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Una fase 2 per gli anziani: i 7 passi possibili

La pandemia ha semplicemente ingigantito limiti strutturali e organizzativi delle Rsa già evidenti a chi come la Comunità di SantEgiidio da anni le frequenta come volontari per visitare gli anziani ricoverati. Occorre ricucire lo strappo tra sanitario e sociale e investire sulla comunità e il territorio

di Riccardo Mauri

Prevedere una fase 2 per gli anziani nelle RSA? Il dibattito ci interroga. Insieme a Vita, siamo stati tra i pochi che in questi mesi hanno cercato di attirare l’attenzione delle istituzioni e dell’opinione pubblica sulle condizioni di vita di alcune case di riposo (certo, non tutte) al tempo del Covid. Già a fine febbraio avevamo avvertito che occorreva entrare subito con tamponi, dispositivi di sicurezza, divisione dei contagiati, sostegno al personale. C’è stata una colpevole inerzia che è durata più di un mese. Poi l’ondata delle morti, e l’attenzione che si sposta sulle inchieste, quando c’è ancora da lottare nel presente per salvare quelli che sono rimasti intrappolati dentro… Sant’Egidio sta sperimentando in una RSA di Milano un progetto di fornitura di materiali, sanificazione e sostegno al personale che agisce oggi, e non domani. I Giovani per la Pace stanno diffondendo un appello sui social.

Ma guardiamo anche al futuro: molte voci si alzano perché la strage delle RSA non sia stata vana. Da tempo segnaliamo con allarme che la pandemia stava semplicemente ingigantendo limiti strutturali e organizzativi di queste strutture già evidenti a chi, come noi, da anni le frequenta come volontari per visitare gli anziani ricoverati. I limiti che hanno contribuito a trasformato alcune RSA in focolai? I numeri: sono strutture in cui vivono troppe persone, con esigenze sanitarie tali da ostacolare qualsiasi forma di distanziamento. I locali: spesso sono strutture obsolete, che impediscono efficaci isolamenti. La gestione del personale in casi di pandemia.

Non è vero che le RSA siano la risposta più efficiente ed economica ai bisogni degli anziani: l’emergenza della pandemia ha mostrato chiaramente che sistemi di gestione mista, tra pubblico, privato e cooperative, sono ispirati alla logica non dell’economicità ma del risparmio: appalti improntati alla logica del minor prezzo si pagano con mancanza di strumentazioni, ritardi negli acquisti del materiale e dei DPI, turni defatiganti per il personale.

Sono emerse le conseguenze della separazione tra il livello sociale e quello sanitario: l’abitudine a pensare agli interventi sugli anziani solo in termini di patologie mette in secondo piano i benefici che un approccio sociale apporta in situazioni complesse come quelle geriatriche. In emergenza Covid, in RSA gli interventi sociali (visite dei parenti, attività di animazione, contatti con l’esterno, attenzione alle relazioni) sono necessariamente stati trascurati, e il risultato è stato l’aggravamento di anziani ancora non compromessi.

Proprio nella linea di scelte più rivolte al sociale vediamo la possibilità di trovare alcune risposte alla crisi delle RSA e di “ricostruzione” per il futuro degli anziani:

Investire massicciamente sull’assistenza domiciliare pubblica, come risorsa che supporti gli anziani fragili nella scelta di stare a casa propria con aiuti mirati e continuativi;

Sostenere la scelta delle famiglie di curare gli anziani a casa propria, con nuove forme di sostegno al reddito, agevolazioni per l’assunzione di badanti, potenziamento di servizi temporanei di sollievo o di consulenza, senza pesare solo sulle donne come caregivers;

Potenziare i servizi sanitari domiciliari come la fisioterapia a casa, spesso riservati solo a periodi successivi a una fase acuta (come le fratture) mentre in continuità aiuterebbero l’anziano al mantenimento della propria autonomia;

Progettare un servizio capillare di telemedicina, che permetta di mantenere alti gli standard di cura senza bisogno di ricorrere ai servizi ospedalieri; dal ricovero spesso si scivola in RSA;

– Nella stessa direzione, favorire tutti i servizi di cura diffusa sul territorio, per esempio puntando nuovamente sul ruolo sociale del medico di base;

Inserire gli anziani a casa in un tessuto sociale più stretto, in reti di prossimità più fitte: alcuni progetti già in atto (come “Viva gli Anziani”) sono volti a creare reti formali e informali nei quartieri intorno agli anziani: medici, farmacisti, negozianti, custodi sociali. Il risultato è togliere l’anziano dall’isolamento e prevenire fenomeni di cronicità che l’abbandono rende più gravi;

– In un momento in cui la risorsa per diverse forme di fragilità sociale viene individuata nel cohousing, adattare le nuove forme dell’abitare e dell’aggregazione alle esigenze degli anziani fragili: convivenze, condomini protetti, case alloggio possono diventare luogo di cura e di umanità insieme, dove è possibile pensare a servizi sanitari non standardizzati ma adattati alle esigenze del singolo e insieme poter mantenere quella socialità che rende la vecchiaia ancora sopportabile, se non desiderabile. Le risorse immobiliari non mancano: le case degli stessi anziani con i dovuti adeguamenti strutturali, il patrimonio immobiliare di fondazioni tuttora inutilizzato, la riconversione dei beni confiscati alla criminalità organizzata.

Misure che richiedono risorse, ma sono un investimento di capitale umano, per gli anziani di oggi salvati dall’emergenza Covid, per gli anziani di domani.

*Comunità di Sant'Egidio Milano


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