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E se il coronavirus ci cambiasse in positivo?

Una reazione come questa davanti ad un virus, che ci si ricordi, non c’è mai stata. Ma c’è qualcosa di profondo che sta cambiando nella società, nella vita delle persone? E poi, questa mutazione potrà essere positiva?

di Franco Taverna

Una reazione come questa davanti ad un virus, che ci si ricordi, non c’è mai stata. Dalla Malaysia alla California, senza passare per le drastiche misure nostrane, vediamo introdotti provvedimenti di chiusura scuole, teatri, conferenze, appelli alla cittadinanza per la limitazione dei rapporti sociali, fino ad arrivare a discussioni sulla distanza minima da tenere con il vicino, al rifiuto di stringere la mano ad un amico, per evitare il contagio. Il clima che si respira andando in giro è quello del sospetto, quello di una guerra chimica contro un nemico invisibile. La persona che si siede accanto a te, fosse anche tuo fratello, potrebbe nascondere un esplosivo! Guai toccare, guai abbracciare, superguai a baciare! Effetti positivi di queste misure certo ce ne sono stati. Per esempio il numero dei morti rispetto ad altre epidemie è molto ridotto, e non è cosa da poco.

In tutto il mondo tutti i governi hanno adottato provvedimenti rigidi di protezione dal virus, nell’interesse della salute delle persone. Per una volta sembra quasi che la logica del profitto sia stata sovrastata dal principio della salvaguardia dell’individuo. Sembra che siano state messe da parte le priorità della macchina economica per far prevalere quelle della salute. Molto probabilmente, si sente dire, questo approccio sarà replicato anche per i virus futuri. Immerso dentro questo mood mi sto chiedendo: c’è qualcosa di profondo che sta cambiando nella società, nella vita delle persone? E poi, questa mutazione potrà essere positiva?

Vedo tre possibili scenari. Il primo è che tutto tornerà come prima, il paradigma dominante che continuerà a regolare i rapporti tra i popoli e gli individui, quello economico, ora neocapitalistico, resterà lo stesso. Finita la buriana, che per molti sarà pure diventata occasione di profitto, si ricomincia come prima e più di prima.

Il secondo scenario potrebbe vedere il permanere di una attenzione forte sulla integrità fisica degli individui. La salute prima di tutto. Accompagnata da un approccio scientista e riduzionista ingenuo. In questo caso si accentuerebbe una tendenza molto pericolosa alla chiusura, alla diffidenza, all’individualismo. Che chiaramente si potranno permettere solamente le società e le persone agiate.

Ma vi è per fortuna un terzo possibile esito. Potrebbe infatti succedere, e bisogna fare di tutto perché succeda, che questa ‘scossa di terremoto’, nel mostrare i profondi limiti dell’attuale modello di sviluppo e nella necessità di cercare un'altra possibile via, non si fermi alla superficie considerando solo l’aspetto della sanità degli uomini e delle donne, ma ponga finalmente al centro la persona nel suo valore fondamentale e unico. Solo così il coronavirus sarà servito! E potremo vedere da subito lo stesso impegno dei governi e delle imprese verso i bambini che muoiono di freddo sui Balcani, sulle popolazioni stremate dalla fame in Yemen e finanche sulle sofferenze e sulle morti di migliaia di donne e uomini a causa delle guerre e delle ingiustizie, in Libia, in Siria…. Capiremo che la morte da coronavirus non è più degna di altre morti.

Per verificare se stiamo imboccando questo stretto sentiero non dobbiamo aspettare i prossimi decreti del Governo o le dichiarazioni dei rappresentanti delle Nazioni Unite. Basta cominciare dai nostri occhi: se incrociando per strada uno sconosciuto non vedremo in lui un pericolo ma una occasione di miglioramento, allora siamo sulla strada giusta.

Franco Taverna*, segretario generale della Fondazione Exodus di Don Mazzi


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