una marginalizzazione culturale, politica ed economica e una regressione sociale. Il vissuto dell’UE, come si è sviluppato nei recenti decenni, non piace né alle nuove né alle vecchie generazioni, ma il desiderio di Europa, dei suoi valori unificanti, del vivere, crescere e progredire insieme è sempre più forte e sentito. Servirebbe però che l’Italia, come ognuno dei paesi europei, non si consideri come il solo detentore di questa volontà e degli strumenti politici per realizzarla, additando e accusando gli altri, insultandoli e sbeffeggiandoli, in uno schizofrenico processo di disintegrazione. Servirebbe che i singoli Stati europei non pretendessero di decidere ognuno per conto proprio, imponendo il vincolo dell’unanimità o mantenendo nelle proprie competenze nazionali materie che dovrebbero essere comuni e condivise, come ad esempio le politiche migratorie. Si critica l’Europa ma occorrerebbe criticare gli Stati membri che hanno voluto ridurre l’UE ad una giustapposizione di singole realtà statuali, rinunciando all’ambiziosa visione federale che avrebbe favorito scelte politiche comuni basate sui valori costitutivi dell’Unione e sul benessere dei cittadini. Non si è mai voluta per esempio l’elezione diretta dei presidenti dell’Unione e della Commissione; non si è mai voluta una politica comune sull’immigrazione, mantenendola prerogativa dei singoli stati membri. Da quanto mi ha appena detto, penso che condividerà che sarebbe necessario aprire un dialogo politico serio, nel rispetto e nell’ascolto reciproco, senza improvvisazioni, superficialità e caparbietà, per potere rifondare e rafforzare l’Unione europea. Con chi ci sta, certo, non chi la vorrebbe indebolire».

SALVINI – «Farò e faremo di tutto perché l’Italia torni ad essere la prima in Europa. Noi non siamo secondi a nessuno, non abbiamo niente da chiedere o da imparare né a Parigi né in Lussemburgo né a Bruxelles. La nostra battaglia non si ferma più entro i confini nazionali. La storia ci dà un obiettivo più grande: riportare coesione sociale, amicizia, fratellanza e unità in un continente che se va avanti così rischia di essere schiacciato a ovest, a est e a sud da altre grandi potenze, e noi diventeremo solo un enorme mercato di consumatori di prodotti ideati, costruiti e lavorati dall’altra parte del mondo. Che l’Europa torni ad essere la culla di civiltà di tutto il mondo, fondata sui comuni, sulle regioni, sulle nazioni e sui singoli popoli. E rileggo le parole profetiche di san Giovanni Paolo II che parlava di una vocazione dell’Europa alla fraternità e alla solidarietà di tutti i popoli che la compongono, dall’Atlantico agli Urali. Siamo popoli distinti etnicamente ma vogliono cancellarci le identità, le culture, le storie, le tradizioni per avere non donne e uomini, ma consumatori. Il Trattato di Maastricht sull’Unione europea del 7 febbraio 1992, Titolo 1, Art. 2, dice che “la comunità ha il compito di promuovere una crescita sostenibile, un elevato livello di occupazione e di protezione sociale, il miglioramento del tenore e della qualità della vita, la coesione economica e sociale e la solidarietà tra gli stati membri”. Qualcuno ha tradito il sogno europeo. Noi daremo forza e sangue nelle vene di una nuova comunità europea, fondata sul rispetto, sul lavoro e sul progresso economico e sociale».

