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Il muro di Berlino 30 anni dopo: tutto quello che non abbiamo capito

Francesco Cancellato racconta il Muro e i 50 anni della Cortina di ferro voltando le spalle alla Grande Storia per provare a capirla. E alla fine dei suoi 15 racconti ne deduce che paradossalmente l’epoca della Guerra fredda era un’epoca le cui tensioni portavano a una apertura maggiore, oggi le aperture di cui ci siamo ubriacati hanno portato a tensioni che chiedono di rinchiudersi. L'Intervista

di Riccardo Bonacina

Raccontare il Muro trent’anni dopo quel 9 novembre? Francesco Cancellato, fresco vicedirettore di Fanpage lo fa in modo originale, voltando le spalle alla grande Storia per guardare a storie minori di uomini e donne, a biografie di personaggi noti e meno noti, e lo fa proprio per provare a capire quello che della grande Storia ci è sfuggito, quello che ancora non abbiamo capito. Il muro (Egea, 16 euro, 144 pagg.) si compone, infatti, di 15 storie: si passa da chi è morto tentando una fuga rocambolesca da Berlino Est alle storie di tre politici (Orban, Putin e Merkel) cresciuti al di là della cortina di ferro ma con percorsi e scelte personali completamente diverse, sino a al racconto di una Berlino bombardata di caramelle e di come si possa finire in galera per più di due anni a causa di un concerto dei Rolling Stones.

“È un libro scritto per provare a capire che cosa è andato storto. Perché la storia non ha proseguito placida sulla rotta tracciata. Perché l’Est europeo non è diventato Occidente senza opporre resistenza. Perché il nazionalismo si è frapposto tra noi e la globalizzazione. Perché i profughi di ieri si sono trasformati negli asserragliati di oggi. Perché chi ha vissuto regimi autoritari non se ne emancipa, ma anzi ce li porta in casa”, ci dice Cancellato.

Quindici storie legate da un filo, quale?

Il filo dei 15 racconti è questo: non puoi fare un muro e dividere le persone. Noi abbiamo pensato che al di là della Cortina di ferro e del muro di Berlino si fosse tutto congelato, in realtà la storia è andata avanti. Non solo, ma tutto quello che al di là del muro è successo sta avendo un impatto fortissimo sulle nostre vite senza che noi lo comprendiamo. Molti dicono che l’avvento del comunismo a est ha impedito a chi abitava lì di fare i conti con il nazismo e per certi versi la crescita dei partiti di estrema destra nei paesi dell’est sono un po’ la conseguenza di quella mancata memoria. Noi però stiamo facendo i conti con la non memoria di quanto è successo a est nei 50 anni di guerra fredda. Non avere memoria che in Polonia tra il dicembre 1981 e il luglio 1983 c’è stata la Legge marziale, che in Ungheria e a Praga sono passati i carri armati e sedato nel sangue delle rivolte, che la Germania stessa, quella della Stasi, avesse figure come il pastore luterano Christian Führer, parroco Nikolaikirche di Lipsia dal 1980 al 2008, che tutti i lunedì sera dal 1982 organizzò gruppi giovanili di preghiera sino a 10 giorni prima dalla caduta del muro quando portarono in piazza 300mila persone a manifestare contro il regime della Germania est. Oggi, trent’anni dopo ti ritrovi invece con i gruppi di Pegida che si ritrovano ogni lunedì a Dresda a manifestare contro l’islamizzazione e per una Germania etnicamente pura. Se non capiamo cosa è successo in quei 50 anni allora capiamo poco del nostro presente, della destra in Germania, della Polonia di oggi, dell’Ungheria.

In che modo quanto è successo al di là del muro influenza il nostro presente?

Bé, sottolineo la cosa più evidente. Basta guardare a chi sono i grandi leader oggi in Europa, Tutti nel 1989 erano al di là del muro, Merkel, Putin e Orban e questo ci fa dire che è talmente tanto quello che è successo di là che sta plasmando il nostro presente. La classe dirigente dell’est Europa ha avuto ed ha la capacità di dettare la nostra agenda.

