Cooperazione & Relazioni internazionali

Risposta globale al coronavirus: servono risorse vere

La risposta globale alla crisi innescata dal virus richiederebbe uno sforzo straordinario, ma per il momento si profila il rischio di un gioco a somma zero. L'intervento del segretario aggiunto di Action Aid

di Luca De Fraia

In una New York che paga un alto prezzo di fronte al virus covid-19, questo 9 aprile è stato presentato il rapporto annuale per la finanza per lo sviluppo. Pensato e scritto ben prima della crisi, è stato arricchito dalle parole della Vice segretario generale Onu, Amina Mohamed, che ricorda che, già prima dell’emergenza attuale, la comunità internazionale stava arretrando rispetto alla promessa di sconfiggere la fame, affrontare la crisi climatica e ridurre le disuguaglianze, nel quadro dell’Agenda 2030; nella stessa occasione, il Segretario Generale Guterres ha rincarato il messaggio: siamo ancora ben lontani da avere una risposta a covid-19 coordinata a livello globale a sostegno dei Paesi in via di sviluppo; ci sarebbe bisogno di uno sforzo comune pari almeno al 10% del ricchezza globale.

Ma una risposta adeguata a una crisi che moltiplica bisogni e richiede nuove risorse tarda ad arrivare. I Paesi donatari, riuniti nel Development Assistance Committee presso l’OECD, hanno fatto sentire la loro voce. A Parigi, sempre il 9 aprile, gli stati membri hanno adottato una dichiarazione comune; la scelta delle parole è più che mai importante: se qualcuno poteva attendersi una poderosa reazione innanzi alla crisi rimarrà deluso. A parte alcune ampiamente condivisibili dichiarazioni, come il sostegno delle Nazioni Unite e altre iniziative multilaterali, e un opportuno riconoscimento che la crisi sarà particolarmente dura per i Paesi più fragili, quando si arriva a definire le azioni concrete il linguaggio cambia registro. La risoluzione che viene adottata insiste su fare del loro meglio per proteggere gli impegni per l’aiuto pubblico allo sviluppo, alla luce della pressione sulla finanza pubblica, che pesa anche nei Paesi donatori. Le perplessità si moltiplicano quando poi segue una chiamata ad altri attori – in particolare, il settore privato domestico e internazionale – a fare la loro parte; una chiamata che confonde le acque e che è forse figlia di un’interpretazione che si sente spesso in questi giorni, ovvero che la pandemia sia un grande livellatore, di fronte alla quale siamo tutti uguali. Possiamo almeno incassare il riconoscimento del ruolo delle organizzazioni della società civile per la loro funzione cruciale nel sostenere la popolazione più vulnerabile; un ruolo che deve essere consentito loro di svolgere.

Si è mossa anche l’Unione Europea, che, in occasione del Consiglio europeo sviluppo (informale) dello scorso 8 aprile, ha adottato la proposta della Commissione per un pacchetto di interventi. Anche in questo caso, la retorica del momento deve essere sfoltita per andare dritti al punto. I miliardi promessi non sono risorse aggiuntive; è la stessa Commissione europea a darci una mano per capire meglio il dettaglio della Team Europe Response: un pacchetto di 15,6 miliardi di euro, che include anche 5 miliardi in prestiti da parte della Banca Europea per gli Investimenti, cosa che non può non avere un impatto in termini dei Paesi che potranno effettivamente beneficiare a un terzo di tutto il pacchetto. Rispetto alla distribuzione regionale, 3,25 miliardi saranno spesi in Africa; una somma simile, 3,07 miliardi, verrà impiegata per i Paese di vicinato, incluso il medio-oriente.

Dal punto di vista dei settori, la grande parte delle risorse, circa 12 miliardi di euro, saranno dedicati ad affrontare le conseguenze economiche e sociali; circa 3 miliardi il sostegno ai sistemi sanitari e acceso all’acqua nei Paesi Partner; circa mezzo miliardo per gli aiuti di emergenza di breve periodo. Il legittimo dubbio è che il pacchetto messo a disposizione dall’Europa corrisponda principalmente a quello che si può fare con le risorse in cassa; il riferimento all’impiego di finanziamenti recuperati da attività che non si possono ora realizzare, insieme alla possibilità che potranno esserci riallocazioni tra Paesi, chiarisce meglio un quadro che definire a somma zero è forse riduttivo. Un approccio a dir poco timido, che si ritrova anche quando si affronta la questione della gestione del debito che grava sui Paesi più poveri. Infatti, se da un lato si ammette che le iniziative del sistema multilaterale non sono sufficienti a colmare il fabbisogno di risorse, l’UE si dice pronta a migliorare la condizione debitoria; non si parla di cancellazione, che sarebbe invece necessaria per assicurare una ripartenza.

La richiesta delle Nazioni Unite per sussulto di fronte a una crisi internazionale non trova risposta. Rimane aperta la questione se e in che modo si potrà combattere efficacemente un’emergenza come la pandemia covid-19 senza aggiungere risorse nuove ed evitare così l’effetto perverso di ridurre gli investimenti per altre priorità di sviluppo, dalla lotta alla fame alle sfide del clima, che rimangono irrisolte.


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