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Dal 2000 la fame cala del 31%, ma non basta a debellarla

Cesvi ha presentato il Global Hunger Index (#ghi2019). In questa quattordicesima edizione ci si concentra sul rapporto tra fame e cambiamento climatico. Cinque i Paesi con indice allarmante - Repubblica Centrafricana - o estremamente allarmante - Ciad, Madagascar, Yemen e Zambia. Per raggiungere i target dell’Oms sulla nutrizione servono 70 miliardi di dollari per i prossimi 10 anni

di Antonietta Nembri

Moderata e grave. È questa la soglia a cui è arrivato il livello di fame e malnutrizione globale. A dirlo la quattordicesima edizione dell’Indice Globale della Fame (Global Hunger Index – Ghi*), presentato oggi a Milano, da Cesvi. Il Ghi misura la fame a livello globale, regionale e nazionale, concentrandosi nell’edizione 2019 sul rapporto tra fame e cambiamento climatico: due sfide interconnesse che richiedono azioni immediate e soluzioni a lungo termine. Gli indicatori sui quali si basa la misurazione sono quattro: denutrizione, deperimento infantile arresto della crescita infantile e mortalità dei bambini sotto i cinque anni.

Alla presentazione del Global Hunger Index 2019 dal titolo “La sfida della fame e del cambiamento climatico” che si è tenuta a Palazzo Clerici, sede dell’Ispi, sono intervenuti: Gloria Zavatta, presidente Cesvi, Giuliano Pisapia, europarlamentare, Marco Riccardo Rusconi, consigliere diplomatico del ministro dell’Ambiente, Cindy Holleman, senior economist della FAO, Anna Scavuzzo, vice sindaco di Milano delegata per la food policy, Valeria Emmi, advocacy coordinator di Cesvi, e Myo Min Aung, responsabile dei programmi di sviluppo agricolo Cesvi in Myanmar. Ha coordinato i lavori Giampaolo Musumeci, giornalista di Radio 24.

Il Ghi 2019 segnala l’urgenza di favorire percorsi di sviluppo che rispettino gli impegni presi nell’Accordo di Parigi e includano interventi di mitigazione, adattamento e sviluppo sostenibile: priorità alla resilienza e all’adattamento, miglioramento nella risposta alle catastrofi, trasformazione dei sistemi alimentari e azioni per mitigare il cambiamento climatico senza compromettere la sicurezza alimentare e nutrizionale.


Fonte indice globale della fame 2019

Dal punto di vista economico i costi della denutrizione sono devastanti: più dell’11% del Pil in Africa e Asia ogni anno. Per questo è necessario investire in programmi e politiche adeguati. Investire oggi in nutrizione ha un elevato ritorno economico e un forte impatto in termini di costi-efficacia: numerosi studi dimostrano che 1 euro investito in nutrizione genera un ritorno di almeno 16 euro. La Banca Mondiale ha indicato che è necessario un investimento addizionale di 70 miliardi di dollari per i prossimi 10 anni per raggiungere i target definiti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità sulla nutrizione, recepiti nell’Obiettivo Fame Zero dell’Agenda 2030.

L’Indice 2019 evidenzia che complessivamente la fame nel mondo sta passando da grave a moderata, con un calo del 31% rispetto al punteggio di Ghi registrato nel 2000. All’origine di questo risultato vi è il miglioramento di tutti e quattro gli indicatori considerati dal rapporto. Fame e malnutrizione non sono pertanto problemi immutabili. Tuttavia, la percentuale di popolazione che non ha regolare accesso a calorie sufficienti è stagnante dal 2015, il numero di persone che soffrono la fame è salito a 822 milioni (erano 795 milioni nel 2015) e sono 149 milioni i bambini vittime di arresto della crescita a causa della malnutrizione.
In molti Paesi i progressi sono troppo lenti per poter raggiungere entro il 2030 l’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile SDG2 – Fame Zero fissato dalle Nazioni Unite; al ritmo attuale, infatti, circa 45 Paesi non riusciranno ad attestarsi nemmeno ad un livello di fame basso.