IO – «Perfetto: riportare coesione sociale, amicizia, fratellanza, unità, crescita sostenibile, miglioramento del tenore e della qualità della vita, elevato livello di occupazione. Chi non è d’accordo, ministro Salvini? Sono cose che però non si improvvisano né si comandano, ma che si costruiscono attraverso il dialogo politico, il reciproco ascolto, la costruzione di solide alleanze e la forza della ragione. Non riesco proprio a capire la contrapposizione che lei vede tra il valore di civiltà di comuni, regioni, nazioni, singoli popoli e quello di una più ampia comunità di valori che riconosca e valorizzi tutte queste realtà, in un mutuo arricchimento. Mi lasci spiegare. Proprio per non tradire il pensiero di papa Giovanni Paolo II è utile riprendere anche le parole che precedono e che seguono le cinque righe da lei riprese. Si rivolge al simposio delle Conferenze episcopali d’Europa il 5 ottobre ’82: “La vostra riunione non appiattisce né annulla le ricchezze delle singole civilizzazioni nazionali, le mette in comunicazione, aprendole ad un mutuo arricchimento. Come già ha fatto il cristianesimo nel primo millennio d’Europa, integrando l’eredità greco-romana, la cultura dei popoli germanici e quella delle genti slave, dando vita, dalla varietà etnica e culturale, ad un comune spirito europeo”. Sempre di papa Giovanni Paolo II e della sua visione europeista vorrei ora leggerle quanto l’8 ottobre 1988 ha detto all’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa: “La persona, come soggetto unico di diritti e di doveri, ha spesso lasciato il posto all'individuo, prigioniero dei propri egoismi e convinto di essere fine a se stesso. D'altra parte, l'esaltazione del gruppo, della nazione o della razza ha potuto condurre verso ideologie totalitarie e di morte… Se l'Europa vuole avere un ruolo oggi, deve, nell'unità, fondare con chiarezza la sua azione su ciò che di più umano e di più generoso c'è nella sua eredità. Buoni rapporti fra i Paesi delle diverse regioni del mondo non possono fermarsi a trattative di carattere politico o economico. Con il moltiplicarsi degli incontri fra persone di ogni continente, si sente in modo nuovo quanto sia necessario capirsi fra comunità umane di tradizioni diverse… Si potrà vedere già un segno importante della serietà di questa volontà di intesa e di pace nella qualità dell'accoglienza riservata in casa propria a chiunque bussi alla porta da fuori, sia questi un partner, sia qualcuno costretto a cercare un rifugio”. Sono parole che arricchiscono le cinque righe da lei citate, così come quelle pronunciate al Parlamento europeo tre giorni dopo, l’11 ottobre 1988: “Enuncerò tre campi in cui mi sembra che l'Europa unita di domani, aperta verso l'Est del continente, generosa verso l'altro emisfero, dovrebbe riprendere un ruolo di faro nella civilizzazione mondiale. Innanzitutto, riconciliare l'uomo con la creazione, vegliando sulla preservazione dell'integrità della natura, dei suoi sottili equilibri, delle sue risorse limitate, della sua beltà che loda la gloria del Creatore. Poi, riconciliare l'uomo con i suoi simili, accettandosi gli uni gli altri quali europei di diverse tradizioni culturali o correnti di pensiero, accogliendo gli stranieri e i rifugiati, aprendosi alle ricchezze spirituali dei popoli degli altri continenti. Infine, lavorare per la ricostruzione di una visione integrale e completa dell'uomo e del mondo, contro le culture del sospetto e della disumanizzazione”. Indubbiamente un buon programma».

SALVINI – «Se l’Europa si ferma alle ispezioni, ai commissariamenti, agli spread, agli 0,1 è destinata a fallire. Noi questa Europa la vogliamo vedere rinascere, risorgere, sorridere; la vogliamo vedere lavorare perché un uomo, una donna senza lavoro sono senza dignità e senza futuro. Chi semina povertà raccoglie protesta; chi semina false speranze raccoglie la reazione delle periferie, delle campagne. Noi vogliamo ricostruirlo questo tessuto sociale, per restituire dignità, sicurezza, pensioni, lavoro a milioni di Italiani. Ho chiesto il mandato di andare a trattare con l’UE, con rispetto ma a nome di 60 milioni di italiani che vogliono tornare a coltivare la speranza, che vogliono lasciare ai figli e nipoti un’Italia migliore. Abbiamo dimostrato che volere è potere, imparando ogni giorno, migliorando ogni giorno».

