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Coronavirus, perché nasce la psicosi

Primi due casi confermati in Italia. Bloccati i voli da e per la Cina. Ma non lasciamo che il nostro inconscio trsformi la paura del virus in paura dei cinesi. La nostra mente tende ad individuare “un nemico”. Si tratta di un meccanismo di proiezione all’esterno di ciò che ci spaventa e ci angoscia. Proiettiamo la nostra paura sull’altro: “Io ho paura di morire, il virus è nato in Cina, il virus mi può far morire, io ho paura dei cinesi”

di Anna Spena

Primi due casi confermati ieri, 30 gennaio, in Italia. Due turisti cinesi in viaggio a Roma sono ora ricoverati all’ospedale Spallanzani nella capitale. L’Italia blocca i voli da e per la Cina. I morti certificati fino ad ora sono 231 e 10mila le persone contagiate. L’epicentro del contagio è la città di Wuhan, sono pochi i casi al di fuori della regione dell’Hubei. Ma intanto le attività di imprenditori cinesi in Italia si stanno svuotando. La parata per i festeggiamenti del capodanno cinese nello storico quartiere di chinatown in via Paolo Sarpi a Milano è stata annullata. Ma come nasce la psicosi che, troppe volte, non sappiamo controllare anche quando i dati di realtà raccontano una storia diversa rispetto a quella che percepisce la nostra mente? L’abbiamo chiesto ad una psicologa e psicoterapeuta, Miriam Mazzarella.

Perché la paura per il Coronavirus, ad oggi, sembra più alta rispetto ai rischi concreti?
Fin da neonati di fronte ad angosce molto forti mettiamo in atto meccanismi di difesa che ci proteggono da eventuali pericoli esterni. Tutto questo avviene in maniera del tutto inconsapevole. Ecco, quando si scatena un’angoscia molto forte – come può essere la paura della morte che sta creando la minaccia del Coronavirus – la nostra mente tende ad individuare “un nemico”. Si tratta di un meccanismo di proiezione all’esterno di ciò che ci spaventa e ci angoscia. Proiettiamo la nostra paura sull’altro. “Io ho paura di morire, il virus è nato in Cina, il virus mi può far morire, io ho paura dei cinesi”.

Ma c’è un dato di realtà, il focolaio del virus è la città di Wuhan nella regione dell’Hubei.
Sì, ma gli altri dati di realtà con cui bisogna fare i conti, per esempio, sono il numero dei decessi contenuti, il fatto che si siano manifestati pochi casi al di fuori della Cina. Non possiamo permettere che una paura si trasformi in psicosi. Perché se ci lasciamo controllare dalla paura tendiamo poi ad individuare come colpevole l’intera popolazione cinese. Li consideriamo un popolo pericoloso. E questo è assurdo e inaccettabile perché, a farci caso, è lo stesso e identico costrutto mentale e ragionamento che viene usato contro gli immigrati o che è stato usato per legittimare l’olocausto. Quando il meccanismo di proiezione diventa rigido e si individua essenzialmente nell’altro il pericolo si passa dall’assumere legittime precauzioni a sviluppare una vera e propria paranoia.

E come si controlla allora?
Bisogna considerare i dati di realtà. Essere oggettivi. Perché se non conteniamo la paura si innesca un meccanismo di cui non ci rendiamo conto. Da qui la psicosi da individuale può divenire collettiva. E se questo meccanismo si estende a livello sociale può diventare molto pericoloso.


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