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Così i bambini con disabilità sono tornati allo Spazio Gioco

L'abilità ha ripreso i suoi servizi per bambini con disabilità. Sono fra i primi a Milano. «I bambini ne avevano bisogno e in assenza di indicazioni regionali ci siamo assunti la responsabilità della riapertura», dice la presidente. Il 70% ha detto sì. Visiere, mascherine, sanificazione... Ogni aula accoglie un solo bambino, in attività individuali. «Ma alla socialità non possiamo rinunciare, pensiamo a piccoli gruppi in esterno già da metà giugno»

di Sara De Carli

I bambini sono tornati. Il 70% di quelli in carico a L’abilità prima del lockdown ha risposto affermativamente alla proposta di tornare allo Spazio gioco, al Centro diurno e allo spazio Agenda Blu, per bambini con autismo.

L’abilità è un’associazione milanese che si occupa di servizi e progetti innovativi per i bambini con disabilità e le loro famiglie. Il suo tratto distintivo è il pensare che il gioco sia un diritto essenziale del bambino, anche quando c’è una disabilità. I suoi servizi, complessivamente, garantiscono una presa in carico a 200 bambini: si va dallo spazio gioco all’educativa scolastica, dal centro diurno agli interventi di sollievo. C’è anche una comunità che accoglie 9 bambini con disabilità gravissima, rimasta sempre aperta durante il lockdown. «Il fatto di aver tenuto aperto un servizio così importante in un periodo così difficile ci ha fatto probabilmente entrare più facilmente nella dimensione della “fase due”, perché le procedure e i protocolli che abbiamo pensato per la comunità sono stati il punto di partenza per immaginare una fase due anche per gli altri servizi», afferma Laura Borghetto, presidente dell’associazione L’abilità. Nemmeno gli altri servizi in realtà si sono mai fermati, nel senso che i coordinatori hanno sempre lavorato full time e tenuto un rapporto spesso quotidiano con tutte le famiglie, attivando tutti i servizi a distanza che si potevano attivare: un’attività motoria da fare, una storia in linguaggio di CAA, una proposta per non perdere le competenze acquisite, come la manipolazione o l’infilare perle… «Proposte importanti perché pensate su misura per quel bambino in quella situazione, con un pensiero di cura per i bambini ma anche per i genitori», sottolinea Borghetto.

È proprio nel confronto di équipe nel tessere questo filo di contatto, che piano piano è emerso – prosegue Borghetto – «il bisogno di tornare ad attività in loco: perché il coordinatore sente che la famiglia è preoccupata, raccoglie i racconti di peggioramento dei bambini e si rende conto che l’attività a distanza può avere una sua finalità ma sicuramente non è sostitutiva di quella in presenza… C’era il senso di perdere tempo prezioso per il bambino. Sentivamo ad esempio l’angoscia delle famiglie rispetto all’educativa scolastica non attivata o attivata tardi: i nostri dati dicono che è stata attivato solo il 16% del monte ore di tutta l’assistenza educativa scolastica che noi eroghiamo. Il passaggio è stato graduale, all’inizio anche gli operatori avevano paura del contagio e preferivano la modalità di lavoro a distanza, ma a un certo punto è stato chiaro a tutti che dovevamo riaprire. Anche prima di avere indicazioni specifiche».

C’era il senso di perdere tempo prezioso per il bambino. Sentivamo ad esempio l’angoscia delle famiglie rispetto all’educativa scolastica non attivata o attivata tardi: i nostri dati dicono che è stata attivato solo il 16% del monte ore di tutta l’assistenza educativa scolastica che noi eroghiamo.

Perché se è vero che già il DPCM del 26 Aprile autorizza la riapertura dei centri diurni per persone con disabilità, qualunque sia la loro denominazione e il loro carattere, è altrettanto vero che questa riapertura deve fare riferimento ai piani territoriali adottati dalle Regioni, con specifici protocolli per la prevenzione del contagio e la tutela della salute di utenti e operatori. In Regione Lombardia queste linee guida non ci sono ancora: «Noi abbiamo aperto il 12 maggio lo Spazio gioco e il centro Agenda Blu e il 14 maggio il Centro diurno. Siamo stati autorizzati da ATS dichiarando questi servizi indifferibili, come in effetti sono, perché si è già perso troppo tempo e i bambini sono particolarmente vulnerabili, però poiché non ci sono protocolli approvati a livello regionale e quindi noi di fatto agiamo su un protocollo nostro, abbiamo dovuto assumerci la responsabilità dell’apertura», spiega Borghetto. È per questo che molti altri centri non hanno ancora aperto, neanche quelli dello stesso Comune di Milano. «Lo abbiamo fatto perché continuare a tenere chiusi i bambini in casa vuol dire chiudere uno spazio essenziale di crescita e di apprendimento», continua la presidente de L’abilità. «Abbiamo chiamato tutti i genitori e spiegato a ciascuna famiglia le nuove modalità del servizio, con le protezioni che mettiamo in atto: i bambini con disabilità hanno spesso altre patologie, è chiaro che c’è un atteggiamento molto protettivo sulla salute».

Avendo fatto questa spiegazione, con un rapporto di fiducia con le famiglie «che è imprescindibile» sono tornati a frequentare i loro servizi circa il 70% dei bambini presi in carico. «Al Diurno abbiamo solo 10 bambini su 20, ma la situazione è questa: poiché il centro solitamente si avvale di un trasporto comunale che non è stato ancora riattivato, i bambini che possono essere accompagnati dai genitori vengono, chi invece non riesce ad accompagnare i figli ha per ora rinunciato. Noi purtroppo questo pezzo non riusciamo a sostenerlo, perché anche sul trasporto servirebbero procedure ad hoc di sanificazione dei mezzi».

Quindi i bambini sono tornati. Con il triage all’ingresso, la misurazione della temperatura, la sanificazione dopo ogni intervento, gli operatori con visiera e mentoniera, in modo che possano anche non indossare la mascherina: «il contatto visivo è importantissimo per il nostro lavoro, l’operatore deve avere la certezza di esser guardato dal bambino, soprattutto per bambini con disabilità intellettiva». Non è come prima, evidentemente: «I servizi ripartono ma solo in modalità individuale, quindi anche i piccoli lavori con 2-3 bambini in compresenza sono sospesi. In ogni aula c’è solo un bambino, che fa attività individuale con il suo terapista, ovviamente abbiamo riorganizzato tutti i tempi di lavoro».

Come sono i bambini? «A parte qualche caso, sono rientrati nei servizi con serenità. La sensazione è che il lavoro fatto prima del lockdown si è consolidato e che quel filo fatto di whatsapp e videochiamate che ci sembrava tanto debole, ha in qualche modo funzionato, aiutandoli a traghettare il periodo di chiusura. Su alcune tappe specifiche, in particolare con i bambini con autismo, bisogna ricominciare a lavorare: bambini che erano riusciti ad agganciare lo sguardo, adesso fanno di nuovo fatica». Per ora si riparte così: «Ma noi non ci sentiamo di rinunciare alla socialità, perché quello è il topic numero 1 dell’inclusione, al pari della abilitazione», dice Borgetto. «Un bambino alla volta, nelle aule, funziona adesso per la riapertura, ma ci stiamo attivando sul medio termine per proporre attività in piccoli gruppi all’aperto, durante tutta l’estate. Una cosa del genere però è possibile solo se, contemporaneamente, si pensa una soluzione per i trasporti, altrimenti i centri estivi rischiamo che arrivino solo alcune fasce di bambini».


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