IO – «Però, ministro Salvini, occorrerebbe chiarire come e con quali alleanze intende cambiare l’Unione europea. Altrimenti si rimane alle enunciazioni e ai desideri e, mostrando i muscoli, si dimostra in realtà di non avere argomenti. L’involgarimento del linguaggio, in Italia e in Europa, sbriciola la possibilità di stabilire relazioni: e ogni realtà che non sa coltivare relazioni regredisce. I 60 milioni di italiani possono auspicare il cambiamento. Un ministro e un governo devono anche dire come intendono farlo in modo sistemico, con quale visione, quale strategia politica, quali forti alleanze. Jacques Delors, nei suoi dieci anni alla guida della Commissione europea ha cercato di avvicinare e ridurre le disuguaglianze sociali e, con una visione lungimirante, di rilanciare la costruzione unitaria europea ispirandosi al progetto politico dei padri fondatori quali Jean Monnet, Konrad Adenauer, Alcide De Gasperi, Robert Schuman. Un po’ quello che vorrebbe fare lei, se le parole che ha detto prima hanno un senso. Perché allora non cercare un dialogo con tutti quelli (e sono tanti, nella politica e nella società civile) che questo stesso progetto vorrebbero rilanciare? L’allargamento agli Urali, lei lo sa bene, significherebbe in realtà allargamento a Vladivostok, ai confini con l’estrema Cina e poco lontano dal Giappone. Occorre ragionarci più attentamente, non pensa? E’ mettendo insieme le idee e le forze sane che si riesce a trasformare l’Europa in senso sociale, solidale, affrontando il problema delle disuguaglianze, della disoccupazione e al tempo costruendo veramente quella realtà unitaria e federale che, nel rispetto e nella valorizzazione delle diverse entità e comunità nazionali, può garantire forza e speranza a tutti i cittadini. L’Italia vince aprendosi, dialogando, partecipando, confrontandosi con competenza, preparazione, senza improvvisazioni. Mi sembra che manchi questo confronto e che si rimanga perlopiù ai monologhi, scambiando la sfera comunicativa delle migliaia di like con la sfera politica. E’ lei che ha detto di volere essere uno statista. Lo dimostri».

SALVINI – «Confronto, certo, sono sempre aperto. Dobbiamo però mandare a casa il vecchio. Se 60 milioni di Italiani si uniscono, conservando ognuno le nostre identità e diversità, daremo le risposte ai nostri figli: solo uniti si vince».

IO – «Proprio sul tema della nostra identità, di ognuno di noi, delle nostre comunità, mi dia un ultimo minuto. Rimango convinto che essa non può né deve significare chiusura, distanza, né tanto meno sottovalutazione o disprezzo delle altre identità. Ciascuno di noi vive più identità, mai una sola, anche se con differenti graduazioni. Anche lei, ministro: ha un’identità lombarda, un’identità padana ma anche – e sempre maggiormente, sembra – un’identità nazionale italiana, un’identità di tifoso sportivo, un’identità di padre, di politico, di ministro, di sostenitore della bellezza delle nostre produzioni e creatività italiane, un’identità europea che ci unisca sui valori fondanti dell’Unione, un’identità cristiana e un’altra convintamente laica e molte, molte altre, che vive intensamente e che non sono in conflitto tra di loro ma tutte contribuiscono alla ricchezza della sua identità che è e rimane plurale e al contempo armoniosa, dato che si sente a suo agio in questo intreccio di valori. Ed è così per me e per ciascuno di noi. Un’identità legata ad una classificazione artificiale e perfino assurda, chiusa ad ogni altra identità, non esiste, a meno di voler ingannare se stessi. Dare importanza ad un’identità non significa cancellare le altre. C’è una frase di Terenzio che abbiamo preso come motto nell’organizzazione umanitaria in cui ho vissuto negli ultimi decenni: Homo sum, nihil humani a me alienum puto, sono un essere umano, nulla che sia umano mi è estraneo. E’ profondamente umana e profondamente cristiana, anche se scritta 165 anni prima di Cristo. Aprirsi a ciò che è umano, senza paure, non significa essere buonisti, come si usa dire oggi, e non significa rinunciare alla propria identità ma, al contrario, significa arricchirla sempre maggiormente. Se poi, quando lo vorrà, sarà disponibile a stabilire occasioni di confronto e di vero ascolto in merito all’Europa, potremo riprendere meglio e più approfonditamente i vari punti che abbiamo appena sfiorato. Intanto oggi godiamoci questo sole romano».


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