Alla fine le persone non si possono separare, hai detto, ma nel 1989, quando cadde il muro di Berlino esistevano al mondo 16 “muri”, oggi le barriere contro migranti, poveri e profughi di guerre e carestie sono 70…

16 muri è un dato del 2000, nel 1989 i muri erano addirittura meno, si contavano sulle dita di una mano. Se tu guardi la Cortina di ferro in quei 50 anni tu vedi però una gigantesca tensione a costruire ponti. Nel libro racconto la storia di Giovanna Stringray una cantante che si innamora di un musicista a San Pietroburgo e fa la spola tra Stati Uniti e Leningrado (allora si chiamava ancora così) per rifornire di strumenti musicali, di capi di abbigliamento e di cultura post punk questa scena underground a cui appartiene il suo innamorato e che lei adora. È talmente incomprensibile quanto lei sta facendo per amore e per passione agli agenti del Kgb e della Cia che ciascuna parte pensa che lei sia una agente della parte avversa! Ci sono state migliaia e migliaia di storie così, di rischi presi per passare quel muro e quella cortina per mettere assieme culture diverse e diverse biografie. Il mondo anche se lo muri vive di flussi che sono economici, culturali, affettivi e simbolici che alla fine portano le due parti a dialogare. Poi c’è la cesura del 9 novembre 1989 con la caduta del muro e si pensa, nessuno più costruirà muri. E invece, come ricordavi, ne abbiamo 70!

Così come è vero che alla fine le persone non si possono separare è altrettanto vero però che le alterità, le diversità, restano anche se crollano i regimi e i muri. E negarle non porta mai bene…

È vero, guarda a Mostar il ponte è stato ricostruito ma le due comunità non lo attraversano. Dopo il muro di Berlino il muro ha vinto ed è riuscito a plasmarci dentro, come riflesso dell’identità chiusa, che si rinserra, che rivuole confini. Paradossalmente l’epoca della Guerra fredda era un’epoca le cui tensioni portavano a una apertura, oggi le aperture di cui ci siamo ubriacati hanno portato a tensioni che chiedono di rinchiudersi. Due tensioni che si muovono come un pendolo e oggi noi viviamo, a mio parere, in un mondo più chiuso rispetto a quello della Guerra fredda nonostante sia così facile aprirci alla cultura dell’altro senza problemi avendo internet che allora non c’era.

In questi anni si è spesso polemizzato contro i Paesi che stavano al di là della Cortina di ferro e che oggi sono riuniti nel Gruppo di Visegrad (Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria e Slovacchia). Cosa non abbiamo capito?

Quando diciamo togliamo i soldi a quelli di Visegrad (Polonia e Ungheria in particolare) perché sono cattivi e non vogliono gli immigrati davvero non comprendiamo quella realtà. Ci dimentichiamo che la Polonia è stata sotto Hitler, poi, contemporaneamente sotto Hitler e sotto Stalin, poi tutta sotto Hitler e a seguire tutta sotto Stalin. Infine, soggiogata dal regime comunista e negli anni ’80 piegata dalla legge marziale. Loro hanno sperimentato tutto il peggio del 900, lo stesso vale per l’Ungheria, per i Balcani per la Romania. Ci sfugge questo aspetto ed è un difetto di conoscenza che ci fa sbagliare le letture; non si tratta di mero razzismo, la loro identità nazionale è stata castrata sino al 1989 e ora gli chiedi di non essere più polacco o ungherese per essere europeo. Non avevamo previsto, per esempio, che quella stessa Unione Europea nata dalla liberazione dei Paesi dell’Est sarebbe stata messa in discussione proprio da loro, affrancatisi dal giogo dei regimi comunisti, e che sempre da loro – e da destra – sarebbero arrivate le resistenze maggiori a un’Europa più unita, il cui cuore oggi è proprio Gruppo di Visegrad, che sostiene l’idea di un’Europa-fortezza, chiusa ai fenomeni migratori. Non avremmo scommesso che sarebbero stati i loro leader, come l’ungherese Viktor Orban o i gemelli polacchi Lech e Jarosław Kaczyn´ski, a contaminare noi, a portare le loro istanze e le loro parole d’ordine al governo dell’Austria o dell’Italia. Ed è perché, lo ripeto ancora, non abbiamo capito cosa è successo in quei cinquant’anni dietro la Cortina di ferro e il muro.


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