Education & Scuola

I ragazzini italiani? Non ricordano di aver mai giocato con un coetaneo con disabilità

L'Autorità Garante per l'Infanzia e l'Adolescenza ha presentato un documento sull'attuazione del diritto al gioco sancito dall'articolo 31 della Convenzione Onu, andando a indagare in particolare se e come i bambini con disabilità giocano e fanno sport. Il quadro? Preoccupante. Con appena 234 parchi gioco "inclusivi" in tutta Italia

di Sara De Carli

Di studi ne esistono pochissimi. Quello di SuperAbile, del 2016, conta in tutta Italia 234 parchi gioco inclusivi, ma approfondendo si scopre che la stragrande maggioranza di questi parchi in realtà prevede soltanto altalene per sedie a ruote (presenti in 152 parchi). Solo due parchi gioco hanno delle piste sopraelevate per biglie o macchinine, così da giocarci anche stando seduti in carrozzina. Solo 5 parchi hanno giostrine girevoli con posti per bambini in carrozzina e solo 10 hanno pannelli sensoriali a un’altezza utile anche per chi è seduto. Pure la definizione di parco accessibile – lo sappiamo bene – merita ulteriori approfondimenti, poiché è necessario pensare non solo alla disabilità fisica ma anche a quella sensoriale ed intellettiva, con attrezzature, percorsi, segnaletica adeguata all’autonomia del bambino con disabilità.

Ora una ricerca condotta dall’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza e ANCI su un campione di 173 Comuni, attraverso un questionario, ci dice che solo il 27% dei Comuni coinvolge le famiglie di minorenni con disabilità nelle politiche di inclusione per ciò che riguarda il diritto al gioco e allo sport (il dato scende al 21% nei Comuni con meno di 10mila abitanti) e solo il 18% coinvolge i diretti interessati, i minorenni stessi. Nel 40% dei Comuni del campione si registra la presenza di parchi gioco definiti accessibili, e ancora maggiore è la presenza sul territorio di impianti sportivi accessibili (69%).

Se poi passiamo a parlare con le persone, il quadro dell’attuazione concreta del diritto al gioco per bambini e ragazzi con disabilità è ancora più desolante. Molti ragazzi hanno riferito di avere pochissime esperienze vissute a contatto con un compagno con disabilità: il contesto principale in cui i ragazzi hanno avuto modo di incontrare coetanei con disabilità risulta essere la scuola e in tanti non ricordano nemmeno di aver fatto giochi insieme o attività sportive condivise. C’è la disponibilità a trascorrere del tempo di gioco o di sport con i compagni con disabilità, ma con un adulto mediatore, che sostiene la possibilità di un gioco condiviso e possibile. Perché – secondo i ragazzi – «i coetanei con disabilità hanno desideri e necessità completamente differenti e hanno sempre bisogno di un adulto che possa fare da mediatore tra bisogni e significati», dice il report dell’Agia: «la disabilità, in generale, è considerata una condizione talmente distante da loro da pensarla come un mondo a parte».

Il report di cui stiamo parlando, Il diritto al gioco e allo sport dei bambini e dei ragazzi con disabilità (allegato in fondo all'articolo) è un documento di studio e proposta dell’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza ed è stato presentato ieri a Roma. Ecco un’intervista alla Garante, Filomena Albano.

Come nasce questo documento e la volontà di affrontare questo tema?
Nasce all’interno della Consulta dell’Autorità Garante, che per i lavori del 2018 aveva individuato due argomenti principali di lavoro, i minorenni di nuova generazione con focus sulla condizione delle ragazze e questo secondo sul diritto al gioco e allo sport da parte dei minori con disabilità.

Perché?
Da un lato è compito dell’Autorità Garante verificare l’attuazione dei diritti dei bambini. E fra i diritti uno fra i più dimenticati è certamente quel diritto al gioco e alle attività ricreative previsto dall’articolo 31 della Convenzione Onu, di cui quest’anno si celebra il trentennale. Parlando di bambini e ragazzi con disabilità, sempre nell’ottica della verifica dell’attuazione dei diritti, c’è anche l’articolo 2, che esplicita il principio delle pari opportunità. La giornata di ieri è stata su questo filone, preceduta fra l’altro da un accordo fra AGIA e CONI per formare i tecnici delle varie federazioni sui principi della Convenzione Onu e quindi anche migliore la relazione con i bambini nell’ambito fondamentale dello sport. E ancora, in vista del 28 maggio, Giornata mondiale del gioco, abbiamo lanciato l’invito a inviarci comunicazione di tutte le attività e gli eventi di gioco inclusivo.

