Welfare & Lavoro

Reddito di cittadinanza, ecco come cambiarlo

«L’auspicio è che si riapra una fase di confronto tra la politica, le istituzioni competenti, la società civile e le parti sociali, perché il provvedimento così com’è è sovraccarico di funzioni e, conseguentemente, di aspettative che non riesce a soddisfare». L'intervento del portavoce dell'Alleanza contro la povertà e presidente delle Acli

di Roberto Rossini

La legge di bilancio 2020 ha confermato gli stanziamenti previsti per il Reddito di cittadinanza. È sicuramente una buona notizia, visto il significativo impatto che ha avuto la misura a circa un anno dalla sua effettiva entrata in vigore (marzo 2019): le domande accolte sono state più di un milione (1.066.110) e quelle in lavorazione sono 112.396, per un totale di 2.451.953 persone raggiunte e un importo medio di 484,44 euro. Numeri importanti in un Paese che fino a due anni fa non disponeva di alcuna misura strutturale di contrasto alla povertà, pur a fronte di 5 milioni di poveri (dato Istat). È una buona notizia anche la recente apertura del presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, ad una possibile revisione della misura che, nonostante gli aspetti positivi sottolineati, presenta ancora una serie di criticità.

L’auspicio è che si riapra una fase di confronto tra la politica, le istituzioni competenti, la società civile e le parti sociali, perché il provvedimento così com’è è sovraccarico di funzioni e, conseguentemente, di aspettative. Andrebbero, pertanto, rimodulati gli obiettivi, o quantomeno, individuate delle priorità.

L’Alleanza contro la povertà in Italia ha più volte esplicitato le proprie perplessità relative alla natura stessa dello strumento che, in modo esplicito, persegue due obiettivi molto ambiziosi (da una parte, dare una risposta a quanti vivono in povertà; dall’altra, stimolare l’occupazione) e, durante tutto l’iter legislativo, ci siamo impegnati per introdurre alcuni essenziali correttivi alla misura, che però ancora presenta limiti oggettivi.

I problemi non attengono solo la cosiddetta “seconda fase” del RdC, quella dell’inclusione socio-lavorativa dei beneficiari, quella “attiva”, sulla quale si concentrano attualmente le maggiori attenzioni. Anche la componente “passiva” della misura necessita di importanti correttivi perché sia più equa ed equilibrata

I problemi non attengono solo la cosiddetta “seconda fase” del RdC, quella dell’inclusione socio-lavorativa dei beneficiari, quella “attiva”, sulla quale si concentrano attualmente le maggiori attenzioni. Anche la componente “passiva” della misura necessita di importanti correttivi perché sia più equa ed equilibrata in favore delle due categorie di soggetti maggiormente penalizzate dalla norma: i minori – e più in generale le famiglie numerose – e gli stranieri. La scala di equivalenza in base alla quale è calcolato l’importo del beneficio economico è troppo sbilanciata in favore delle famiglie senza minori, in particolare quelle con 2 e soprattutto 1 componente. Il RdC dovrebbe, dunque prestare maggiore attenzione alla povertà minorile che, insieme a quella giovanile, è il fenomeno più preoccupante all’interno della diffusione della povertà: i bambini e gli adolescenti in povertà assoluta oggi in Italia sono 1,2 milioni (il 12,1% dei minori di 18 anni). Quanto agli stranieri, che nel nostro Paese sono 1 povero su 3, i requisiti di accesso al RdC sono talmente stringenti che per loro è quasi impossibile ottenerne il riconoscimento. La norma che consente l'accesso alla misura solo ai cittadini stranieri residenti in Italia da almeno 10 anni è inaccettabile.

È evidente che tali aggiustamenti comporterebbero un aumento delle risorse sul fondo che finanzia il Reddito di cittadinanza o una diversa redistribuzione di quelle già stanziate. Probabilmente la chiave è nell’abbandonare il “feticcio” dei 780 euro mensili, perché è una soglia troppo rigida che, oltre ad essere eccessivamente elevata e ben oltre le cifre erogate in altri paesi europei, rappresenta un vincolo nella rimodulazione della scala di equivalenza. Gli esiti sono paradossali: una famiglia di 4 persone tra cui almeno un minore prende, in media, un sussidio mensile di 613 euro rispetto ai 458 euro di una coppia senza figli. Una differenza di soli 154 euro! Altrettanto penalizzante è la condizione dei famiglie con disabili, che allo stato attuale dispongono solo di una piccola e insufficiente maggiorazione.

È problematica anche la ripartizione dei beneficiari tra CPI e servizi sociali comunali. Andrebbe reintrodotta l’analisi preliminare dei fabbisogni per un’efficace presa in carico dei nuclei che presentano una molteplicità di problemi e, in ogni caso, andrebbe rafforzata l’integrazione tra i servizi sociali e quelli per l’impiego. Detto questo, va preso atto che molti percettori della misura vivono in contesti con scarsissime opportunità di impiego e che le politiche attive, per essere efficaci, hanno bisogno di ben altro che di un esercito di navigator che, loro malgrado, nella maggior parte dei casi hanno poco da offrire a chi prendono in carico.

Torniamo dunque da dove siamo partiti: la natura ambivalente del RdC rischia di inficiare e indebolire entrambi gli obiettivi che si pone. Occorre scegliere. In un’intervista di qualche anno fa (15-set-17 sull’Huffington) Romano Prodi usò la metafora del cammello per descrivere quanto accade nei processi decisionali. Se un comitato o una commissione decidono di disegnare un cavallo, alla fine sul foglio rimarrà la sagoma di un cammello. È un modo per dire che le intenzioni della politica non sempre trovano la forma che le traduce perfettamente. Il RdC deve decidere se riesce ad essere ciò che nelle intenzioni del legislatore vorrebbe essere, sia una politica attiva del lavoro sia una misura di contrasto alla povertà. Al momento è partita ci pare – come confermato dai dati dell’Inps – una misura di contrasto alla povertà, anche se dovrà introdurre alcuni correttivi, riprendendo la direzione tracciata dall’esperienza del Sia e del Rei, attivando le reti sociali e potenziando all’infrastruttura del welfare locale. Se invece vorrà essere un cavallo, allora serve potenziare anche tutta la rete dei soggetti e dei servizi che si occupano di lavoro, magari iniziando dalla formazione professionale.


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