Welfare & Lavoro

Professioni educative e pedagogiche: ritorno al futuro

"Messo in sicurezza" l'edificio, permane tra le professioni educative e nei servizi più di una incertezza. Rimangono sul tappeto nodi critici irrisolti. Il tutto rimanda alla necessità di fare uscire finalmente il lavoro educativo dalla sua cronica precarietà e fragilità costituzionale, conferendogli il ruolo che gli spetta nella società e nel modo del lavoro

di Fabio Ruta

Con l'intervento della "Conferenza dei Rettori delle Università Italiane" (Crui) si sono concluse, alla VII Commissione del Senato, le audizioni nell'ambito della indagine conoscitiva per la definizione degli ambiti occupazionali delle figure di Educatori e Pedagogisti.

Questa Commissione ha sostenuto una mole di lavoro davvero notevole, che costituisce a mia memoria una preziosa ed inedita attenzione delle istituzioni parlamentari al mondo delle professioni educative. Gran parte del merito va all'onorevole Vanna Iori che nella sua attività parlamentare è riuscita con perseveranza a portare nell'agenda politica questa tematica a lungo rimossa e marginalizzata. Nel corso di questa indagine conoscitiva – le cui audizioni sono visibili sul sito istituzionale del Senato della Repubblica – si sono espresse molteplici soggettività istituzionali, datoriali, sindacali, formative, universitarie, dell'associazionismo professionale. Ne emerge ancora una volta un quadro frastagliato e complesso la cui riduzione a sintesi è molto ostica.

Le recenti disposizioni normative contenute nelle ultime due Leggi di Stabilità hanno "messo in sicurezza l'edificio", salvaguardando la tenuta del sistema dei servizi sociali, socioassistenziali, sociosanitari e della salute ed evitando contestualmente licenziamenti e creazione di nuove ondate di esodati. Permane però tra le professioni educative e nei servizi dove queste operano più di un livello di incertezza. Rimangono sul tappeto notevoli nodi critici irrisolti. Il tutto rimanda alla necessità di fare uscire finalmente il lavoro educativo dalla sua cronica precarietà e fragilità costituzionale, conferendogli il ruolo che gli spetta nella società e nel modo del lavoro. In termini di dignità professionale, riconoscimento giuridico ed economico adeguato nei contratti di lavoro, prevenzione e cura dei fenomeni di rischio e sofferenza lavorativa e del burnout.

Nel nostro Paese spesso la figura dell'educatore è sottopagata e lavora in contesti di scarsità di risorse e gratifiche. Talvolta esposta a turni massacranti con rapporti numerici di personale-utenza squilibrati in difetto; oberata da richieste di prestazioni mansionarie improprie di ogni genere, sottoposta alla umiliazione delle notti passive: distorsione che nemmeno l'ultimo rinnovo contrattuale delle cooperative sociali ha cancellato.

La figura del pedagogista, cui spettano per le proprie competenze specialistiche posizioni apicali, viene estromessa tutt' ora da molti settori e da molte funzioni strategiche. C'è chi guarda al pedagogista unicamente come a una figura che si occupa di prima infanzia, dimenticando che rappresenta un universo di saperi che si applica all'apprendimento, agli aspetti evolutivi, lungo tutto l'arco di vita. La pedagogia si occupa di bisogni educativi speciali, di invecchiamento, della manutenzione dei processi nei servizi e nelle organizzazioni complesse (e di molto altro ancora).

Questo denota un ritardo italiano rispetto a società più avanzate dal punto di vista economico e tecnologico, che stanno scoprendo e valorizzando le lauree umanistiche cogliendone la centralità anche in settori diversi da quelli tradizionali (della assistenza, cura e insegnamento). Competenze filosofiche e pedagogiche vengono ritenute strategiche persino nella manutenzione dei processi organizzativi e nella gestione delle risorse in ambiti produttivi, commerciali, aziendali dove si è compresa la centralità dell'elemento umano e della sua valorizzazione per la buona riuscita di ogni progetto.