Da questa dimensione di “verifica” cosa emerge?
Il quadro non è tranquillizzante. Vorrei spendere alcune parole sulla metodologia: abbiamo fatto 4 focus group, interviste anche individuali a ragazzi, audizioni, focus tematici con i genitori su Roma e Milano e poi un questionario, a cui hanno risposto 173 Comuni, in collaborazione con ANCI. È emersa una differenza di approccio tra ragazzini e adulti (genitori di bambini con disabilità): gli adulti vedono sport e gioco con finalità riabilitative, i bambini come divertimento e piacere, aspirano a giocare con i coetanei, non in gruppi di sole persone con disabilità, ma con i compagni di scuola. I ragazzi a sviluppo tipico – mi ha colpito molto – non ricordano esperienza di gioco con ragazzi con disabilità e dicono che sono interessati a farlo ma si sentirebbero più tranquilli e vi fosse la presenza di un adulto mediatore. Sul piano del sistema, invece, è emersa la mancanza di un sistema di rilevazione di come i bambini con disabilità trascorrono il tempo libero: non si sa quando giocano, con chi, se solo con altri disabili, che tipo di gioco fanno, se hanno accesso alle discipline sportive e quali… Manca a monte una banca dati sui minori con disabilità, lamentata da anni, che dovrebbe rientrare a breve nei livelli essenziali delle prestazioni, le anticipo che usciremo a breve con indicazioni su questo dell’Agia: fra i dati da racogliere ci sarà con ulteriore segmento relativo al diritto al gioco e allo sport dei minori con disabilità.

Il secondo compito dell’Autorità Garante è quello di fare promozione culturale…
Esatto. Per questo abbiamo voluto accendere un faro sul rispetto di questo diritto e sull’importanza di valorizzare l’unicità di ciascuno di noi, più che sottolineare la diversità. Quello di ieri è stato un inizio.

Fra le testimonianze, cosa l’ha colpita?
Marco, che ha una disabilità dalla nascita per una malattia congenita, ha racontato come è approdato al basket a 15 anni, nella squadra dei “Giovani e Tenaci” presso la Fondazione Santa Lucia di Roma. Ha partecipato a due campionati giovanili nazionali. Frequenta il terzo anno del Liceo Classico e da grande vuole fare il medico. Ha raccontato di come lo sport lo ha aiutato ad essere più visibile agli altri e anche a migliorare il suo percorso di studi: prima era molto timido, si sentiva osservato ogni volta che usciva di casa e questo influiva sulla scuola. Lo sport ha rappresentato l’occasione per accrescere la fiducia in se stesso e la sicurezza nelle relazioni con gli altri, impattando anche sul suo rendimento scolastico. È stato bellissimo. Abbiamo presentato anche alcune buone pratiche, in particolare il baskin, un basket inclusivo nato nel 2003 a Cremona e ora diffuso in tutta Italia (dal loro sito la foto di copertina, ndr) e la coprogettazione del Parco Inclusivo Padova, di prossima realizzazione, che sta vedendo coinvolti università, scuole, amministrazione comunale, Terzo settore, aziende e che pone l’attenzione ad un nuovo modello di lavoro inclusivo che facilita la creazione di un luogo di gioco destinato a tutta la cittadinanza.

Spesso ci scrivono genitori dicendo che indichiamo come “parco giochi accessibile” o “inclusivo” un parco in cui c’è un’altalena per carrozzine… non è così. Avete dato indicazioni anche in questo senso?
Non nello specifico ma ci siamo posti il problema del fatto che quando si dice “inclusivo” si pensa in realtà spesso solo alla disabilitò fisica, laddove lo spetro delle disabilità è ampio e ci sono parchi gioco totalmente inadeguati ad esempio a bambini con disturbi dello spettro autistico o sensoriali… È un tema che è stato lambito ma non approfondito, ma davvero quello di ieri è stato solo un primo passo.


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