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Per 2 persone su 3 la demenza è conseguenza normale dell’invecchiamento

Diffusi, in occasione della Giornata mondiale dell’Alzheimer del 21 settembre, i dati del Rapporto 2019 dal titolo “L’atteggiamento verso la demenza”. «Dati allarmanti che anche in Italia sono l’unità di misura dello stigma e della sfida che ci aspetta ancora nel combatterlo», commenta Gabriella Salvini Porro, presidente della Federazione che nel nostro Paese rappresenta l’Adi - Alzheimer’s Disease International

di Antonietta Nembri

La demenza? Per due persone su tre è la conseguenza del normale invecchiamento, della stessa opinione anche il 62% del personale sanitario. E se 1 persona su 4 pensa che non si possa fare nulla per prevenirla, 1 su 5 attribuisce la demenza a sfortuna; circa il 10% alla volontà di Dio e il 2% alla stregoneria. Sono alcuni dei dati che emergono dal Rapporto mondiale Alzheimer 2019 presentato dalla Federazione Alzheimer Italia, rappresentante nel nostro Paese dell’Adi – Alzheimer’s Disease International. L’occasione è la XXVI Giornata Mondiale Alzheimer che si celebra domani, 21 settembre, in tutto il mondo. Il Rapporto intitolato “L’atteggiamento verso la demenza”, illustra i risultati della più vasta indagine mai condotta al mondo sulle convinzioni e i comportamenti diffusi nell’opinione pubblica nei confronti della malattia di Alzheimer e di tutti gli altri tipi di demenza.
Gli intervistati (persone con demenza, carer, personale medico e pubblico in generale) sono stati 70mila in 155 Paesi in tutto il mondo, e il sondaggio è stato tradotto in 30 lingue (la versione italiana è stata redatta e diffusa dalla Federazione Alzheimer Italia).

L’analisi dei dati, effettuata dalla London School of Economics and Political Science, rivela nel complesso un’allarmante mancanza di conoscenza a livello globale della demenza: il dato più preoccupante è che due terzi degli intervistati pensa ancora che la demenza sia conseguenza del normale invecchiamento. Dall’indagine emerge in sostanza come lo stigma verso la demenza impedisca alle persone di chiedere informazioni, supporto e assistenza medica che potrebbero migliorare notevolmente la durata e la qualità della vita per quella che è, a livello globale, una delle cause di morte a più rapida diffusione.
Secondo le previsioni, infatti, il numero delle persone con demenza è destinato a più che triplicare rispetto ai 50 milioni attuali, raggiungendo 152 milioni nel 2050. Sul fronte economico, il costo annuo della demenza -si legge in una nota della Federazione – supera attualmente i mille miliardi di dollari, cifra destinata a raddoppiare entro il 2030. La demenza, poi, è la quinta principale causa di morte a livello globale (dato del 2016, mente nel 2000 era la quattordicesima). In Italia la stima attuale delle persone con demenza è di 1.241.000.

Commenta Gabriella Salvini Porro, presidente della Federazione Alzheimer Italia: «Dal Rapporto emergono dati a dir poco allarmanti, che riguardano tutto il mondo, compresa l’Italia e non solo certe zone. Certo, gli atteggiamenti variano a seconda delle fasce regionali, socioeconomiche e culturali, ma è indubbio che alcune convinzioni errate sulla demenza siano ancora radicate in maniera importante anche nella nostra opinione pubblica. Questa è l’unità di misura dello stigma presente nelle nostre comunità, che descrive anche la sfida che ci attende nel perseguire la sua lotta. Pensiamo per esempio al 60% degli intervistati che ritiene corretto non coinvolgere le persone con demenza: si tratta di discriminazione, in contrasto con il considerarle prima di tutto come persone, con una loro individualità e un loro vissuto costruito lungo una vita intera, al di là dell’etichetta della diagnosi. Un dato positivo è che almeno il 50% degli intervistati sia convinto che lo stile di vita possa influire sulla riduzione del rischio di sviluppare una forma di demenza: dobbiamo agire su tutti i fronti – sociale, assistenziale, medico – per aumentare questa percentuale».

Il Rapporto inoltre sottolinea quali siano le barriere principali alla ricerca di aiuto, consigli e assistenza: il 48% degli intervistati è convinto che la memoria di una persona con demenza non migliorerà mai, neppure con interventi medici; mentre 1 su 4 pensa che non si possa fare nulla per prevenire la demenza.
Commenta Paola Barbarino, Amministratore delegato di Adi: «Lo stigma è il più grande limite alla possibilità delle persone di migliorare sensibilmente il loro modo di convivere con la demenza. A livello individuale, lo stigma può minare gli obiettivi esistenziali e ridurre la partecipazione ad attività sociali, peggiorando il benessere e la qualità della vita. A livello di società, lo stigma strutturale e la discriminazione possono influire sull’entità dei fondi da stanziare per la cura e l’assistenza. Auspichiamo che i risultati ottenuti da questa ricerca possano dare il via a una riforma e a un cambiamento globale positivo».

Dal Rapporto emerge inoltre come circa il 50% delle persone con demenza intervistate si senta ignorata dal personale sanitario, mentre il 33% degli intervistati pensa che, se soffrisse di demenza, il personale medico non gli darebbe ascolto.
Un dato interessante infine è che il 95% dei partecipanti ritiene che potrebbe sviluppare una demenza nel corso della sua vita e più di due terzi delle persone (69,3%) si sottoporrebbero a un test genetico per conoscere il loro rischio di sviluppare una demenza (anche se finora non esiste un trattamento in grado di modificare il decorso della malattia). Ciò significa che il timore di soffrire di demenza è diffuso a livello globale, ma la malattia è ancora scarsamente compresa.

Il Rapporto completo è consultabile sul sito di Adi, dove è anche presentata la campagna internazionale “Let’s Talk About Dementia” (Parliamo di demenza), lanciata in questo VIII Mese Mondiale Alzheimer con l’obiettivo di intensificare il dialogo a livello globale sulla demenza per contrastare lo stigma.


In apertura foto di ©Cathy Greenblat, dalla mostra "Love, loss and Laughter" Lyon Press