Nell'intervento al Senato, la CRUI pone il tema dell'adeguamento dei livelli di inquadramento e di remunerazione economico-stipendiale degli Educatori e dei Pedagogisti attraverso la assegnazione "in ogni settore, rispettivamente ai livelli 6 e 7 del quadro europeo delle qualifiche per l'apprendimento permanente". Per comprendere quanto si sia ancora lontani da questo traguardo basta citare la situazione paradigmatica di uno dei più importanti contratti collettivi nazionali: quello delle "Regioni ed Autonomie Locali" dove da decenni si attende che vengano definiti gli inquadramenti delle figure educative. Dove tutt' ora molti enti del comparto continuano ad inquadrare gli educatori professionali nella fascia di merito C, non riconoscendo il loro livello di professionisti laureati. Nell'ultimo rinnovo contrattuale si istituiva – con lo scopo di ridefinire la classificazione contrattuale dei profili educativi – una commissione paritetica presso l'Aran, assegnandole il compito di giungere entro il luglio del 2018 alla conclusione dei lavori. Siamo a maggio 2019 inoltrato e quella commissione non ha prodotto nulla di concreto. Di questo occorrere chiedere conto anche alle organizzazioni sindacali, ricordando loro gli impegni sottoscritti.

Se ciò avviene in un importante comparto pubblico, in altri settori si identificano diversi livelli di sofferenza e di precarietà non meno significativi. Nella indagine conoscitiva sono emerse – tra i soggetti auditi – posizioni opposte in merito al doppio binario di formazione degli educatori professionali. Se il mondo universitario persiste nel ritenere imprescindibile il mantenimento di due corsi che producono due profili professionali "diversi ma complementari" (oggi identificati in EP sociosanitari e sociopedagogici), quello del lavoro (con una significativa convergenza di soggetti sindacali e parti datoriali) preme per un'unica figura professionale, più funzionale al reclutamento ed alla gestione dei servizi (ma anche alla sua collocazione nelle declaratorie contrattuali ed alla possibilità di effettuare mobilità intercompartimentali tra diversi comparti del pubblico impiego).

In mezzo a tutto ciò vi è la questione spinosa dell'albo professionale, istituito tra le professioni tecniche sanitarie e di cui si attendono ancora norme attuative e chiarezza sulle liste speciali per i professionisti che operano da tempo alla luce del sole nel settore, ma privi di titolo abilitante. L'ambito di obbligatorietà della iscrizione all'albo è per molti confusivo, non sempre gli enti forniscono informazioni corrette ai loro dipendenti su quale profilo sia tenuto ad iscriversi. Tenuti alla iscrizione all'albo sono gli educatori professionali sociosanitari, mentre l'educatore professionale sociopedagogico non lo è. Gli Educatori Professionali con pregressa formazione regionale sono oggi equipollenti alla laurea in Educazione Professionale in ambito sanitario, fatta eccezione per coloro che si sono diplomati in identici corsi dopo il 2005 e che versano in una situazione assurda di "sospensione". Urge un provvedimento che estenda la equipollenza anche a chi ha ottenuto il titolo regionale dopo il 2005. Ma, ad una riflessione più attenta, salta all'occhio come la pregressa formazione regionale fosse volta a coprire di fatto le esigenze occupazionali (ed i campi disciplinari) di entrambi i filoni universitari che oggi formano i due profili di Educatore. Ed infatti gli Educatori Professionali di formazione regionale operano da tempo immemore in ogni settore: dalla extrascuola sino al settore psichiatrico ed alle tossicodipendenze. Non solo vi operano da decenni: ma si può ben dire senza timore di essere smentiti che abbiano pionieristicamente fatto la storia dell'intervento educativo in questi ambiti. Non si capisce dunque perché non conferire a questi professionisti la doppia equipollenza, estendendola anche all'ambito sociopedagogico. Ciò sarebbe del tutto logico poiché i crediti formativi accumulati nei corsi regionali sono stati riconosciuti dalle facoltà di Scienze della Formazione, offrendo in certe occasioni l'accesso diretto ai corsi di laurea specialistica. Inoltre un simile provvedimento estenderebbe agli educatori professionali il beneficio del comma 517 della recente legge di stabilità e libererebbe molti operatori (che in tutta probabilità non svolgono alcuna mansione sanitaria) dall'oneroso vincolo di iscrizione ad un albo nel quale in molti non si riconoscono.

