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“Una somma di piccole cose” per la Basilicata del dopo virus

È il tempo per avviare un processo di cambiamento e trasformazione dei nostri stili di vita e dei nostri spazi, attraverso un impegno a privilegiare l’etica come vettore dello sviluppo. La parola chiave si chiama prossimità. E per vincere questa sfida la forma paese è la dimensione ideale

di Annalisa Percoco

Nell’Evangelii Gaudium Papa Francesco ispira come costruire il processo di resilienza trasformativa che saremo chiamati ad attivare per aumentare la resilienza del nostro Paese e superare, così, la vulnerabilità strutturale emersa con la pandemia.

“[…] il tempo è superiore allo spazio”, un principio che, continua il Pontefice, “permette di lavorare a lunga scadenza…, aiuta a sopportare con pazienza situazioni difficili e avverse, o i cambiamenti dei piani che il dinamismo della realtà impone… Dare priorità al tempo significa occuparsi di iniziare processi più che di possedere spazi. Il tempo ordina gli spazi, li illumina e li trasforma in anelli di una catena in costante crescita, senza retromarce. Si tratta di privilegiare le azioni che generano nuovi dinamismi nella società…, finché fruttifichino in importanti avvenimenti storici”.

Questa dichiarazione, interpretata alla luce di questa esperienza del lockdown, illumina e conferisce nuovi significati alla necessità di ripensare in maniera radicale il nostro rapporto con lo spazio.

È il tempo a proiettarci con speranza verso il futuro e a rappresentare la via per un progresso autentico, rinunciando, dunque, a “riempire” lo spazio di soluzioni a breve termine.

È, quindi, questo il tempo per avviare un processo di cambiamento e trasformazione dei nostri stili di vita e dei nostri spazi, attraverso un impegno a privilegiare l’etica come vettore dello sviluppo.

Uno dei grandi temi dibattuti in questi giorni di quarantena, che di fatto contrae gli spazi e dilata il tempo, riguarda proprio la capacità di immaginare luoghi dove vivere insieme e, soprattutto, dove vivere insieme con generosità nelle relazioni sociali e nel rapporto con l’ambiente.

C’è una parola, tra le tante, che si ripete nei dibattiti che affollano queste giornate, una parola chiave da cui poter ripartire: prossimità.

È questo il seme di una nuova re-esistenza e uno dei motivi di rilancio dei territori, in particolar modo di quelli marginali.

Abbiamo sperimentato e recuperato il valore della comunità di cura, una dimensione che è precondizione, non esito, dello sviluppo socio-economico.

Questa dimensione, quella della prossimità e della comunità di cura, relegata a una posizione marginale prima di questa crisi, si è riscoperta oggi determinante per il benessere sociale grazie a una capillare rete di relazioni sociali positive.

Oltre all’importanza dei servizi socio-sanitari su base territoriale, abbiamo riscoperto il valore del commercio di prossimità anche come risposta a un bisogno sociale di relazioni fuori dalla sfera familiare.

La prossimità del commercio ha implicazioni importanti in primis in quanto favorisce la produzione locale e una filiera corta con prodotti di qualità e di eccellenza.

Stiamo sperimentando le potenzialità del digitale per l’attività lavorativa, per l’insegnamento, per le pratiche di culto, stiamo riducendo al massimo gli spostamenti con effetti importanti in termini di contenimento del traffico veicolare e, quindi, dell’inquinamento.

Stiamo, così, vedendo quanta economia si svolge dentro le nostre case, nelle nostre famiglie e quanta responsabilità è, quindi, affidata alla comunità territoriale.

È una questione di qualità della vita e di dimensione più umana dello sviluppo.

Una somma di piccole cose, prendendo in prestito il titolo di una canzone di Niccolò Fabi.

È, questo, il ritratto dei piccoli borghi e delle aree interne dell’Appennino, che sono la spina dorsale nella nostra Italia.

Dove sta il valore di questi luoghi? Il loro vantaggio competitivo attuale sta proprio nel territorio, inteso non solo in quanto paesaggio incantevole, modellato in secoli dall’opera umana, che riempie gli occhi e il cuore di bellezza, ma anche nel patrimonio culturale materiale, e, ancor più, nell’insieme dei saperi locali.

La forma paese è la dimensione ideale per abitare il mondo e per scommettere su qualità e green economy, su circolarità dei saperi, su coesione della comunità e su forza dei territori, vedendo nella necessaria risposta al cambiamento climatico anche un’opportunità.

È da questi borghi che passa il progetto di costruzione di una economia più a misura d’uomo e attenta all’ambiente e alla riduzione delle diseguaglianze, come promosso dal Manifesto d’Assisi.

In questa partita la Basilicata con “le sue valli dove i fiumi scorrono lenti come fiumi di polvere”, prendendo in prestito i versi di Sinisgalli per tratteggiarne il carattere saliente, può fare della prossimità e della cura dei legami la cifra per ripensare i suoi luoghi. Che sono luoghi del pensiero e della lentezza, quella lentezza che rappresenta il tratto tipico dell'Italia artigianale, dell'agricoltura di qualità, della tutela della biodiversità, del paesaggio sospeso tra città e campagna, tra mare ed entroterra. “La Lucania mi pare più di ogni altro, un luogo vero, uno dei luoghi più veri del mondo […] Qui ritrovo la misura delle cose […]” , così appare in un passo di Carlo Levi.

Una terra che, nel film “Basilicata coast to coast”, arriva a essere un non-luogo, un concetto uguale – sono parole del regista – all'esistenza di Dio, in cui o si crede o non si crede.