Le regioni del mondo più colpite dalla fame restano Asia meridionale e Africa a sud del Sahara. In cinque paesi la fame risulta tuttora allarmante – Repubblica Centrafricana – o estremamente allarmante – Ciad, Madagascar, Yemen e Zambia; in 43 dei 117 Paesi per cui sono disponibili dati la fame è a un livello grave. Il Ghi 2019 approfondisce la situazione di Haiti e Niger che registrano livelli di fame grave e altamente vulnerabili agli effetti del cambiamento climatico.
Livello di fame moderato, ma altissima probabilità di essere colpito da disastri naturali dovuti ai cambiamenti climatici caratterizzano invece il Myanmar, dove Cesvi è presente con un programma di interventi per potenziare la resilienza e favorire uno sviluppo agricolo efficiente e sostenibile. «La Central Dry Zone è l’area più vulnerabile del Myanmar a causa della scarsità d’acqua e degli effetti del cambiamento climatico: siccità, erosione del suolo, degrado della vegetazione e frane»», ha sottolineato Myo Min Aung. «Da anni Cesvi interviene con progetti per l’adattamento e mitigazione del cambiamento climatico e per aumentare la produttività agricola grazie a tecniche innovative e sostenibili per l’ambiente al fine di ridurre la fame nel Paese. Nel 2019 abbiamo supportato 326 comunità raggiungendo oltre 33mila piccoli agricoltori».

Si segnala inoltre che per il 2019 non è stato possibile calcolare i punteggi di Ghi di 15 Paesi perché non erano disponibili i dati su almeno uno degli indicatori usati nella formula (spesso a causa di conflitti o disordini politici).
Nove dei Paesi con dati insufficienti sono fonte di notevole preoccupazione.

In Libia, nel dicembre 2018, 270mila libici erano sfollati interni, rifugiati di ritorno, rifugiati e richiedenti asilo, tutti gruppi particolarmente vulnerabili all’insicurezza alimentare, dovuta a problemi di accesso al cibo.
In Siria, a maggio 2019, 6,5 milioni di persone su una popolazione di 18 milioni erano considerate incapaci di soddisfare il proprio fabbisogno alimentare di base.

In Somalia più di 2,6 milioni di persone sono sfollati interni a causa del conflitto, delle inondazioni, della siccità e dell’insicurezza alimentare e il tasso di mortalità infantile è pari al 12,7%, il più alto tra tutti i paesi inclusi in questo studio.
L’insicurezza alimentare affligge anche altri Paesi come il Burundi, le isole Comore, la Repubblica Democratica del Congo (RDC), l’Eritrea, la Papua Nuova Guinea e il Sud Sudan, alimentata problemi come le crisi interne, le epidemie e il cambiamento climatico.

Il cambiamento climatico ha effetti devastanti su sicurezza alimentare, biodiversità, risorse idriche, ecosistemi, suolo e produzione agricola, con conseguenze su larga scala ovunque. Senza misure di adattamento entro il 2030 le rese mondiali dei raccolti diminuiranno in media del 2% per decennio, colpendo maggiormente le regioni più insicure dal punto di vista alimentare ed alimentando tensioni e disuguaglianze.
Il cambiamento climatico, viene sottolineato pome un problema di disuguaglianza da quattro punti di vista fondamentali: responsabilità per le cause dei cambiamenti; ineguaglianze intergenerazionali: impatto disuguale sulle persone più povere nelle regioni meno sviluppate del mondo e, infine, disparità nella capacità di affrontare gli impatti dei cambiamenti climatici.

Secondo Gloria Zavatta, presidente Cesvi, «L’Indice Globale della Fame 2019 ci pone davanti a una tra le più grandi sfide di questo secolo che tutti – dai rappresentanti istituzionali ai decisori politici, dalle imprese alla società civile e persino come singoli cittadini – abbiamo il dovere di cogliere e affrontare con urgenza. Dobbiamo rafforzare le capacità dei più vulnerabili per una migliore preparazione e risposta ai disastri e agli effetti di un clima che cambia. Ma è necessario anche un ripensamento e una trasformazione dei sistemi di produzione alimentare, dei nostri modelli di produzione di energia e di consumo. Dobbiamo agire ora perché non c’è più tempo».

#famedicambiamenti è la campagna lanciata da Cesvi per sensibilizzare le persone su questi temi. Esprime la grande voglia delle nuove generazioni di cambiare, portare nuovi modelli di riferimento, approcci innovativi al tema dello sviluppo. I fenomeni cui stiamo assistendo a livello mondiale parlano di una nuova coscienza che pervade ormai tutti i livelli della società, dagli adolescenti alle aziende responsabili. Cesvi si fa interprete di questi sentimenti, fornendo spunti su nuove progettualità in tema di produzione di cibo e sicurezza alimentare.

*Il Ghi, di cui Cesvi cura l’edizione italiana dal 2008, è realizzato da Welthungerhilfe e Concern Worldwide, partner di Cesvi nel network europeo Alliance2015.

In apertura foto di Fulvio Zumbiani


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