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Il coronavirus e l’esercizio dell’empatia

L'onorevole Lisa Noja richiama l'attenzione al rischio maggiore per le persone con disabilità o problematiche sanitarie, come lei: «Tutti, senza eccezioni, atteniamoci scrupolosamente alle indicazioni delle autorità, sapendo che gli sforzi richiesti a ognuno servono per proteggere chi cura le persone e chi ha una salute più debole e più esposta. Quelli come me, insomma»

di Lisa Noja

È da ieri sera che rifletto se scrivere o meno questo post. Ho deciso di farlo perché a volte chi svolge un ruolo istituzionale, raccontando un pezzetto del proprio privato, può magari aiutare la comprensione degli accadimenti.


1. A causa della mia disabilità, io ho una capacità respiratoria limitata. Per fortuna ho un sistema immunitario forte, ma so che, se mi prendo una brutta bronchite o, peggio, una polmonite, rischio grosso. Conduco una vita normale, piena, direi abbastanza dinamica. Devo, però, prendere delle precauzioni per cercare di evitare malattie delle vie respiratorie. Questo significa che, se fossi contagiata dal nuovo coronavirus, rientrerei in quelle categorie che potrebbero avere bisogno di cure più importanti, fino alla terapia intensiva. Insomma, per me, potrebbe essere davvero un brutto guaio. Per me come per tante persone e per ragioni diverse: chi ha un sistema immunitario debole, chi si sta sottoponendo a trattamenti salva-vita che dovrebbe interrompere in caso di infezione, etc. È importante, quindi, circoscrivere il contagio per assicurare l’assistenza migliore a chi potrebbe avere necessità di cure più rilevanti, essenziali per la sopravvivenza.


2. Sempre a causa della mia disabilità, io non potrei praticare la quarantena in casa da sola. Per compiere i gesti della vita quotidiana (lavarmi, vestirmi, prepararmi da mangiare, etc.) ho bisogno di aiuto. Quindi, se ci fosse il sospetto di un mio contagio, non potrei autoisolarmi. Il che significa che qualcuno dovrebbe comunque starmi vicino, con tutti i rischi connessi. Non è un pensiero piacevole, ve lo assicuro.


3. Per la ragione di cui sopra, se tutte le persone che mi aiutano nella quotidianità si contagiassero contemporaneamente e fossero poste in isolamento, mi troverei in grande difficoltà. Vale per me, ma varrebbe per tante persone non autosufficienti, per ragioni fisiche o cognitive. Giovani e anziane.

Le mie osservazioni non sono minimamente volte a drammatizzare. Sto solo cercando di spiegare che le misure adottate dal Governo e dagli enti locali servono proprio a questo: contenere il più possibile la diffusione del virus per tutelare la salute di tutti ma principalmente per proteggere chi, per ragioni diverse, si troverebbe davvero in grossi guai se in tanti si ammalassero contemporaneamente.

Lo dico perché in queste ore leggo da parte di vari commentatori sui giornali e sui social considerazioni di ogni genere, critiche, opinioni personali su quello che andrebbe fatto, su quanto troppo si faccia, su come andrebbe fatto. Paragoni impropri con l’influenza, riflessioni su quali attività andrebbero limitate e quali no.

Da molto tempo, tanti di noi rivendicano il primato della competenza e della scienza. Ecco, questo è il momento di mettere tutti alla prova la nostra predicazione. Non c’è spazio per “i secondo me”, “mi ha detto un amico vattelapesca”, “ho letto da qualche parte”. Basta. Conta solo il risk assessment svolto dagli esperti di epidemie sulla base di modelli predittivi complessi. Dobbiamo fidarci, e sapere che, anche quando le scelte possono non sembrare logiche, in realtà lo sono. Semplicemente noi non abbiamo le competenze per valutarle.

Dunque, tutti, senza eccezioni, atteniamoci scrupolosamente alle indicazioni delle autorità con calma e serenità (per esempio, laviamoci spesso le mani e non assaltiamo i supermercati), sapendo che gli sforzi richiesti a ognuno servono per proteggere chi cura le persone (medici, infermieri, personale sanitario) e chi ha una salute più debole e più esposta. Quelli come me, insomma.

Come dice saggiamente la mia amica Francesca Arcadu, «non bisogna allarmarsi, bisogna mantenere la calma ma è in queste situazioni che si capisce il livello di empatia della gente e la capacità di prendere sul serio i problemi degli altri». Io penso che l’empatia sia un bell’esercizio per chi la pratica e per chi la riceve. E per il Paese che, superando unito questa sfida, sarà certamente migliore.

*Lisa Noja è avvocato civilista e deputato di Italia Viva


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