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“Ragazzi, dite cheese”: un’app per prevenire l’abbandono scolastico

Nelle aree rurali del Burkina Faso, ci sono anche 50 alunni per classe. Fare l'appello è complicato, ma avere dati certi e in real time sulle assenze è fondamentale per mettere in campo azioni efficaci per prevenire l'abbandono scolastico. Ciai e Gnucoop hanno realizzato un'apposita app: ora basta una foto

di Sara De Carli

Può un’app aiutare a prevenire l’abbandono scolastico? Sì. L’app si chiama “Cheese 2 School”, è stata realizzata dal CIAI in collaborazione con Gnucoop, è utilizzata in Burkina Faso ed è stata uno dei protagonisti del recente salone della CSR nell’ambito degli incontri dedicati a tecnologia, innovazione e sostenibilità. L’applicazione rileva sistematicamente le presenze a scuola dei bambini, consentendo un monitoraggio delle assenze e interventi mirati e rapidi per prevenire l’abbandono scolastico: una concreta dimostrazione di come l’utilizzo di strumenti tecnologici possa amplificare l’efficacia di un intervento di cooperazione.

«Siamo presenti in Burkina Faso dal 1995 e uno dei focus dei nostri interventi è promuovere l’accesso all’istruzione e la sua qualità», spiega Francesca Silva, direttore di Ciai. Il Burkina Faso è un Paese giovanissimo, l’età media è di 17 anni e l’aspettativa di vita sotto i 50. Mediamente sei ragazzi su 10 arrivano a completare l’istruzione primaria, ma con forti disparità di genere oltre che fra una regione e l’altra. «Il progetto Ciai è in un’area rurale del centro-ovest, con tassi di mancato accesso molto significativi, legato al fatto che circa il 40% dei minori fra i 5 e i 17 anni sono attivi lavorativamente parlando, nell’agricoltura, nel lavoro domestico, nel commercio… la conseguenza è che molti non sono scolarizzati, altri fanno entrambe le cose ma con un rischio alto di dispersione scolastica», continua Silva. Il progetto si chiama “PICAPS”, un acronimo per dire di un intervento contro lo sfruttamento, è finanziato da AICS ed è partito da un anno. Gli obiettivi sono da un lato quello di aumentare il numero di bambini che accedono all’istruzione, dall’altro quello di ridurre gli abbandoni scolastici. Ci sono azioni dirette nei confronti dei bambini e altre rivolte alle comunità.

«Fra le azioni c’è anche questa innovazione tecnologica. Nei villaggi rurali, mediamente le classi sono sovraffollate, con oltre 50 alunni per classe, con più età che fanno lezioni nella stessa aula. Registrare le presenze è arduo, ma avere dati e statistiche certe sul piano dell’istruzione è fondamentale, soprattutto per ragionare nella prospettiva di politiche e interventi a medio termine», dice Silva. L’app viene scaricata sui cellulari degli insegnanti, a cui ora la basta scattare una foto alla classe: «la tecnologie creata consente di verificare le presenze, conta gli alunni, li categorizza per genere e invia le informazioni alle piattaforma che aggrega i dati scuola per scuola. L’app funziona attraverso il riconoscimento facciale, la vera innovazione sta nel distinguere il genere dei bambini, per compilare in automatico il database. La composizione per genere è molto rilevante infatti nel monitoraggio dei comportamenti sulla frequenza e l’assenza scolastica». La facilità di utilizzo e il fatto che funzioni anche offline sono due valori aggiunti importanti.

Per “addestrare” l’app a distinguere maschi e femmine sono state fatte foto a circa 2mila ai bambini possibili target di intervento, con due macchine digitali diverse, una che ha ritratto solo maschi e una solo femmine, così che fosse certa la classificazione. Inizialmente il riconoscimento è stato fatto su un data set 14 milioni di immagini, poi nell’ultimo “allenamento” sono state inserite le 2mila foto dei bambini del posto.

«L’idea è di consegnare un data set che ci dice gli andamenti delle frequenze. La potenzialità – questo è un progetto pilota in 10 scuole in 10 municipalità – la vedremo alla fine anno scolastico, se funziona potremmo diffonderla a livello nazionale. Avere statistiche certe e veloci certamente aiuta a valutare le politiche esistenti e a delinearne di nuove nel caso servissero, mirate. Ad esempio sarebbe interessante vedere nelle varie regioni cosa funziona e cosa no. Noi ovviamente collaboriamo con le municipalità, le scuole sono statali, possiamo lanciare un segnale di allarme, che a questo punto sarebbe solido e supportato da numeri», spiega Silva. Ciai lavora direttamente per formare le istituzioni locali su aspetti legati allo sfruttamento del lavoro minorile, con delle “classi ponte” per alcuni bambini, per prepararli ad accedere alla scuola e promuovendo attività generatrici di reddito per le famiglie, dal momento che spesso i bambini lavorano perché devono contribuire all’economia familiare.


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