Una terra la cui comunità con orgoglio rivendica radici rurali, come quando nell’ottobre 2014, in occasione della visita della commissione esaminatrice per la Capitale Europea della Cultura 2019, da Satriano di Lucania si è messo in cammino il “rumit”, l’uomo foresta, alla volta di Matera, a voler testimoniare la partecipazione della Basilicata rurale alla candidatura della città dei Sassi. E in quella circostanza, la Basilicata rurale diede testimonianza di sé attraverso i suoi riti arborei e la reinterpretazione delle tradizioni più antiche e significative, con il messaggio di avere cura degli ecosistemi terrestri e tutelare le future generazioni.

Dei suoi 131 comuni, oltre 100 hanno una dimensione demografica al di sotto dei 5000 abitanti, con una densità abitativa complessiva di 55,9 abitanti/kmq, penultima in Italia.

Il distanziamento fisico che connota la geografia dei comuni lucani ha messo la regione al riparo dalla implacabile curva dei contagi da Covid, mantenendo il numero dei positivi lucani entro le 400 unità alla vigilia della fase 2.

Le comunità dei 131 comuni lucani hanno lavorato e riposto grandi aspettative, nel percorso prima e nell’anno vero e proprio, perché la nomina di Matera a Capitale Europea della Cultura del 2019 potesse contribuire a creare proprio qui un nuovo modello di sviluppo per il Sud, capace di porre l’accento sull’apertura come elemento chiave per riflettere sul futuro collettivo dell’Europa.

La geografia e la storia millenaria della città dei Sassi fanno di questo luogo, e dell’intera Basilicata, un luogo stimolante e attrattivo per le attività produttive del futuro; le sperimentazioni e la produzione culturale del 2019 possono servire, d’ora in avanti, a proiettare questa regione dai vicinati contadini ai vicinati digitali, per sperimentare, proprio qui, la circolarità dei saperi tradizionali e dell’innovazione. Vedremo se questo seme germoglierà!

Dove risiedono le prospettive per la Basilicata nella fase della “ricostruzione”?

Nel futuro prossimo aumenterà la domanda di beni e servizi di prossimità e, quindi, la responsabilità di una comunità territoriale crescerà e dovrà muoversi sia dal punto di vista pubblico (alcuni di questi servizi restano di competenza statale) ma anche nel far maturare una domanda pagante sul mercato. E’ innegabile che registreremo una contrazione dell’occupazione a livello nazionale, ma una risposta potrebbe emergere proprio dallo sviluppo di un’offerta sociale privata e pubblica di alcuni servizi di prossimità (socio-sanitari in primis, educativi, ma anche turistici) fondamentali, che tutti saremo pronti a richiedere.

Non solo; la prossimità ha implicazioni interessanti con la dimensione dell’abitare. La quarantena, che di fatto ha determinato la sovrapposizione tra spazio personale, spazio familiare e spazio lavorativo, ci ha ricordato quanto sia determinante, ai fini del benessere, vivere in luoghi (case, quartieri, città) confortevoli e più umani. E’ plausibile, quindi, che queste evidenze avranno impatti positivi sul mercato immobiliare nel futuro prossimo.

C’è, infine, un’ulteriore indicazione che riguarda il valore dei servizi ecosistemici (verde pubblico e verde privato) che tenderà ad aumentare rispetto a due mesi fa. Il paesaggio rurale lucano, oltre alla valenza ecologica nella resilienza e adattamento ai cambiamenti climatici, potrebbe esprimerne una ancora più utile in questo momento, di natura sociale ed estetica, legata al benessere psicologico dei singoli e della comunità.

Agricoltura di qualità, filiera corta, patrimonio storico-culturale diffuso, territorio ricco di biodiversità, senso di appartenenza e coesione sociale rappresentano i tratti dell’identità lucana e fanno della Basilicata un luogo ideale dove sperimentare la ripartenza in modalità slow.

Abbiamo, però, bisogno di costruire percorsi di comunità. Come il terremoto, anche il coronavirus è un fattore di accelerazione, che fa emergere situazioni critiche preesistenti.

Prima ancora che lavorare sulle potenzialità turistiche dei piccoli comuni lucani, bisogna costruire una strategia, frutto di alleanze territoriali tra pubblico e privati, che guardi alla qualità della vita dei residenti.

Serve, infatti, un progetto territoriale forte in cui i servizi (oltre alla salute, la mobilità, la scuola, l’accessibilità digitale e fisica e la sicurezza del territorio) siano alla base di tutto.

Del resto, servizi essenziali e un buon ambiente sociale contribuiscono alla felicità delle comunità, come certificato anche dal World Happiness Report 2019.

Vivere circondati da spazi verdi rende le persone felici, specialmente se si può contare da legami di vicinato. Un ambiente sociale felice è quello in cui le persone provano un senso di appartenenza, in cui si sentono al sicuro e credono in istituzioni condivise. C’è, poi, anche una maggiore capacità di recupero, poiché la fiducia condivisa riduce il peso delle difficoltà, riducendo al contempo la disuguaglianza del benessere.

Oggi stiamo vivendo tempi difficili, siamo esposti a una minaccia comune e il futuro di ognuno dipenderà in gran parte dalle azioni degli altri.

Questo Rapporto dimostra che la nostra felicità dipende in gran parte dal sostegno degli altri, dalla loro generosità e dalla solidarietà collettiva.

E nel futuro prossimo questo sarà più vero che mai.


*Annalisa Percoco ricercatrice (PhD in Geografia dello sviluppo) e analista di sviluppo territoriale


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