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Economia & Impresa sociale 

La finanza ad impatto alla prova del coronavirus

La presidente di Human Foundation e della rete Social Impact Agenda per l'Italia: «L'Italia sta riscoprendo il bisogno di investire in infrastrutture sanitarie e sociali, che nell’emergenza sono potenziate anche grazie a grandi operazioni filantropiche, ma a regime richiedono una risposta strategica più forte. E la risposta può essere un welfare mix che metta a sistema l’alleanza tra attore pubblico e investitori privati ad impatto»

di Giovanna Melandri

Nello spazio ristretto e impensabile di una manciata di settimane il mondo ci è cambiato tra le mani. L’emergenza sanitaria globale derivata dalla diffusione planetaria del Coronavirus ha imposto alla nostra accelerazione cronica un testacoda doloroso e traumatico. Segnando, in tutta evidenza, un punto di non ritorno. Ci sarà un prima e un dopo l’emergenza Covid19. E mentre l’Italia si fa frontiera di questa guerra inattesa segnata drammaticamente ogni giorno da ammalati, vittime e focolai, la nostra nuova convivenza con il pericolo e con la paura ha determinato l’obbligo di misurarci con il limite e ripensarci. Pur nello spazio difficile della libertà limitata delle nostre case e dei nostri balconi, possiamo e dobbiamo provare ad alzare lo sguardo, per iniziare a immaginare come disegnare l’uscita da questa fase, rilanciando sfide utili a mitigare l’impatto economico e sociale dell’emergenza sulla fasce più fragili della popolazione e su quelle più vulnerabili del sistema produttivo. Esattamente da questo punto riparte anche la sfida del movimento della finanza e degli investimenti ad impatto sociale: evitare che l’emergenza Covid 19 possa divaricare le diseguaglianze sociali e che l’uscita da questa crisi possa riattivare spirali speculative e non generative nel sistema della finanza e degli investimenti. In questa direzione, l’apporto del movimento impact all’uscita dalla crisi può essere decisivo.

Siamo stati colpiti anche noi dalla obbligatoria paralisi imposta dalle restrizioni di queste settimane. Anche il GSG (Global Steering Group for impact investment), il movimento globale nato per diffondere gli investimenti ad impatto, si è dovuto fermare. Abbiamo annullato il leadership meeting del movimento, che si sarebbe dovuto svolgere a marzo a Torino. E stiamo riorganizzando le riunioni del nostro Board of Trustees (di cui faccio parte, rappresentando l’Italia e l’Europa), in teleconferenza. Restiamo a casa anche noi, ciascuno nel suo angolo di mondo. Ma il nostro lavoro va avanti. Perché se è vero che ciascuno deve fare la sua parte per uscire da questa crisi dalla porta giusta, dobbiamo darci un ruolo, subito.

Non va dimenticato che la rete globale dell’impact investing nasce a valle dell’altra grande crisi degli ultimi anni: quella legata al fallimento della Lehman Brothers. Anche allora collassarono i mercati, ma fu una frana interna al sistema finanziario, che ebbe poi conseguenze virulente sul sistema economico. La costruzione di nuovi spazi generativi di valore sociale e ambientale nel mondo della finanza e degli investimenti fu la naturale reazione di un pezzo di quel mondo, che colse la pericolosa insufficienza del modello speculativo di una finanza troppo spesso locusta, senza etica né finalità costruttive. Ripensare il paradigma e mettere i capitali privati al servizio di progettualità sociali e ambientali misurabili e generative di valore: questa è stata l’ambizione di questi anni, che ha animato l’azione del GSG e dei network come la rete italiana di Social Impact Agenda. Siamo riusciti ad aprire uno spazio nuovo di confronto e discussione e a costruire una cultura finanziaria diversa. A coinvolgere i grandi player del mondo bancario, delle fondazioni, dell’economia e dell’industria nella sfida impact. Eppure, dobbiamo dirlo, questa nostra ambizione è rimasta in un ambito “sperimentale”, non è mai diventata “mainstream” e il mondo impact, a 12 anni dalla crisi del 2008, resta un campo da gioco pieno di potenzialità inesplose.

Questa volta è diverso. La tempesta arriva da una pandemia che ha perturbato i mercati e l’economia perché ha imposto meccanismi di difesa dal contagio che hanno reso inevitabile una frenata del mondo dell’industria, dell’impresa, della produzione a ogni livello. Una decrescita infelice, infelicissima, verrebbe da dire. Che richiede tutte le nostre migliori energie per essere governata e superata, perché porta con sé un movimento recessivo che rischia di essere ferale. Cosa può fare il movimento impact per supportare l’uscita da questa tragedia sanitaria ed economica?

Da questa crisi, più che da ogni altra, ci sono da imparare almeno due lezioni immediate. La prima riguarda la riscoperta del Welfare e della centralità dei servizi sociali. Tutte le nostre possibilità di tenuta all’emergenza Covid 19 sono legate alla forza del nostro sistema sanitario. Un sistema che, su scala nazionale, è centrato sul principio che lo Stato deve farsi garante dei livelli essenziali di assistenza e deve farlo gratuitamente. E su scala globale mostra in modo immediato le tragiche conseguenze di scelte diverse da questa, improntate alla privatizzazione. Costa migliaia di dollari, negli Stati Uniti, anche solo fare un tampone. In Spagna si requisisce l’intera sistema sanitario privato per far fronte all’emergenza, dal primo minuto, perché la rete ospedaliera pubblica non riesce a rispondere. In Germania si chiama l’esercito in corsia, perché dopo poche centinaia di casi la carenza di medici e infermieri si fa sentire. L’Italia, pur provata dagli anni dei tagli berlusconiani e dal progressivo arretramento delle risorse stanziate in sanità pubblica, riscopre in queste ore il valore del suo Welfare, che però è disomogeneo e pieno di vulnerabilità al Centro-Sud, che fanno temere fortemente la fase due del contagio. E sta riscoprendo il bisogno di investire in infrastrutture sanitarie e sociali, che nell’emergenza sono potenziate anche grazie a grandi operazioni filantropiche, ma a regime richiedono una risposta strategica più forte. E la risposta può essere un welfare mix che metta a sistema l’alleanza tra attore pubblico e investitori privati ad impatto. Investitori che dovranno e potranno cimentarsi, al fianco dell’attore pubblico, anche in progettualità legate ad altre grandi questioni spalancate da questa crisi: lo smart working e il lavoro agile, la sfida didattica da remoto e il contrasto all’education gap (altro tema enorme di queste settimane di sistema scolastico in crisi), la costruzione di spazi di inclusione e benessere nelle carceri (vere e proprie bombe sociali tutt’affatto “rieducative” ), solo per fare qualche esempio legato a bisogni sociali emergenti e stringenti anche in queste ore.

La seconda lezione che impariamo con la crisi Coronavirus è che…


La versione integrale dell'intervento è pubblicata sul numero di aprile di VITA, scaricabile gratuitamente qui.


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