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L’altro visto con gli occhi dell’altro: fotografia e integrazione a Palermo

Apre a Palermo "Boys don't cry", la mostra che vede protagonisti i ragazzi del centro Asante. Ne parliamo con la curatrice Ludovica Anzaldi

di Marco Dotti

Il Centro Asante accoglie migranti e rifugiati nel cuore di Palermo. Offre cure, assistenza, un piccolo kit di beni necessari: scarpe, vestiti, una borsa. «Sono nata a Roma, ma la mia famiglia è di Palermo. Il mio lavoro di fotografa, che mi ha portato a Parigi, mi pone sempre una domanda: che cosa posso fare, di concreto, per mettermi a disposizione di chi, per sventura o ventura della vita, si trova in condizione di fragilità»?

Ludovica Anzaldi ha lavorato con le donne, ha fatto un lavoro attivo, non di mera documentazione o fotogiornalismo, ma di attivazione. Lo ha fatto a Calais (qui), lo ha fatto a Palermo.

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«Mi sono chiesta: cosa posso fare per questi ragazzi del centro? E subito, incrociando i loro sguardi e le loro vite, a domanda ha cambiato verso: che cosa posso fare con loro? Per me è importante che la fotografia non si limiti al fotogiornalismo, ma recuperi la sua anima sociale. E sociale significa fare cose assieme».

Il risultato è "Boys don't cry", la mostra che inaugura domani 19 aprile al Centro Internazionale di Fotografia, presso i Cantieri Culturali alla Zisa di Palermo.

"Boys don't cry", ci spiega Ludovica Anzaldi, ha coinvolto un gruppo di migranti ospiti del Centro Asante , in un workshop di educazione all’immagine e filmmaking condotto da Anzaldi durante la scorsa estate. Un percorso lungo un mese, per sensibilizzare e stimolare il loro sguardo sulla realtà e imparare a esprimersi utilizzando il mezzo fotografico. Durante il workshop ai ragazzi sono stati forniti gli strumenti creativi per imparare a costruire un lavoro foto/video e a comporre immagini per elaborare un racconto: il loro racconto personale.

I ragazzi di Asante hanno tra i 17 e il 23 anni e vivono nell'attesa di documenti. Documenti senza i quali non possono muoversi, fare, esister. Così, per rompere questa stasi, ci racconda Anzaldi, «è nata l’idea di fare un piccolo workshop così che possano integrarsi attraverso l’apprendimento, la creazione, l’espressione di sé e la conoscenza del nostro paese. La narrazione è andata avanti unendo insieme momenti di lavoro nel centro accoglienza, dove i giovani autori hanno realizzato una serie di scatti utilizzando le tecniche principali del ritratto classico, con visite alla Biennale d’arte contemporanea Manifesta 12, importante occasione di conoscenza della città oltre che di confronto con tematiche che li chiamano in causa direttamente. Ma per entrare a Manifesta abbiamo dovuto superare il problema dei documenti: non si entra, senza quel pezzo di carta».

Ma la fotografia sa gettare ponti. E aprire varchi, quando si apre allo sguardo dell'altro.


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