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Rotta Balcanica, campi profughi in quarantena. È la soluzione giusta?

Qual è la situazione nei campi profughi in Bosnia? E cosa potrebbe succedere se scoppiasse lì un focolaio di Coronavirus? A spiegarlo Silvia Maraone, project Manager di Ipsia «I campi sono sovraffollati e le condizioni igieniche insufficienti. Le persone devono essere spostate»

di Anna Spena

L’emergenza Coronavirus ci riguarda tutti. E nessuna vita ha, o almeno dovrebbe avere, più valore di un’altra. Abbiamo chiesto a Silvia Maraone,project manager di IPSIA, Ong delle Acli, che vive in Bosnia e lavora a stretto contatto con i migranti com’è la situazione e quali misure si stanno adottando nei campi profughi affinché non scoppi nessun focolaio che sarebbe impossibile da gestire. Abbiamo raccontato della Rotta Balcanica e della situazione dei profughi nel cantone di Una – Sana dove sono concentrate circa 6mila persone in questi due reportage Rotta Balcanica, attraversare i confini è un game disperato e Rotta Balcanica, migranti trattati come gli animali.

Com’è la situazione in Bosnia – Erzegovina?
Appena sono entrate in vigore le misure di emergenza in Italia la Bosnia ha chiuso le frontiere e ha applicato un principio di quarantena alle persone che provenivano italiani, cinesi, iraniani e ai cittadini della Corea del Sud. Nel giro di una settimana con l’avanzare nel virus nel resto d’Europa e ora del mondo le misure sono diventate più restrittive. Sono state chiuse le scuole, i centri sportivi. Il 18 marzo è stato dichiarato lo stato di emergenza e tutte le attività sono state chiuse.

Quali sono le conseguenze per i migranti?
Dallo scorso 14 marzo i campi profughi di Bihač e Velika Kladusa, comuni con la più alta con concentrazione di migranti sono stati messi sotto quarantena. Nessuno può uscire dai campi. Ciò significa anche che non possono provare “Il game”, ovvero il tentativo disperato di passare il confine tra la Bosnia e la Croazia. I campi più affollati, il Bira di Bihač e il Miral a Velika Kladusa sono per single man, quindi campi esclusivamente maschili. Al Bira per esempio i profughi sono ammassati nei container, è un campo nato in una fabbrica dismessa, dove stanno oltre 2mila persone. Anche se la capienza massima è 1500. Tra l’altro non sono informati su quello che sta accadendo in Europa.

Vale solo per la Bosnia – Erzegovina?
No la catena di misure restrittive per i campi riguarda tutta la Rotta Balcanica e inizia dalla Grecia. I campi in Serbia, per esempio, sono stati chiusi e messi in quarantena allo stesso modo.

Nel cantona di Una – Sana sono almeno duemila i profughi che non trovano posto nei campi profughi ufficiali
Chi vive negli squat, fabbriche o casa abbandonate, è totalmente abbandonato. Ma anche nei campi ufficiali il rischio di contagio è altissimo. Le condizioni igieniche non sono adeguate. È vero che sono tutte persone forti e giovani ma è altrettanto vero che i loro corpi sono stati messi a dura prova dalle violenze della polizia croata al confine.

E le ong?
Le attività non possono essere svolte come prima nei campi. Potremmo essere noi stessi, gli operatori, un fattore di rischio per loro. Poi la situazione della Bosnia è molto complicata. Basti pensare che non ci sono tamponi. Ma si possono prelevare solo campioni del sangue che poi vengono spediti a Sarajevo per le analisi.

Quale potrebbe essere una soluzione possibile?
Alleggerire la pressione dei campi e spostare i migranti che stanno negli squat in strutture alberghiere in disuso. Ma il sistema bosniaco va in pezzi. Economia, politica, sanità. Tutto è sotto stress. E il Paese non è in grado di prendersi cura neanche dei suoi stessi cittadini. Così mi chiedo cosa ne sarà dei migranti…

In copertina l’interno del campo profughi di Bira a Bihac


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