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Regolarizziamo subito gli immigrati al lavoro sul nostro territorio

Il sottosegretario al Lavoro e Politiche sociali ci scrive: "Mi piacerebbe che tutti mettessero da parte l’ipocrisia con cui il tema dei braccianti, in primis, è sempre stato affrontato in questi anni, facendo finta che non esistesse un mondo di illegalità. Ora basta per la dignità delle persone e per ragioni di sicurezza sanitaria nell'epoca del coronavirus"

di Steni Di Piazza

Gentile Direttore,

torno sul tema della regolarizzazione degli immigrati, presenti sul nostro territorio, e lo faccio, a distanza di qualche giorno da una mia precedente uscita, perché – come immaginavo – questo tema sta diventando sempre più di estrema attualità, ed anche oggetto di opposte “tifoserie”. Cosa che, soprattutto in un momento così delicato per il Paese e per l’umanità intera, non dovrebbe proprio essere. Ho letto le riflessioni del prof. Tito Boeri, fatte ieri su un quotidiano nazionale, che in molte parti condivido (scrive Boeri: “se vogliamo davvero liberarci di questo maledetto virus, dobbiamo, volenti o nolenti, regolarizzare gli immigrati illegali che vivono nel nostro Paese.”).

Preferisco, tuttavia, in questa fase, non spostare il focus da quelle che sono le esigenze, proprio nell’ottica di interventi mirati e processi graduali. Anche al fine di evitare le strumentalizzazioni politiche a cui esporremmo il tema, e con questo, le persone e le loro storie. Mi piacerebbe che tutti mettessero da parte l’ipocrisia con cui il tema dei braccianti, in primis, è sempre stato affrontato in questi anni, facendo finta che non esistesse un mondo “nascosto”, di illegalità, dove le persone sono state sfruttate e costrette ad una vita poco dignitosa. Ci accorgiamo adesso dell’importanza anche di questa manodopera, ma abbiamo sempre saputo da dove veniva e come era alimentata. A fronte di chi ha sempre rispettato le regole, anche nel mondo dell’agricoltura, c’è chi queste regole non le ha rispettate.

E per lo Stato questo è un costo, in termini economici e sociali. Adesso, è indubbio che sia necessario intervenire per diversi ordini di motivi, ma per alcuni in particolare. Il primo è legato ad un aspetto di sicurezza, anche sanitaria, soprattutto in un momento in cui è necessario “tracciare” il contagio.

Il secondo è un motivo di carattere sociale ed economico, ed ha a che fare, non solo con l’integrazione necessaria di tanti stranieri senza permesso di soggiorno presenti in Italia, ma anche e soprattutto con la esigenza di maggiore produttività di cui il nostro Paese avrà bisogno a breve se non a brevissimo. Possiamo voltarci dall’altra parte e fare, ancora una volta, finta di niente. Oppure possiamo prendere per mano la situazione e risolverla una volta per tutte. Attenzione però a non cadere nell’errore di rincorrere chi adesso ricomincerà a parlerà di frontiere e porti aperti, di ingressi indiscriminati.

Stiamo parlando di ridare dignità, ed un contratto regolare, a chi da anni vive in Italia, cittadino e non e che spesso ha prestato la propria opera senza contratto di lavoro, senza assicurazione, senza contributi, per sopravvivere e per sfamare se e la propria famiglia.

Si tratta di Persone, presenti nel nostro territorio, che oggi condividono con noi il dramma della pandemia e che, assieme a noi, da domani, contribuiranno alla ricostruzione del Paese.

Senza trascurare quello che, in termini di gettito positivo, rappresenterebbe per lo Stato la loro emersione. Più risorse e meno costi. Nessuna invasione. Solo legalità.

*Sottosegretario di Stato al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali


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