Restano questioni irrisolte: chi già opera in ambito sociopedagogico ma è in possesso della laurea abilitante in ambito sociosanitario ( o titolo equipollente) può continuare ad esercitare nelle more del DM 520/98 (tutt' ora attivo) come spesso le organizzazioni sindacali ricordano. Ma molti educatori in questa situazione non si sentono tranquilli e chiedono di iscriversi ai corsi da 60 CFU per ottenere una qualifica valida in ambito sociopedagogico ( mentre questi corsi originariamente sono stati ideati per chi opera senza titolo). Allo stesso tempo gli educatori professionali che operano in ambito sociosanitario e della salute con il titolo sociopedagogico possono farlo poiché è attivo il comma 517 della recente legge di stabilità che permette loro di lavorare in questi settori limitatamente alle mansioni socio educative.

In realtà però si assiste, nel pubblico della Sanità, alla permanenza della esclusione dei laureati in Sde dai concorsi per Educatore Professionale. Rivolgo un appello alle associazioni sociopedagogiche ed a quelle sindacali ad intervenire per correggere questa stortura. Nel privato sociale de facto si stanno invece creando due mercati differenziati: con la richiesta di laureati Sde nel settore sociale e di laureati Snt2 nelle comunità terapeutiche. Appare evidente che occorre evitare che si creino due livelli discreti e distinti con settori di lavoro riservati ed incomunicabili tra loro. Vi è necessità di rafforzare quei dispositivi che consentono agli educatori con diverso background formativo di operare all'interno dei medesimi servizi. E per questa via procedere a quello scambio di saperi e condivisione che può portare da un lato alla armonizzazione dei due profili attualmente esistenti, dall'altro alla generazione di una nuova cultura pedagogica ed educativa multidisciplinare, dinamica, integrata, sensibile ai mutamenti della società e rispondente ai nuovi bisogni educativi che in essa si generano.

Nel recente documento della "Conferenza delle Regioni e Province autonome" si espone come – nella eterogeneità dei percorsi e degli aspetti socioculturali – nel contesto europeo la definizione dei profili e della formazione degli educatori professionali sia prevalentemente "sociale" e correlata al lavoro sociale. Si evidenzia inoltre la "labilità del confine definito dalle norme tra ambito riabilitativo-sanitario ed ambito educativo", rimandando " ad un tavolo di confronto tra tutte le istituzioni e i rappresentanti delle associazioni professionali e sindacali" l'oneroso compito della "ridefinizione della figura dell'educatore". Ciò è a mio avviso necessario anche per la evidenza che profili professionali immaginati decenni orsono debbano giocoforza sottoporsi ad un "tagliando" e ad una "revisione". Non solo per vedere cosa ha funzionato e cosa no: ma anche e soprattutto per adeguare la effettiva rispondenza ad una società velocemente mutata in molti aspetti, rispetto a quella che ha partorito allora quei profili professionali. La stessa definizione degli educatori come "sociopedagoci" e "sociosanitari" è restrittiva. Occorre immaginare la formazione di figure professionali che sappiano partecipare ad un complessivo rinnovamento del welfare. Includendo competenze "civiche", di "comunicazione sociale" ( si pensi alla importanza dei nuovi media ma anche alla trattazione nei giornali e nei palinsesti radiotelevisivi – in particolare dei servizi pubblici – di temi come il bullismo, le dipendenze, l'immigrazione, la discriminazione di genere e l'omofobia), persino di "immaginazione degli spazi urbani in funzione della qualità di vita e della socialità". In tutto questo c'è bisogno di coltivare senza riduzionismi, al riparo da scorciatoie e da difese corporative un nuovo sguardo. Che colga il meglio delle esperienze passate. Ma guardi al futuro.

Photo by Mario Purisic on Unsplash


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